Albert Otto Hirscham e Eugenio Colorni. Estetica, epistemologia e nuova legge delle ”tre forme”

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Brescia
E’ notevole il fatto che, mentre in Italia si tenta ricorrentemente da qualche parte lo “sbarco su Croce”, negli stati Uniti venga evocata con pertinenza la sua influenza a proposito dei rapporti tra il sociologo Albert O. Hirscham ( Berlino, 7 aprile 1915 – New Jersey, 11 dicembre 2012 ) e il teorico federalista del Manifesto di Ventotene Eugenio Colorni ( Milano, 22 aprile 1909 – Roma, nella strage del 30 maggio 1944 ).
Tanto accade nel denso e partecipe volume di Jeremy Adelman, “Wordly Philosopher. The Odissey of Albert O. Hirscham” ( Princeton University Press, specialmente al Chapter 3, “Proving Hamlet Wrong”, nelle pp. 108-118 ). Il dotto allievo ( “Thank You Albert”, in “Afterwords. Sailing into the Wind” ) desume il titolo della biografia filosofica da Robert Heilbroner, “The Wordly Philosophers: The Lives, Times and Ideas of the Great Economic Thinkers”; titolo che riaffidiamo, a nostra volta, nella storia infinita delle “idées rétrouvées”per la libertà, alla caratterizzazione del pensiero e dell’azione di Max Ascoli ( 1898-1978).
Edelman ricorda il viaggio in Italia, a Forte dei Marmi, di Otto Albert (1935); la conoscenza di sua sorella Ursula a Berlino da parte del giovane Eugenio, che la sposa nel ’31; le amicizie italiane con Gino Pincherle, Giorgio Radetti e soprattutto Benedetto Croce. “He was enraptured by the liberal philosopher and histotian, Benedetto Croce, who had published several monumental books about the nineteenth ‘century of liberty’ and ots legacies for the present”.
Dalla “Storia d’Europa” del 1932, Primo capitolo sulla “Religione della libertà”, e altri testi, giunge a Hirscham la chiara percezione della “monumental”opera crociana, pel tramite di Eugenio Colorni, studioso del “Breviario di estetica” dagli anni liceali e autore de “L’estetica di B. Croce”pubblicata solo nel ’32 ( in trecento copie dei tipi della “Cultura” di Cesare De Lollis ), giammai riospitata nei suoi “Scritti” a cura di Norberto Bobbio ( La Nuova Italia, 1975 ) né – per il centenario della nascita – all’interno della nuova raccolta “La malattia della metafisica” ( Einaudi, 2009, con prefazione e note di Geri Cerchiai ).
Auspice la guida di Piero Martinetti e G. A. Borgese, Colorni si laurea su “Leibniz”; edita la di lui “Monadologia”per la collana sansoniana di Classici filosofici (1934 ); collabora a “Giustizia e Libertà”, “La Cultura”, “Civiltà Moderna”e “Solaria”( a partire dal 1930); assume la cattedra di docente in Filosofia e storia a Trieste, là dove è arrestato l’8 settembre 1938 a seguito della emanazione delle leggi antisemite, per le origini ebraiche e l’intensa attività antifascista. Quindi, è mandato in carcere a Ventotene, ove con Altiero Spinelli e Ernesto Rossi elabora il Manifesto federalista europeo.
Al confino resta dal ’39 al ’41. Fuggitone nel ’43, fonda in Roma il partito socialista del PSIUP, finché è scoperto e fucilato il 28 maggio del ’44 ( cfr. Norberto Bobbio, “Maestri e compagni”, Passigli, Firenze 1984 e Sandro Gerbi, “Tempi di malafede”, Einaudi 1999 ). Medaglia d’oro al valor civile della memoria, si è volto – dopo gli studi di estetica – alla filosofia della scienza, accreditando la dottrina strumentalistica dei concetti funzionali tipica dell’empirio-criticismo europeo, ma risalendo a Kant ed espungendo il valore delle costanti universali e assolute ( per es: il tempo ) in epistemologia. Sembra oscillare, infine, tra concezioni finalistiche e antifinalistiche nella visione dei processi naturali ( cfr. Vittorio Somenzi, “Eugenio Colorni filosofo della scienza”, in “Filosofia e Società”, del 1986, pp. 1-7 ), con una dilemmaticità sulla cui genesi etica dovrò tornare.
