“Errare humanum est, perseverare diabolicum” il detto latino si attaglia benissimo alla situazione dell’Atac di Roma, e del suo sindaco.
Se si possono concedere tutte le attenuanti (solo attenuanti, sia ben chiaro!) possibili alla Raggi per la situazione in cui si è venuta a trovare l’Atac, dato che ha ereditato una situazione già molto compromessa dalle precedenti gestioni, (situazione ben fotografata dall’articolo de “la Stampa” che pubblichiamo in Centro Studi Liberali) non si può negare che le sue ultime decisioni non siano farina del suo sacco.
E si tratta di decisioni che mostrano con chiarezza come la Raggi, e i Cinque Stelle, intendano gestire il problema del servizio di trasporto urbano a Roma.
Infatti, dopo aver sostituito ben tre amministratori delegati in un solo anno, ora la sindaca si è esibita in un numero degno del miglior sottogoverno e segno di disprezzo totale nei confronti delle regole di gestione di una società di capitali a diritto privato (almeno formalmente): il nuovo presidente della società è stato nominato contemporaneamente amministratore delegato e direttore generale. Un cumulo di tre cariche (e ovviamente tre stipendi) che contrasta con ogni regola di buon senso. Le tre cariche dovrebbero infatti esercitare un controllo reciproco e un bilanciamento di poteri all’interno della società, altrimenti tanto varrebbe nominare un capo unico di puro stile fascista o bolscevico.
Ma molto più grave è quanto fatto e dichiarato in risposta al referendum sulla privatizzazione dell’ATAC ottenuto dai radicali. Si tratta di una richiesta non solo di stampo liberale, ma anche in linea con quanto richiesto dalla UE e, soprattutto, l’unica mossa possibile per salvare il sistema di trasporto urbano della capitale.
Ebbene, proprio quei Cinque Stelle che hanno sempre proclamato di voler abbattere il sistema della politica, gli intrecci perversi tra politica, affari ed enti vari, hanno affermato con assoluta certezza che mai l’Atac verrà privatizzata, né che il servizio verrà messo a gara: l’Atac rimarrà un ente partecipato (cioè comunale) e si farà di tutto per svolgere il servizio “in housing”, cioè affidarlo con trattativa diretta senza alcuna gara.
Ciò significa in altre parole continuare con il sistema attuale: gestione diretta delle partecipate da parte della politica, intrallazzi di ogni tipo e genere; tutto nell’ottica della ricerca del consenso, dell’interesse privato, dell’utile reciproco in un intreccio opaco e inestricabile di interessi.
Esattamente l’opposto di quanto chiesto da Libertates: che l’ente pubblico faccia i bandi, metta a gara i servizi, controlli l’andamento e punisca le eventuali mancanze.
Che l’ente pubblico faccia cioè quello che dovrebbe fare: l’interesse dei cittadini e non l’imprenditore in proprio
di Angelo Gazzaniga