“Genova per noi vuol dire un mare di palanche. Soldi, per chi frequenta la Superba.
Nessuna città italiana si avvicina agli investimenti che sono stati destinati al capoluogo ligure. Per stare alle stime di partenza, come sempre approssimate per difetto rispetto alla fine dei lavori, sull’area sono in corso o in avviamento lavori per 16,27 miliardi di euro. La somma include fondi del Pnrr, del ministero delle infrastrutture, del comune guidato da Marco Bucci, della regione presieduta da Giovanni Toti e della maggiore stazione appaltante nazionale, il gruppo Fs, che almeno per un altro anno è agli ordini di Luigi Ferraris, nativo della brianzola Seregno ma laureato all’università di Genova e omonimo del capitano del Genoa cricket and football club caduto durante la Grande guerra al quale è intitolato lo stadio Marassi…”.
“Genova caput mundi: una valanga di miliardi cambia faccia alla Superba”,
Gianfrancesco Turano l’Espresso
Un merito la pandemia l’ha avuto: riportare al centro dell’attenzione mondiale John Maynard Keynes. E se la pandemia non ci fosse stata, la si sarebbe dovuta inventare (sic!). Ho visto le strade di Recco trivellate da un sacco di operai entusiasticamente al lavoro: ecco le famose “buche nelle strade” di cui parlava Keynes. Il deficit spending è il Mercato, però. Perché? Perché Immanuel Kant è stato sconfitto da Adam Smith; la spesa pubblica trova un suo equilibrio superiore nel laissez-faire che è il fondale degli investimenti pubblici. Non lo posso provare, ma questa scoperta da parte di Keynes è stata un vero dramma umano per l’economista britannico figlio del docente di logica a Eton Neville Keynes: veniva infranto il sogno socialista della Great Society, informato all’obiettivo d’una equa redistribuzione della ricchezza portata al “punto di equilibrio”. Keynes è morto per consunzione a Bretton Woods come Amadeus Mozart, perché frustrato dal fatto di avere scoperto la Mano Invisibile diventando l’erede di Adam Smith anziché il fondatore del deficit spending: è la tragedia dell’eterogenesi dei fini. La sua opera si era vendicata del “razionalismo kantiano” dell’autore che voleva riprogettare la realtà, uccidendo il narcisismo di John Maynard. E il “diniego” era compatibile con la Teoria Generale dell’Occupazione, senza fare la poesia di Federico Caffè. Ma non ne era il primum movens. Lasciatemi essere volgare: la proiezione non è la realtà, ma parte della realtà. La negazione sognatrice del principio di realtà da parte del filosofo del Bloomsbury Group non è il movente primo della sua teoria della spesa in disavanzo ma è compatibile con essa, e se ha favorito l’ascesa di Maynard ne ha determinato poi la rovina. Il grande Umberto Galimberti dà questa definizione del diniego: “Negazione, rifiuto: rispondere con un d.; opporre un reciso diniego; il d. … consiste nel negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l’esistenza di ciò che esiste e per giunta si conosce”. La presunzione fatale di schiacciare il deficit spending sul “concetto di equilibrio” era eziologicamente collegata al fatto di negare la realtà, invece che tenerne conto: prima in senso positivo, e poi in senso negativo. Ma questa – se vogliamo – è anche la prova del genio dell’uomo che trattava come un deficiente il collega Bertrand Russell. Il suo destino era segnato: egli aveva avuto all’incirca ragione, piuttosto che precisamente torto. E dunque non aveva avuto ragione. E’ pericoloso realizzare dei capolavori; i capolavori si staccano dai loro autori e vivono di vita propria. Ma migliorano l’umanità.
Nel suo articolo da manuale “Quel che resta di Adam Smith” pubblicato su “la Repubblica” del 5 giugno 2023, Alessandro De Nicola osserva, e ci sono gli echi di Spengler nella vita dello Smith poiché l’Illuminismo è l’inizio della decadenza dell’Occidente: “Il 5 giugno del 1723 veniva battezzato (e la data da allora è fatta coincidere con quella di nascita) a Kircaldy in Scozia, una cittadina distante meno di 20 km in linea d’aria da Edimburgo, Adam Smith, l’economista e filosofo scozzese che ha cambiato il corso della storia del pensiero.
Il piccolo Adam rimase orfano di padre, avvocato e funzionario doganale, appena due mesi dopo il
parto ma la madre non si perse d’animo e allevò il figliolo fino a che a 14 anni (come era normale all’epoca) fu ammesso all’Università di Glasgow dove studiò filosofia morale sotto la guida di Francis Hutcheson, uno dei principali esponenti dell’Illuminismo scozzese. Nel 1740 approdò ad Oxford, che per la verità non lasciò in lui una grande impressione: “La gran parte dei professori ha ormai rinunciato persino a pretendere di stare insegnando”. Smith riteneva le università scozzesi di qualità superiore ad Oxford e Cambridge e secondo lui la causa risiedeva nel fatto che negli atenei i professori venivano pagati a prescindere dalla loro abilità di attrarre studenti. Insomma, le regole del mercato non venivano rispettate.
