“Bisogna scrivere con la pistola puntata alla tempia”
Giancarlo De Cataldo
Si sa, ad andarsene sono i migliori. Personalmente sentirò la mancanza dell’anchorman di “Atlantide” caratterizzato dal demone del polytropos, un curioso mélange tra Gianni Bisiach e Corrado Augias. Il 19 luglio 2023 – in occasione dell’anniversario della strage di Via d’Amelio, che coincidentia temporum! – è morto Andrea Purgatori all’età di 70 anni, probabilmente per una diagnosi errata che è dunque compatibile con il “cold case”: caso aperto, all’attenzione degli inquirenti che sospettano un delitto di malasanità nella Sanitopoli romana del privato dalle “magnifiche sorti e progressive”: bustarelle e “primarietti”, per dirla alla Mario Pirani. E a volte, ci cascano i migliori. Ironia della sorte, la vittima del cold case era l’esperto per eccellenza dei cold case: è successo anche a Donatella Raffai (sic!). Ma chi era Purgatori, l’uomo dalle mille facce che ha recitato anche una parte nella fiction “1993” di Giuseppe Gagliardi dove la sua cattiveria – più che bravura in senso artistico – esce fuori? Non c’è dubbio per chi scrive: uno dei migliori giornalisti d’inchiesta nella storia repubblicana e un fuoriclasse della comunicazione. Oltre che uno sceneggiatore che se la giocava con il poliedrico Giancarlo De Cataldo. Con lui, ho avuto ambiguamente due contatti da “covert actions”: letteralmente, azioni coperte; potremmo dire liaisons dangereuses; cioè relazioni pericolose nel “mondo di mezzo”. Alessandra Ardenzi mi perdonerà un eccesso di “edonismi calligrafici”… Ma di sicuro, Andrea Scanzi mi batte, tuttavia la sua stella secondo me non durerà in eterno, cara Alessandra: c’è un difetto di storytelling senza background nel clone clownesco di Marco Travaglio, anche se abbiamo in comune la passione per i piedi delle donne… Se chi scrive è bipolare, Purgatori era ipomaniacale con “doppia diagnosi”; dunque, io riuscii a contattare clandestinamente nel novembre del 2022 Rudy Guede, presunto assassino di Meredith Kercher e destinato a diventare professore di criminologia a Viterbo e gli feci avere la mia ultima fatica “Psicologia di artisti maledetti e delinquenti. Perché Soros è superiore a Freud. Che cos’è la Savant Syndrome. No alla diagnosi precoce della Clinica Psichiatrica di Pisa”. Orbene, come disse Luc Besson “i migliori sono i peggiori”; all’interno del mio volume c’era una proposta al dottor Guede: collaborare con me e Purgatori alla soluzione del cold case di Emanuela Orlandi (che Silvia Toffanin a Verissimo e Pietro Orlandi hanno detto che è viva: insieme), con tanto di numero di cellulare contattabile; ma Guede ha avuto la cortesia di non farsi vivo. In ogni caso, Purgatori – venuto in possesso del volume grazie a Rudy Guede – ha curato un documentario su Marilyn Monroe dove, ispirato dai capitoli su Norma Jean/Marilyn dove accuso lo psicanalista allievo di Freud Ralph Greenson di aver prima rovinato la sua “paziente preferita” con la psicanalisi e poi di omicidio colposo, ha intervistato Paolo Crepet per convalidare la mia ipotesi che esclude a fortiori il coinvolgimento dei fratelli Kennedy, ricattati dallo stesso Greenson (definii Crepet il “telepsichiatra basagliano”): è vero, il ghost writer – se così si può dire –, dell’intervista molto bella di Purgatori a Paolo Crepet, ero io (sic!) e non esiste il diritto di copyright. Pablo Picasso dixit: “L’artista mediocre copia. Il vero artista ruba”. Il secondo contatto con Andrea Purgatori è avvenuto il 2 aprile 2023 a Palazzo Ducale, mediato dai servizi: sembrava casuale, ma non lo è stato; nell’incontro che ho avuto con il direttore di Atlantide, gli ho consegnato brevi manu un dossier su Emanuela Orlandi di cinque pagine dal titolo “Appello a Sabrina Minardi: corri in Procura e torna a parlare”; Sabrina Minardi andrebbe messa sotto scorta e inserita nel programma protezione, proprio come l’ex irriducibile Pippo Calò; difficilmente succederà, perché come ho scritto allo stesso Purgatori nella lettera di accompagnamento al dossier, la figlia – legata al boyfriend Lucidi – è stata vittima di una covert action mascherata da incidente automobilistico nel 2008 e così Sabrina Minardi ha interrotto la sua collaborazione a 180 gradi con l’Autorità Giudiziaria e con Raffaella Notariale. Ma… non poniamo limiti alla Divina Provvidenza, e ogni tanto la Mano Invisibile fa miracoli. Sabrina potrebbe sempre cambiare idea…
Ora, chiedo scusa se violo la regola fondamentale di Indro Montanelli, un maestro per chi scrive: “un concetto per articolo”. Dicevo prima che Purgatori era ipomaniaco, che è l’equivalente in tono minore del disturbo bipolare: l’errore che il professor Giovanni Battista Cassano faceva era di confondere i bipolari con gli ipomaniacali vedendo il bipolarismo dappertutto (la sua ossessione), anche perché – sia detto di passata – soffriva tremendamente il cruccio di avere pazienti che accedevano a quegli stati di esaltazione che a lui erano preclusi per “disgrazia ricevuta” (lo si capiva quando parlava a me e mio nonno del suo rapporto con Indro Montanelli): quindi, se create (questa è la sostanza) siete malati, e io vi curo! Piero Ottone, dall’imparzialità senza pietas, si era accorto che Cassano era frustrato e dal tratto piccolo-borghese, per giunta (sic!); Ottone mi disse:
“Quando l’ho visto alla guida del suo Suv, se n’è accorto ed era imbarazzato. E’ una reazione del piccolo-borghese”.