A proposito della relazione filosofica e umana tra Hirscham e Colorni, Edelman ricorda anche la conoscenza, presso la Università di Marburgo, di Erich Auerbach, “the brilliant philologist who had recently translated Giambattista Vico’s ‘The New Science’ into German and authored a celebrated study of Dante. (..) There was also the essayst style of criticism that Colorni adored and adopted, and his affection for long quotes as the basis for his ‘explication de texte’, which readers of Hirscham can find most developed in ‘The Passions and the Interests’ “ ( op. cit., pp. 110-111). Lo stesso Hirscham, allorché si approssima a una più larga comprensione della scienza economica, risale idealmente ad Aristotele Machiavelli Vico, rivalutando centralmente la “prudenza”, la “virtù”, la “dialettica delle passioni”che di quella scienza forniscono l’alimento e la base.

Hirscham riospita motivi della filosofia e dell’etica classica per un verso (Aristotele ); e dell’idealismo storicistico per l’altro ( Vico, legge delle “tre forme”, filosofia della libertà e primato dell’etica in Croce, dimensione delle “scienze mondane”e delle “passioni” da Machiavelli a Croce, ancora ).
Sicché, notabilmente, Edelman precisa a proposito del giudizio di Hirscham su Colorni e Croce: “Sartre, Lévi-Strauss, Foucault are ‘maitres à penser’. Eugenio was actually the opposite: a costant critic, questioner, stimulator. That he was ‘homme d’action’ and ‘penseur critique’ at the same time was maybe his special trait…Maybe you should change the title here to ‘Pensatore critico e uomo d’azione’ or simply ‘pensamiento critica e azione’ “.
Ciò equivale esattamente al contrario di quanto opinava Ernesto Rossi, sodale, forse un poco influenzando lo stesso Croce, non esser cioè il Colorni “uomo d’azione” ( cfr. Alceste Riosa, “Eugenio Colorni e Benedetto Croce”, in “L’Acropoli”, XI/1, 2010, pp. 1-6 dell’estratto ). Meglio di taluni interessati gazzettieri italiani, Edelman vede bene la continuità Croce – Colorni – Hirscham. “Free of the theoretical formalities of Germanic Marxism, Colorni eschewed the obscure and often circular language of its abstraction. His outlook grew from an early encounter at his ‘liceo’ with ‘th e g i a n t f i g u r e ‘ of Italian liberalism, Benedetto Croce; what fascinated Colorni was the aesthetic dimension of liberty, l i b e r t à. And the richness of positivism, the belief that actual experience and observation were the bases for authentic knowledge” ( p. 114 ).
I marxisti ed organicisti italiani – nota bene Alceste Riosa – hanno teso a “mettere da canto la memoria di personaggi dell’antifascismo non direttamente riportabili all’ortodossia comunista”. Ma Croce rimane “the giant figure of Italian liberalism”, la “gigantesca figura del liberalismo italiano” (con buona pace di maldisposti detrattori ). E il Colorni ne coglie il fascino proprio nella “aesthetic dimension of liberty”, Come dire: la stessa “fondazione estetica della libertà” (per noi, sulla linea da Attilio Momigliano a Rosario Assunto ), almeno nel duplice senso onde la dialettica delle passioni, che l’arte redime, offre nutrimento ad ogni parto dello spirito teoretico e pratico; e la autonomia dell’arte, libera da cascami intellettualistici o moralistici, diventa la prima garante dell’autonomia delle forme nel “circolo” spirituale, assicurando quindi la “aesthetic dimension of freedom”, Libertà, nel testo originale dello studioso statunitense. Non ha “nuociuto”, dunque, il Croce alla dottrina e alla prassi del liberalismo italiano, europeo e mondiale; e nemmeno dal punto di vista “aforistico”, del “sensus communis”, delle “piccole verità d’ogni giorno”, qual s’esprime e concentra nella cosiddetta “filosofia minima” delle passioni, anche cara allo Hirscham ( come si sarebbe tentati di chiamarla, se non si temesse di confonderla con la ”vulgata’ nostrana da cui si son prese le distanze ).