Lasciata Oxford nel 1746 il Nostro cominciò ad insegnare prima ad Edinburgo (dove nel 1750 incontrò David Hume, il grande filosofo scettico di cui rimase amico per tutta la vita) e, dal 1751, prima logica e poi filosofia morale a Glasgow, finchè fu assunto come precettore dal Duca di Buccleuch il che gli consentì non solo di girare l’Europa ma di sistemarsi economicamente per il resto della sua vita giacchè l’aristocratico gli assegnò una rendita vitalizia e lo aiutò a essere nominato commissario alle dogane ad Edinburgo. Dopo una serena vita di studi Smith passò a miglior vita il 17 luglio del 1790.
Il filosofo è noto soprattutto per il suo libro del 1776, La ricchezza delle nazioni, che trattò per la prima volta in modo sistematico la disciplina economica e fece di lui per l’appunto “il padre dell’economia politica”. Tuttavia, nel 1759 aveva pubblicato un’opera, Teoria dei sentimenti morali, che all’epoca aveva avuto un buon successo. In questo libro Smith si concentra sulle relazioni interpersonali e sviluppa il concetto di “simpatia” (che oggi chiameremmo “empatia”) nell’uomo, la cui presenza fa sì che esistano “alcuni princìpi che lo rendono partecipe alle fortune altrui e che rendono per lui necessaria l’altura felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. E’ una visione ottimistica della natura umana aiutata dalla presenza di uno “spettatore imparziale”, una specie di coscienza innata, che ci giudica con gli stessi occhi degli altri. Moderazione, benevolenza, socialità e la “conversazione” (quindi il pacato confronto di idee) sono i cardini della filosofia morale di Smith.
E’ compatibile questo approccio con il self-love che il filosofo di Kirkcaldy pone alla base dell’azione economica? Ricordiamoci la celeberrima frase della Ricchezza delle nazioni: “Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del nostro fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che hanno cura del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro self-lowe e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi”. Sul tema, denominato Das Adam Smith Probleme (in quanto sollevato dai sempre precisi tedeschi), si è parlato a lungo ed oggi la risposta più accreditata è che non ci sia contraddizione.
Mentre nella Teoria dei sentimenti morali viene affrontata la questione di come l’essere umano si pone nei confronti dei suoi simili, nella Ricchezza delle nazioni si descrive la società impersonale, fatta di rapporti economici.
Anzi, fedele alla tradizione illuministica scozzese attenta all’eterogenesi dei fini, Smith chiosa nell’altro celebre passo della Ricchezza delle nazioni: “Invero (l’imprenditore) né intende promuovere l’interesse pubblico né sa quanto lo promuova. (…); dirigendo quell’industria in modo tale che il suo prodotto possa avere il massimo valore egli mira solo al proprio guadagno e in questo, come negli altri casi, egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni…”.
Freud detestava Adam Smith, forse perché l’economia ha un valore superiore alla psicologia dal punto di vista estetico, e molto altro ci sarebbe da dire; resta il fatto che l’imprenditore è assimilabile al creatore, all’artista, all’inventore, all’uomo di genio, anzi è parte della categoria degli artisti. L’egoismo è un’istanza superiore alla ragione, è un punto cieco al pensiero. Il mistero regna sovrano “veluti si Deus daretur”.
Al contrario, Freud – che a differenza di Adam era frustrato e anche un po’ diabolico – non aveva una visione ottimistica della natura umana aiutata dalla presenza di uno “spettatore imparziale”,
cioè la mano invisibile ma da Satana che abiterebbe nell’inconscio.
Il punto non è stabilire “kantianamente” chi ha ragione o torto tra Adam Smith e Sigmund Freud, ma il primo è esteticamente superiore al secondo che violentava il Mistero come un servo di Lucifero: “Non ci sono istanze al di sopra della ragione”.
“Privare la magia del suo mistero sarebbe assurdo come togliere il suono alla musica” è il miglior Orson Welles, che smithianamente – come un samurai nel deserto solo contro tutti – aveva inseguito il sogno della realizzazione di “Quarto potere. Cittadino Kane”. Senza sapere che si era identificato con Charles Foster Kane.
Meno si sa, meglio è.
Il mistero è esteticamente superiore alla ragione, che volgarizza il bello.
Uno dei nemici irriducibili di Sigmund Freud, Piero Ottone, scrisse nel suo libro L’Italia è un paese civile? edito da Longanesi: “Certe cose nella storia succedono perché devono succedere, perché è destino che succedano. Altre sono dovute al caso, a un concorso fortuito di circostanze.
La sensazionale ascesa di Silvio Berlusconi nel mondo della politica sembra appartenere alla seconda categoria. Perché ha deciso di diventare un uomo politico? Cominciamo col dire che una persona decide di fare una cosa perché decide di farla: punto e basta. Voglio dire che raramente le nostre decisioni, quali che siano, sono interamente dovute a un ragionamento rigoroso: da una parte tutti gli argomenti a favore, dall’altra parte tutti gli argomenti contrari, poi si fa la somma e si decide. Ogni decisione, in ultima analisi, è dovuta a un impulso istintivo, a un segreto desiderio di fare quella data cosa e non un’altra, a uno stato d’animo. Le spiegazioni razionali vengono dopo, per giustificarla. Perché abbiamo accettato quella data offerta di lavoro? Risposta: perché volevamo farlo; perché il cuore ci induceva a farlo. E questo vale anche per la decisione di Berlusconi di misurarsi con la politica…”.
Per Freud era vero il contrario: perché era borghese.
E, a conti fatti, se c’è stato un vero apologeta della superficie questo era Silvio, l’uomo delle stelle.
di Alexander Bush