Purgatori ha raccontato di essere precipitato tra gli “stati misti” dell’umore nel documentario “Vatican Girl” di Mark Lewis, quando si occupava del caso di Emanuela Orlandi per conto del Corriere della Sera e quando il direttore si rifiutò di pubblicare un suo articolo. Lo ha ricordato spesso quest’episodio, Purgatori. Anche a Palazzo Ducale il 2 aprile 2023, e con un’evidente amarezza. Ma è opportuno citare le parole esatte nello splendido documentario “Vatican Girl” del diretto interessato, non senza aver prima citato alcuni passaggi non esattamente condivisibili della giornalista specializzata in psicologia Serena Zoli, da chi scrive conosciuta a Palazzo Cusani a Milano nel maggio 2014, in occasione della presentazione del mio documentario ancorchè privo di valore estetico “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, con Dario Fertilio e Fiorella Minervino: nel suo articolo su Neuroscienze “Dalla depressione alla mania: sono gli “stati misti”, la Zoli scrive
(ma quest’affermazione non è universalmente valida, ndr):
“La condizione psichiatrica è diffusa, (non è una condizione psichiatrica, ndr) ma ancora poco conosciuta. Richiede una cura specifica: guai a partire con gli antidepressivi – Stati misti. Una forma si può quasi dire di disturbo bipolare che si sente poco nominare e che spesso anche i medici non (ri) conoscono. Addirittura, che l’ultima edizione della “Bibbia degli psichiatri”, il Dsm V, spinge a sotto-diagnosticare. Lo affermano gli autori di una ricerca della Stanford University, in California, che hanno sottoposto ad esame con una griglia di sintomi molto fine 907 persone con disturbo bipolare. Le visite sono state più di 14 mila tra 1995 e 2002. Il risultato finale, pubblicato sulla rivista American Journal of Psychiatry in Advance, è stato il riscontro di “stati misti” o “depressione mista”, nel 15% delle visite e in 584 pazienti, quasi il 65% del totale. Dunque, più “stati misti” che veri disturbi bipolari. Infine, questa misconosciuta condizione è stata rilevata più frequentemente nelle donne (40%) che negli uomini (34%), almeno come leggera eccitazione sotto soglia (ipomania) coesistente con uno stato depressivo.