“To Otto Albert, the conversations with Eugenio drew his attention to what we call t h e s m a l l i d e a s, s m a l l p i e c e s o f k n o w l e d g e. They do not stand in connection with any ideologies or worldviews, they do not claim to provide total knowledge of the world, they probably undetermine the claims of all previous ideologies”. Siffatte “petits idées”: ‘They are like aphorisms’ – he explained – ‘very astonishing remarks, perhaps of a paradoxal nature, but which are perhaps true because of it’ ( op. cit., p. 114 ).
Dunque, per quel che riguarda la dottrina della storia, Hirscham mette in guardia dalle visioni “olistiche”, “profetiche” o “astrologiche” dell’ andamento del mondo, mantenendo sempre la fede nella “libertà”, nel “valore” della Libertà. E in questo senso, ricorre alla forma aforistica, all’apprezzamento delle “small ideas”, si potrebbe dire del “vitale” come “esperienza vissuta” quotidiana. “They should prove Hamlet wrong” – equivale perfettamente a quanto Max Ascoli aveva detto del giovanile frammento sistematico del 1917, “Ritornare alla terra” (cfr. il mio “Max Ascoli. 1898-1978 e la libertà politica” ). Ispiratori di tale visione ‘concretistica’ sono confermati “Benedetto Croce and Piero Gobetti” ( aggiunge sempre lo Edelman, op. cit., pp. 116-117 ).
Su Colorni, Norberto Bobbio aveva dato un giudizio ricompreso nella “vicenda più complessiva del pensiero italiano tra le due guerre di cui Bobbio fece parte”. Ora, “lo stesso abbandono di Croce risulta assai meno definitivo di quanto Bobbio abbia fatto intendere riportandolo già all’epoca della stesura del testo sull’estetica crociana” ( così Alceste Riosa, citato ).

In effetti, pur pregiando l’ ‘empirismo trascendentale’ ( ma non vi è in siffatta dicitura una forma di “contradictio in adjecto”?) sulla prevalente tendenza crociana alla “giustificazione aprioristica e deduttiva”, Colorni ammette: “Molto c’è da lavorare (..), per chiarire la conformazione e i caratteri dell’universale artistico: e principalmente in questo senso deve essere utilizzata e proseguita la grande opera del Croce”. Il quale resta “il più grande maestro dei miei anni, e della mia generazione” ( cfr. “L’estetica di Benedetto Croce”, La Cultura, Milano 1932, pp. 81-86 e 190 ).
E’ noto che, allorquando non riesca la “rimozione”, si mette in atto la “limitazione” di Croce: una delle cui direttrici più praticate è appunto la falsa demarcazione tra “storicismo” e “metafisica”, empirismo metodologico e precettistica estetica o assiologica ( cfr. Dario Faucci, Eugenio Garin, Bobbio e qualche epigono suo ). In realtà, la dottrina delle categorie e delle loro relazioni risale al kantismo ideale non solo del Croce, ma di tutta la grande “filosofia dei valori” di campo europeo (Wilhelm Dilthey, Ernst Cassirer, Nicolai Hartmann, Herbart e l’ herbartismo sino a Antonio Labriola, il ‘maestro’ delle lezioni romane per il giovane Croce, dopo la ‘crisi’ di Casamicciola, nel triennio 1883-1886 ). E sui “limiti” della riduzione di Croce a mero ‘moralista’, torna ora in pagine di grande onestà intellettuale l’allievo di Garin, Michele Maggi ( cfr. “Archetipi del Novecento”, Bibliopolis, Napoli 2011 ).
