Bambini morti nel Mediterraneo. Come scappando da Cuba

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Un’altra immagine da Cuba; il massacro dei fuggiaschi

Le immagini di coloro che perdono la vita nel tentativo di superare la prima tappa del loro viaggio verso il Nord Europa, quella del Mediterraneo, continuano a colpire persino le persone meno sensibili. Anche se, nella memoria della retina, inizia ad allontanarsi l’immagine del bambino ormai senza vita, spinto a riva dalle onde come se fosse un pezzo di legno. Straziante. Più lontane dagli occhi, meno vicine dal cuore: le immagini. Sarà questo il motivo per cui, quasi nessuno, in Italia, nonostante le ripetute denunce da parte dei tanti attivisti per i diritti umani in merito a quello che da anni accadeva nel nostro, di Mediterraneo, ha mai parlato di questa nostra tragedia?
Mi chiedo: gli italiani saranno in grado di comprendere e di avere la consapevolezza di quanto sia drammatica la situazione cubana?
Sono circa 80.000 i cubani scomparsi nello Stretto della Florida, il tratto di mare che separa Cuba dagli Stati Uniti, e fra loro molti bambini. Alcune storie sono più toccanti di altre perché hanno lasciato dei testimoni, dei sopravvissuti che hanno potuto raccontare quello che era successo, e delle immagini, indelebili.

Il 13 luglio 1994, 44 persone, di cui 19 bambini, a bordo del rimorchiatore “13 Marzo” sono state uccise dalla guardia costiera castrista. Sono morti nel modo più spregevole che un essere umano possa concepire, paragonabili ai campi di concentramento di Adolf Hitler o ai campi di lavoro di Stalin. Invece di provare pietà per le urla di disperazione delle madri che chiedevano di salvare i loro bambini prima che il rimorchiatore speronato dalle navi della guardia costiera affondasse, i militari, utilizzando i potenti getti d’acqua degli idranti, facevano volare in aria i piccoli corpi. Perché l’ordine di Castro era di non lasciarli andare!

Forse i pregiudizi ideologici di una buona parte dell’umanità sono talmente grandi e perversi, e talmente grande è il carisma di Castro e la simpatia che si prova per “il tiranno del Caribe” che quasi nessuno ha mai voluto denunciare questo crimine.

Forse ora molti italiani capiranno il perché delle nostre grida davanti nelle sedi diplomatiche castriste e sulle strade italiane. Forse tanti giornalisti capiranno finalmente le mie grida di rabbia genuina di diversi anni fa, quando ero più giovane e avevo più energia, e forse meno maturità politica. Capiranno che non sono stato estremista nella stesura del mio testo “Fidel Castro. L´abbraccio letale”. Capiranno finalmente che non è vero che il cubano è felice, che canta e balla… Capiranno che chi oggi, a Cuba, canta e balla, domani forse si suicida, in mezzo alle fiamme o sul carrello di un aereo in viaggio verso Madrid o Londra.

Carlos Carralero

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