GIOIOSI MA SFRENATI
Che sono questi “stati misti”? Lo spiega il professor Paolo Girardi, ordinario di psichiatria all’Università Sapienza di Roma: “Si chiama così la compresenza di sintomi di depressione e di sintomi di mania. A volte, anche il loro rapido avvicendarsi nella stessa giornata. Ci sono depressioni profonde col pensiero accelerato: fuga di idee, di propositi, tipici dell’eccitazione della mania, ma l’umore resta cupo. Oppure la persona può essere ansiosa, irrequieta, non sa dove fermarsi, tuttavia il suo stato d’animo è negativo. Al contrario, infine, ci può essere una forma di mania con gioiosità, umore molto alto, ma il pensiero è fermo e la persona non fa nulla, rimane immobile”. Già nella prima metà dell’Ottocento un clinico francese, Joseph Guislain, affermò: “Ho visto a volte la mania fondersi con la malinconia”. Ed Emil Kraeplin poco dopo ne distinse ben sei tipi. CRITERI INADEGUATI Invece il professor Girardi si associa alle critiche dei ricercatori di Stanford riguardo il Manuale Diagnostico Statistico: “L’edizione IV aveva delle maglie troppo larghe per rilevare questo disturbo, con l’edizione V del maggio 2023 è evidente che si è tentato di rimediare, ma non sono soddisfacenti neppure i criteri attuali”. Non riconoscere uno stato misto
confondendolo con semplice depressione può avere conseguenze gravi: “Prescrivendo un antidepressivo che è fatto per innalzare l’umore, posso scatenare di più lo stato di eccitazione provocando una esplosione maniacale” (fu l’errore che Giovanni Battista Cassano commise con chi scrive nel marzo 2008, ma in buona fede: “Cassano è un personaggio inquietante”, mi disse Gustavo Zagrebelsky in occasione del Festival del Diritto Costituzionale a Piacenza nel settembre del 2011, ndr). E invece? “Se c’è una depressione mista occorre sempre agire come se si fosse di fronte a un disturbo bipolare: prima cosa, curare lo stato eccitativo. Vanno dunque prescritti stabilizzatori dell’umore come carbamazepina, litio, valproato”.
GRANDE CAUTELA – Ci vuole molta cautela nell’affrontare questa malattia confusa. “E’ molto poco vivibile, lo “stato misto”, da grande sofferenza”, aggiunge il professor Paolo Girardi…”.
Prima di tutto, io personalmente ho diffidenza nei confronti dei medici missionari che hanno certezze che rasentano il fanatismo; in secondo luogo, caro Girardi lei dice che è un compito e/o dovere del medico curare lo stato eccitativo come “se si fosse di fronte a un disturbo bipolare”, ma come la mettiamo con Sigmund Freud che tra la depressione e la mania ha esposto la sua tesi sull’inconscio a Jean Martin Charcot, primario della Salpetrière? Se fosse stato medicalizzato, Freud non avrebbe avuto successo (sic!); le pagine di Irving Stone ci illuminano d’immenso. O lei è contrario al Successo, professor Girardi? Terzo e ultimo punto: “Lo stato misto, molto poco vivibile, da grande sofferenza”; quest’ultima affermazione provoca indignazione a chi scrive. Non è vero che la “condizione mista” da grande sofferenza, ed è una deduzione errata nel senso kantiano del termine: può provocare grande sofferenza, solo se si associa ad una “realtà oggettiva” (chiedo il copyright a George Soros), che è senza via d’uscita. Non si può ridurre la realtà alla ragione, ed è stata la grande illusione dell’illuminista Sigmund Freud: talvolta lo psichiatra, che erroneamente considera il freudismo una verità scientifica, si muove come un elefante in una stanza piena di cristalli. Che dire, poi, del fatto che Silvio Berlusconi ha realizzato il suo discorso sulla “discesa in campo” in politica tra gli stati misti? Uno “state of mind” compatibile con la Presidenza del Consiglio!
Veniamo così al racconto autobiografico di Andrea Purgatori alle telecamere di Mark Lewis per “Vatican Girl”, con un tocco di eleganza intrisa di narcisismo e il tono di voce “celoduristicamente compassato” (voce bassa): “… Scrissi subito (estate del 1983, ndr) un articolo per il Corriere della Sera, dove dicevo apertamente che c’era qualcos’altro dietro il caso di Emanuela. Nessun piano terroristico, solo crimine e denaro. Ovviamente, il Vaticano negò tutto. Di fatto, il giorno dopo, sentii dire la Sala stampa del Vaticano che si trattava di mera speculazione e di un attacco contro il Vaticano. Lo stesso giorno, il mio direttore mi disse che… non era più necessario che mi occupassi del caso, e che potevo farmi da parte. Per un verso mi sentii indignato, per un altro, ero orgoglioso. Pensando che questa fosse la verità.” Mark Lewis: “Lei stava scoprendo qualcosa?”.
Purgatori: “Sì, ero sulla pista giusta, penso.”
Ecco gli stati misti: liaison dangereuse tra eccitazione e frustrazione. Gli stati misti e il “punto di equilibrio” si incontrano. Che cos’è il “punto di equilibrio”? Volgarizzando, è la verità ultima. Guardate il film “L’attimo fuggente” con Robin Williams, morto suicida.