Colorni – come è persino ovvio – non ebbe sventuratamente il modo di ridefinire e rielaborare il complesso ambito categoriale delle ricerche sulla estetica crociana. Né vale la pena di intrattenersi in un pedissequo accertamento del “dare” e “avere”del di lui pensiero estetico rispetto a Croce. Semmai, nel “Fortleben”della coeva e successiva riflessione estetica a proposito del “fare” artistico, siamo noi a dover opportunamente integrare gli approfondimenti dell’ “universale artistico”conquistati negli apporti di Parente, Antoni, Ragghianti, Montale, Baratono, Russo, Fubini, Contini, Assunto o Pareyson ( cfr. S. Miccolis, “Eugenio Colorni ventenne e Croce, in “Belfagor”, 31 luglio 2010, pp. 415-434 ).
Lo stesso esplicito giudizio dell’ultimo Croce ( nei “Quaderni della Critica”del 1951, nn. 19-20 ), esser cioè il Colorni del 1931-1932 “lontano dalla politica e molto legato al cosiddetto idealismo attuale e ai suoi rappresentanti”. risente un poco del parere di Ernesto Rossi e non coglie pienamente nel segno, anche se un qualche fondamento storico vi può esser ravvisato nel fatto che il Colorni si rivolge a Giovanni Gentile per pubblicare la traduzione italiana della “Monadologia” del Leibniz.
E Colorni, per l’appunto, s’impegna negli studi di epistemologia e filosofia della scienza con una nutrita serie di saggi, dialoghi e postille che lascia tuttora ammirati, sol che si pensi alle enormi difficoltà pratiche che il giovane, ma ormai non più giovanissimo, pensatore deve scontare. E sono: “Dell’influenza di alcuni concetti matematici e fisici sulla metafisica di Leibniz”, negli Atti della “Société Internationale de philosophie des sciences”, 1935; “Le verità eterne in Descartes e in Leibniz”, al cosiddetto “Congrés Descartes”di Parigi, 1937; “Leibniz e il misticismo”, nella “Rivista di Filosofia”, XXIX/1, 1936, pp. 57-85; “L’estetica di Leibniz”, ivi, XXX/1, 1939, pp. 66-81; “Conoscenza e volontà in Leibniz”, ivi, XXXIV/1-2, 1943, pp. 55-73; “Libero arbitrio e grazia nel pensiero di Leibniz”, ivi, XXXV/1-2, 1944, pp. 47-67; e alla vigilia della tragica fine, la traduzione del libro di Bernhard Bavink, “Risultati e problemi delle scienze naturali. Introduzione alla filosofia naturale dei nostri giorni”, traduzione poi completata da Mario Ageno, sempre per i tipi della Sansoni in Firenze, 1947; con il “Progetto di una rivista di metodologia scientifica”, risalente al ’42 e coronato da Geymonat e altri.
Al confino di Ventotene, Colorni imposta i “Dialoghi di Commodo”, di cui i compagni Spinelli, Rossi e Rossi Doria formano le “dramatis personae”. Nel primo Dialogo, “Della lettura dei filosofi”, Colorni confuta – con metodo inconsapevolmente popperiano – la pretesa scientifica della psico-analisi ( “E’ una scienza ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima di Copernico, e dell’alchimia prima della chimica”). Nel secondo Dialogo, “Del finalismo della scienza”, a Ernesto Rossi travestito nei panni di ‘Ritroso’, osserva: “C’è qualcosa che mi disturba e m’irrita in questa smania iconoclasta della scienza moderna, in questa grancassa che si suona al sorgere di ogni nuova teoria, come se essa dovesse rinnovare dalle fondamenta tutte le basi del sapere umano. (..) Se si guarda poi al fatto, si vede che queste teorie discendono direttamente proprio dalla critica ai principii, formulata dal Poincaré, (..) tanto che il Poincaré era giunto un pezzo innanzi sulla via della relatività, e che le famose trasformazioni vengono chiamate da parecchi trasformazioni di Poincaré – Lorentz – Einstein”.
