Una recensione di Renato Barilli
Nel mio attuale stato di bassa fortuna non mi posso certo permettere di disprezzare i “libri ricevuti”, dato che me ne arrivano ben pochi, accordo quindi un po’ di attenzione a “L’ultima diva dice addio”, di tale Vito di Battista, che mi sembra essere proprio come me un autore “tra presenza e assenza”, forse votato più alla seconda che alla prima. Infatti le note autobiografiche sulla bandella del libro assommano ad appena tre righe, un record in questo filone che invece altri nutre fino all’eccesso, e naturalmente non dicono quasi nulla. I caratteri a stampa sono anch’essi deboli, quasi al limite di una scrittura in inchiostro simpatico che potrebbe sparire da un momento all’altro, se non ci si affretta a leggerli. Nel testo colgo una frase che la dice lunga sull’intera operazione, infatti vi si parla di qualcosa che giunge con “50 anni di ritardo”, il che può divenire proprio la sigla dell’intero romanzo, dove semmai sarebbe da prolungare la lunghezza del ritardo, estenderlo al secolo e oltre. Pare di essere di fronte a un erede di Henry James intento a stendere un “Ritratto di signora” tardivo, fuori tempo massimo. Per di più la signora in questione è, come ci dice il titolo, un’”ultima diva”, una controfigura di Greta Garbo o di Marlene Dietrich, dal nome di Molly Buck, a cui il protagonista che dice io in queste pagine vota un culto supremo. Ma si tratta di una divinità cui rivolgere quello che si dovrebbe definire un culto negativo, più facile infatti dire che cosa questa “ultima diva” non è più, ogni suo dono e carattere va coniugato rigorosamente al passato, Un tempo era celebre, amata, riverita, al centro della vita mondana, ora se ne sta neghittosa, solitaria, ma assolutamente non vinta, anche se è avara in tutto, nel concedere memorie di sé, o queste emergono fuori con estrema difficoltà. Il suo devoto adoratore gliele deve strappare fuori dalla bocca come farebbe un dentista. Il personaggio è sfuggente, ma anche su questo piano è alquanto difficile ricostruire gli itinerari, le soste, le permanenze che ha condotte nel tempo. Dove, come, quando ha avuto davvero successo’ IlL nostro servitore fedele si sente perfino indotto a compiere un viaggio negli USA alla ricerca di un passato della diva, colmo peraltro di ombre che in definitiva egli stesso non ama dissolvere. Da ogni parte che ci si volta, insomma, si scorgono cartelli sul tipo di “non varcate quella soglia”. Come è negli articoli di ogni fede che si rispetti, bisogna credere sulla fiducia, sulla parola, o rifugiarsi in un “credo quia absurdum”. E proprio in ciò sta il fascino di questo esercizio così desueto, fuori moda e tempo, quando tutto attorno premono su di noi prodotti di rapida confezione schiacciati sulle modeste vicende del quotidiano. Qui invece c’è il bagliore di fiamme lontane, anche se il narratore si guarda bene dal precisarle troppo. Oppure sì, se indaga più a fondo, emergono immagini che emettono però il medesimo sapore di fantasmi di altri tempi. Come è il caso dell’unica parente della diva che assume qualche tratto fisso. Si tratta della sorella Anna, a cui però, neanche dubitarne, viene assegnato un profilo caratterizzato dai soliti “50 anni di ritardo”. Basti dire che questa congiunta è stata una ospite di case di tolleranza, ma quando erano di alto bordo, ben frequentate, e quindi essere legati a quel carro era quasi un segno di distinzione, non si confonda coi miseri bordelli di infino ordine. Tanto è vero che, udite udite, ne viene anche un’aspra condanna della legge Merlin, non si sa bene se pronunciata da Anna, meretrice di lusso, in carta patinata, o dal protagonista, o addirittura dall’autore, d’accordo con la sua creatura. Il tutto a ribadire l’aura museale, sotto campana di vetro, in cui si colloca questa prova, il che d’altra parte contribuisce a darle il fascino di quanto ci giunge quasi dall’altro mondo, quasi fuori classifica.
Vito di Battista, L’ultima diva dice addio, Società editrice milanese, pp.213, euro 15.
di Renato Barilli