Le via dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni, diceva i proverbio.
Ed è quello che può succedere con certe direttive UE che, se suggerite dalle migliori intenzioni di avere un futuro migliore per tutti noi, dimostrano come decisioni prese con motivazioni ideologiche e astratte, fuori dalla realtà e dalle condizioni operative reali si trasformino poi all’atto pratico in lacci inestricabili, spese aggiuntive e perdita di competitività.
Un esempio lampante ci è dato da una Direttiva europea che entrerà in vigore nel 2024, la Corporate Sustainability Reporting Directive. Detto in parole povere una Direttiva che prevede che le imprese di grandi dimensioni e quelle piccole e medie di interesse pubblico debbano includere nella relazione sulla gestione tutte le informazioni necessarie a comprendere l’impatto che l’impresa ha sulle questioni di sostenibilità ambientale nonché tutte le informazioni necessarie a comprendere come queste influiscano sui risultati dell’impresa.
Un’operazione che richiede costi aggiuntivi non indifferenti (e inutili alla migliore gestione), capacità non comuni di immaginazione (come faranno le mie politiche aziendali a contenere l’aumento del clima entro i fatidici 1,5°?) e danno un vantaggio a quei competitori che di questi problemi non si interessano.
Ecco l’eterogenesi dei fini, specie quando si parla di un Europa che già fatica a seguire il passo degli altri competitori mondiali. Ci occorre maggiore efficienza, maggiore competitività, non maggiore burocrazia inutile,
Altrimenti rischiamo di morire di buoni propositi: questi sarebbero i temi da affrontare, non le licenze dei taxi.
di Angelo Gazzaniga