Identico approccio è assunto nel terzo Dialogo, “Dell’antropomorfismo nelle scienze”. A proposito della “scoperta” di Einstein, ‘Commodo’ obietta a ‘Ritroso’ ( cioè Colorni a Ernesto Rossi ): “ Non troverai mai un fisico, che di fronte a un problema concreto che non riesce a risolvere si domanda, per esempio, se la definizione iniziale di massa, o di forza, o di lunghezza, o di velocità, era stata ben posta. Uno solo l’ha fatto, giovanissimo, con un certo ardore scandalistico e iconoclasta, quindi un po’ da ‘outsider’: Einstein. E ne è venuto fuori quel po’ po’ di scoperta che sai”. Si badi che – secondo me – ancor qui il Colorni ‘precede’, per cos’ dire, Karl Popper, a proposito della recisa critica da parte di quest’ultimo dell’ “essenzialismo” epistemologico, consistente nella pretesa di definire “che cosa è” una cosa, una realtà, un corpo etc. ( critica svolta soprattutto, ma non solo, nella autobiografia intellettuale “La ricerca non ha fine”, traduzione italiana di “Unended Quest”, Armando, Roma 1976: v. il mio “Epistemologia ed ermeneutica nel pensiero di Karl Popper” del 1986 ). Solo che ‘Commodo’ si rivolge in special modo alla “scoperta” einsteiniana della relatività generale e ristretta: “scoperta” che indubbiamente c’è stata; ma che, da un lato, impegna tutta una fitta serie di anticipazioni, esperienze, presupposizioni e programmi di ricerca, e dall’altro finisce per avvalorare un “universale” o un “assoluto”, la costante universale della luce, assai indigesto al cosiddetto “empirismo trascendentale” del geniale interprete.
Anche qui sarebbe far torto al Colorni la ammissione di “ignoratio elenchi” ( anche nel “Dialogo dei massimi sistemi” di Galileo Galilei campeggia il paragone della nave e dell’osservatore, simile all’altro della banchina della stazione e del treno, con diversi sistemi di osservazione, dedotto fin dal 1905 in Einstein ). Ma non v’è dubbio che Colorni guardi – più che alla “Critica del Giudizio” di Kant o alla filosofia della natura dello Schelling – al Kant della “Critica della ragion pura”, nel proprio progetto epistemologico del ’38. Allora, affronta il passo della prima “Critica” del 1781 sulla fisica, resa debitrice “unicamente all’idea di attenersi a ciò che la ragione stessa introduce nella natura”. Ora, questo passo è affiancato al convincimento di Sir Arthur Eddington, in quegli anni molto noto per la traduzione laterziana dei suoi scritti, secondo cui “tutte le leggi di natura ordinariamente classificate come fondamentali possano essere del tutto prevedute per mezzo di considerazioni epistemologiche” ( cfr. “La natura del mondo fisico”, ed. it., Bari 1938: su cui il mio riscontro in apparato fin da “Tempo e libertà”, Lacaita, Manduria 1984, pp. 55 sgg., e “Ipotesi e problemi per una filosofia della natura”, Adda, Bari 1987 ).