C’è un altro episodio che illumina – come smoking gun – la genialità di Purgatori, apparentemente cattivo con il trucco dello storytelling ma fondamentalmente buono. Dategli una maschera, e sarà sincero… Il film melanconicamente elegante di Marco Risi “Il muro di Gomma” sulla strage nei cieli di Ustica nel 1980 (le dichiarazioni in estate scorsa del giurista Giuliano Amato fanno venire i brividi), con la sceneggiatura al ritmo del cardiopalma di Purgatori che all’epoca era cronista di “Corriere Roma” ed ebbe informazioni privilegiate dai servizi militari: si trattava di un missile francese che avrebbe colpito per errore il Dc 9, anziché il terrorista turco Muammar Gheddafi. E nella sceneggiatura, Andrea raccontò di quando ebbe degli “agiti pantoclastici” in redazione in un momento di forte stress: stava per picchiare un suo collega, mettendogli letteralmente le mani
addosso; l’attore era tra l’altro sorprendentemente simile a Purgatori (sic!); se è vero che il falso e l’autentico rivaleggiano in parità…” Ma mvedi che faccia” (in romanesco, dice un collega che gli tira un pezzo di carta addosso, ndr). Ma che, te sei offeso?”: deliberata provocazione.
Purgatori, in arte Rocco, chiude velocemente il cassetto del tavolo a cui è seduto, e si dirige verso il collega molesto mettendogli le mani addosso: “Mahi rotto i coglioni”, e volano due pugni in faccia. “Ma che cazzo fai?!”. “Bastardo”; intervengono i colleghi a separarli. “Ah stronzo! A te sto cazzo de missile t’ha dato de testa”. Purgatori: “Basta, ho esagerato! Ti chiedo scusa”.
“Lo sai che te dico? Rocco, vaffanculo!”.
Tre indizi sono una prova. L’ultimo episodio degno di nota nel funzionamento monodirezionale nell’emergenza al massimo livello dell’investigatore Purgatori, è l’intervista da manuale – mi sia consentito dirlo – a Saverio Lodato per Atlantide nel documentario “Operazione Husky. Lo sbarco degli americani in Sicilia”. Orbene, curiosamente Purgatori ha realizzato lo stesso parallelismo tra Lucky Luciano e il film “C’era una volta in America” di Sergio Leone che due mesi prima di lui avevo elaborato – senza darvi corso – nella villa di Piero Ottone a Camogli in uno stato d’animo depressivo (sic!): io e Andrea avevamo la stessa intensità cerebrale (ancorchè a distanza). Dal mio saggio “C’era una volta in America Lucky Luciano”: “… Saverio Lodato: “Lucky inizia la sua attività di gangster senza avere la paratia mentale nell’organizzazione criminale dei siciliani. Il suo primo compagno di scuola è tale Lansky (Meyer, ndr), ebreo proveniente dalla Bielorussia che costituirà con Lucky Luciano le prime bande quando loro avevano dodici anni. A scuola. Imponevano un pagamento di penny…”. Purgatori ha un colpo di genio: “Sembra un po’ “C’era una volta in America” di Sergio Leone, eh… E’ quella la storia”; gli fa da sponda Lodato con gli echi di Ennio Morricone, non proprio riconosciuto dall’Accademia del Belpaese: “Molti registi si sono ispirati, Scorsese e altri…”.
Orbene, c’è in “C’era una volta in America” un passaggio che è più emozionante di altri, dove emerge il vero Salvatore Lucanìa: Noodles, il giovane teppista che da adulto diventerà Robert De Niro, incontra nel retro di un bar una giovane ragazza che sta studiando teatro per andare a Hollywood – la meta delle sue ambizioni (come in effetti accadrà) –, sorella del barista che prenderà in carico il negozio dai genitori nel Bronx: un omaggio alla massima di Pablo Picasso, “Impara le regole come un professionista affinchè tu possa infrangerle come un artista”; Noodles ha i vestiti sporchi, le calze maleodoranti, e tra la musica atemporale di Morricone – che fa piangere – si sente smascherato dalla ragazza che corteggia, quasi intimidito dalla sua superiorità. Il giovane teppista – che di accettare la “volgarità della routine” non ne vuole proprio sapere – tornerà dalla sua banda, immediatamente dopo al grido di: “Noodles! Dove sei?”.
Egli non voleva imparare le regole come un professionista; lui delinqueva perché vedeva l’orizzonte saltando il porto. Ma sarà meno fortunato nel suo percorso “azzardato” della ragazza prodigio che con sofferenza corteggiava, così simile a Grace Kelly…”.
Lui un fallito, lei una vincente.
C’era del perfezionismo maligno tanto in Sergio Leone, quanto in Andrea Purgatori. “Muore giovane chi è caro agli Dei”, recita un passaggio di Menandro. Che Purgatori possa avere il meritato riposo lassù. Con la Gelassenheit che il “fiato corto” del giornalista di razza gli ha negato.
Ci mancherai, Andrea.
di Alexander Bush