Sei anni sono passati da quando Vladimir Bukovskij, il presidente generale dei nostri Comitati per le Libertà, denunciava in un saggio famoso (“EURSS, Unione Europea delle Repubbliche Socialista Sovietiche”, pubblicato da Spirali) la deriva socialista, centralistica e burocratica della Ue. Aggiungeva, attingendo agli archivi un tempo segreti dell’Urss, che il piano di conquista ideologica strisciante delle istituzioni comunitarie era stato progettato, e presentato all’allora Politburo, direttamente da Gorbaciov nel 1987.
Oggi dobbiamo prendere atto che, almeno nelle sue linee generali, quella denuncia aveva un solido fondamento. Sempre meno la Commissione di Bruxelles si accontenta di indicare linee politiche generali, delle quali i singoli Stati (con i loro governi, gli unici ad essere stati democraticamente eletti oltre all’ectoplasmatico parlamento di Strasburgo) possono farsi liberi interpreti. Sempre più, complice la crisi e il “fiscal compact”, Commissione ed Eurogruppo dettano regole con l’arroganza di professori che hanno a che fare con scolaretti inadempienti. E il bello è che, sordi al montare ormai evidente fra i cittadini dell’euro-insofferenza, i politici italiani si sentono in dovere di affettare una compunta obbedienza “a quel che ci chiede l’Europa”. Ma che cosa ci chiede concretamente questa Europa?
La Commissione, non è chiaro autorizzata da quali poteri, boccia la tassa dell’IMU sulla prima casa (proprio quella che Monti aveva deciso di introdurre “perché la chiedeva l’Europa”) affermando che essa è “troppo poco progressiva”. Ma chi autorizza gli eurocrati a imporre le loro filosofie monetarie – profondamente antiliberali – a paesi fino a prova contraria sovrani? Il principio della progressività è se mai presente (purtroppo) nella Costituzione italiana (articolo 53), bilanciato però dalla tutela del risparmio e dalla difesa della proprietà sulla casa (articolo 47). In ogni caso, soltanto una impostazione socialista – direbbe nuovamente Bukovskij – può negare il principio della “proporzionalità” delle imposte, cosa ben diversa dalla “progressività”. Senza contare il fatto che l’attuale peso fiscale sugli immobili sta già avendo effetti devastanti sul risparmio diffuso, sul mercato edilizio, sull’industria delle costruzioni. Tassare ancor di più gli immobili non potrà che portare a una ulteriore riduzione dell’offerta, minori ristrutturazioni del patrimonio invecchiato e una corsa agli aumenti degli affitti appena la crisi dovesse esaurirsi. La progressività voluta dalla Commissione Ue non ha senso neppure in termini di equità: colpisce una sola possibile fonte di reddito, anziché il complesso dei redditi e dei beni posseduti dalle famiglie. Del resto, l’imposta sul reddito è già aspramente progressiva e punitiva verso i ceti medi: calcare ancor più la mano equivarrebbe ad aprire una “strategia di esproprio”.
E’ questa la saggezza degli eurocrati? Dobbiamo tributare una standing ovation al presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, il quale lancia la bella idea del salario minimo garantito, tanto per dare la mazzata finale alle imprese in ginocchio, aprendo il parco riserve dei giovani (e meno giovani) disoccupati, sotto-occupati e lavativi di professione?
O non è giunto il momento di dire basta all’EURSS, senza paura di sembrare euro disfattisti? Meglio cambiare e rifondare l’Europa, che continuare così.
Gaston Beuk