Colorni, sul punto, resta sì ammirato del paradigma teoretico-trascendentale, cui dedica fini osservazioni; scavalcandolo però in senso decisamente antidogmatico. E dice: “Conosciuta una volta l’origine a priori delle leggi, esse perdono sì il loro fascino misterioso; ma entrano con molto maggior sicurezza in nostro potere. Non siamo più costretti a ricercarne gli effetti nel mondo esteriore, accogliendo di volta in volta la regolarità come un grazioso dono del Creatore; ma penetriamo nel meccanismo interno onde tale regolarità viene proiettata nel mondo; e anziché cogliere a posteriori e quasi a caso i frammenti di noi stessi nella r e a l t à, meravigliandoci poi che le ‘leggi della natura’ ( forse meglio: “di” natura ) siano così consone alle nostre forme intellettuali, t e n i a m o i n m a n o l e f i la d e l l’ i n t r e c c i o da cui nasce questa illusione, e la dominiamo, per così dire, p a n o r a m i c a m e n t e; divenuti ormai padroni di essa, capaci di seguirla in tutte le sue evoluzioni, di prevederla nei suoi sviluppi”. Così, la visione d’insieme, la sinossi trascendentale, la “panoramica” del procedimento cogitativo dello scienziato, non è affatto espunta in Colorni, dal momento che – di essa – il nostro sente e avverte interesse e attrattiva. Solo che vi preferisce l’ a posteriori empirico, il gusto del frammento raccolto dalla realtà, la cui riconduzione a “regolarità” può configurarsi come “illusione”.
Quale la genesi, allora, in Colorni, di codesta ambivalenza, nel percepire fascino e limiti a un tempo del trascendentalismo ? Probabilmente, siamo in presenza di una “duplice” genesi, etica e vitale, del problema. Da un lato percepiamo la presenza di una “maieutica”, di una “dialettica delle passioni” (nucleo fondante ), perché fondativa del processo esplorativo dello scienziato. Dall’altro, vediamo come il ritenere tale presupposto vitale un “Capovolgimento affettivo e morale” si traduca nel dir di no a profezie della storia, a vecchi e nuovi miti, inclusi il dio dei teologi e la costante universale della luce nell’universo ( l’ “occhio di Dio nell’universo” ).
Perciò scrive il Colorni: “ Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento di un sol uomo, di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi brancolava alla cieca, c’ è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande conquista conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno sviluppo dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una i n v e r s i o n e d i v a l o r i, di una v i t t o r i a c o n q u i s t a t a c o n t r o s e s t es s i e contro ciò cui con più profondi e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per primo un capovolgimento della portata di un Talete, di un Copernico, di un Bacone, deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non molto diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di perfetta passività ed umiltà di fronte al suo Dio”.
L’”idolo” contro cui si è combattuto e si combatte ancora, per Colorni, “si è chiamato sistema geocentrico nell’astronomia tolemaica, causa finale nella scolastica, si è chiamato tempo assoluto in Newton e nell’elettromagnetismo classico, etere. In alcuni casi e per alcuni ricercatori si è presentato sotto la forma di c o s t a n t e u n i v e r s a l e” ( cfr. il frammento “Costanti universali e unità di misura”, con i “Dialoghi di Commodo”, 1939, III ).
Per proseguire uno spunto comparativo con Popper, introdotto di sopra, quel che Colorni confida, essere la scoperta scientifica ( e la sua coscienza epistemologica ) un “capovolgimento” affettivo, una “inversione di valori” e una “vittoria conquistata contro se stessi”( addirittura contro i “più profondi e tenaci vincoli” interiori – ovviamente rispetto alla concezione religiosa ), ricorda – mutato il dovuto – lo stesso sforzo di laicizzazione adempiuto dall’epistemologo austriaco, allorchè distingue “previsione” da “profezia” nelle scienze sociali( cfr. “Congetture e confutazioni”, ed. it., Il Mulino 1972 ), ossia il modulo teorico di liberazione dal messianismo profetico ( quindi,totalitario ) per procedere alla diversa e persino opposta visione del “colpo d’occhio”, della “previsione” a portata d’uomo, tipica della moderna scienza camerale, ossia la statistica, e della storiografia etico-politica (ossia, ad una visione “liberale” e non “olistica”della storia ). Ma lo sforzo di parallela laicizzazione, in Colorni, può spingersi fino al punto di gettar via il bambino con l’acqua sporca ? Questo è il punto.
In altri termini, la assunzione neo-kantiana, di tipo teorertico-trascendentale, come costitutiva del processo cogitativo dello scienziato ( la visione “panoramica” del genio einsteiniano, che raccoglie e ripensa le trasformazioni di Galileo e Lorentz, gli acquisti del Poincaré, gli esperimenti di Michelson-Morley e tant’alto ), può essere espunta dalla conoscenza scientifica? E questo sol perchéil rifiuto del dommatismo profetico si è fatto succo e sangue della moderna epistemologia scientifica ?
E’ una domanda che pongo nel massimo rispetto per la parabola umana e teoretica del Colorni; ma anche nel rispetto della verità e nella memoria della esperienza sul campo, sol che si pensi a quante volte l’approccio “empirico”, come tale, abbia indotto e favorito un grave equivoco nella “vulgata”delle opinioni scientifiche, in ambito multidisciplinare e istituzionale, associando ad es. immediatamente la “teoria della relatività” einsteiniana con il cosiddetto “relativismo” del drammaturgo e narratore Luigi Pirandello ( “Uno nessuno e centomila”, “Cosi è, se vi pare” ): cioè, “relatività” con “relativismo”( da parte la distinzione necessaria, in questi tempi di facili giustapposizioni, tra “pluralismo” e “relativismo”, che ho richiamato in “I principii costitutivi non cangiano”: “Storicismo non è relativismo”, Laterza, Bari 1992 ). Non è evidentemente così per l’Einstein, dal momento che possibilità di comparare diversi sistemi di osservazione è consentita solo a patto di mantenere una “costante universale” (la velocità della luce ), che veicoli entrambi i raggi o lampi riflessi nello specchio ( dello spettatore sulla banchina della stazione e del passeggere sul treno in transito: v. Einstein 1905 e altri ).
Chiarito pertanto l’ambito categoriale più corretto e avveduto delle profonde riflessioni colorniane in estetica ed epistemologia, è bene tornare agli acquisti dell’amico ebreo americano, anzi tedesco-americano, Hirscham. Storicamente, dopo aver studiato a Berlino, alla Sorbona, alla London School of Economics di Londra e a Trieste ( ove conquista nel ’38 il Dottorato in Economia ), combatte nella Guerra Civile Spagnola nel ’39; e, come accade a Max Ascoli, è aiutato dalla Fondazione Rockefeller, con una “Rockefeller Fellowship” in California, dal 1941 al ’43. E’ soldato dell’esercito statunitense ( ’43-’46 ); Capo della Sezione Europa Occidentale e Commonwealth Britannico del Federal Reserve Board ( ’46-’52); consigliere finanziario del National Planning Board della Colombia ( ’52-’54 ); infine consulente economico privato a Bogotà ( 1954-’56), docente alla Cattedra di Economia nella Yale University ( 1956-58), alla Columbia University (1958-1964 ), Harvard University (1964-1974) e al prestigioso Institute for Advanced Study di Princeton ( dal 1974 in poi).
I suoi studi più famosi vertono sulla “economia dello sviluppo” ( dove egli sottolinea l’ufficio della “unbalanced Growth”, della crescita non equilibrata ) e la “etica delle passioni” ( “Le passioni e gli interessi”, del 1977, ed. it. Feltrinelli, 2011; “Felicità privata e felicità pubblica”, ed. it., Il Mulino, 2013 ), con particolare riguardo ai “Passaggi di frontiera. I luoghi e le idee di un percorso di vita”, ed. it., Donzelli, 1994; ed a principii e forme che reggono la Economia politica non già da un punto di vista strettamente ‘tecnico’ ( come scienza cioè della produzione e distribuzione della ricchezza ), ma sotto specie ‘fenomenologica’ delle manifestazioni che si traducono in errori o perversioni, determinando “defezione” e “protesta”, o “futilità” e “pericolo”, secondo l’angolo visuale prescelto
( cfr., tra l’altro il saggio di C. Ocone in “Profili riformisti. 15 pensatori liberali per le nostre sfide”, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999).
E si hanno, allora: “Loyalty, Exit, Voice” ( veramente, in originale: “Exit, Voice and Loyalty. Responses to Decline in Firms, Organizations and States”, del 1970; in italiano, “Lealtà defezione protesta”, Bompiani 2002), per un versante; e “The Rhetoric of Reaction: Perversity, Futility, Jeopardy” (1991: come le “Retoriche dell’intransigenza. Perversità, futilità, messa a repentaglio”, Il Mulino 1991 ), per l’altro.
Reinterpretando, ho modificato l’ordine della prima “serie”, del resto nel conforto della traduzione italiana, per sottolineare il ritmo profondo della nuova legge delle “tre forme”, scaturita dalla ermeneutica dei modi categoriali, risposta necessaria alla crisi globale attuale del “liberismo” e del sistema “Welfare”. E così alla triade “Loyalty – Exit – Voice” ( Lealtà – Defezione – Protesta ), subentra, o può subentrare, l’altra triade: “Cum-petere” – “Deregulation – Voice”. Cioè: 1. Competizione leale ( mercato ), 2. Abolizione totale di limiti e regole ( crisi dei “subprime” americani del 2007-2008 ). 3. Legittimazione alla protesta.
D’altro canto, alla seconda legge scandita in ritmo ternario, delle “Retoriche della reazione”: “Perversity – Futility – Danger”, propongo di sostituire, attualizzandola ed estendendola dalla “reazione” alla stessa “progressiva rivoluzione”: “Welfare” – “Liceity on Debt”- “Danger”. E cioè: 1. “Welfare” come perversione dello statalismo. 2. Liceità d’indebitamento per gli Stati e le economie. 3. Pericolo o “messa a repentaglio” ( come nella bella traduzione in nostra lingua ).
Dove la sintesi dialettica resta identica, al terzo “momento”. Ricordate la etimologia della parola “barbaro”, dall’ebraico, “figlio del figlio di lui” ( “bar-bar-o”), nella filosofia della storia, il vichismo ottocentesco talora reazionario da me investigato in giovanili ricerche ( “Bernardino Maria Frascolla e un momento inedito nella storia della interpretazione cattolica di Giambattista Vico”con “Saggio inedito di B.M. Frascolla Sulla scienza dell’umanità”, in“La Cultura” del 1971 e “La Provincia e l’umanità. Saggi di storia intellettuale e civile”, Cadmo, Roma 1982, pp. 33-58)?

Ora, tutto il “processo” è attualizzato alla luce del nuovo schema, dei “Nuovi modi per la religione della libertà” ( Libertates.com; studio su “Max Ascoli e la libertà politica”, etc. ), mercé la filosofia dei “modi categoriali”, che aiuta a delucidare la fenomenologia di errori opposti ma convergenti, cifra teoretica della “complessità” della crisi mondiale. I lottatori, infatti – diceva Hegel – si abbracciano proprio nel contrasto della lotta.
Nella mia formulazione, si ottengono, e mantengono, al tempo stesso, la ricerca di “terza via”; il gusto per la visione “panoramica” dei problemi ( riconosciuta affascinante nella epistemologia di Eugenio Colorni, l’amico di Hirscham ); la novità complessiva della impostazione globale ( sperando sempre che lo sforzo ermeneutico non perda la propria “Wirkung” o “efficacia” storica e pratica, per confinarsi nelle specie della “Rhetoric of Interpretations”). Al qual fine, è sempre necessario ricorrere agli uomini di “acciaio” ( come li chiamava Guido Dorso ) ossia a quegli uomini moralmente “inflessibili” ( Max Ascoli ) nella gravità delle crisi storiche, in grado di riuscire a riequilibrare – nella “prudenza”dell’azione – opposte e convergenti fenomenologie dell’errore.

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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