Bartali segreto, il meglio della Resistenza

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Un lato poco noto del campione ciclista

Gino Bartali, nato a Ponte a Ema (Firenze) nel 1914, è stato uno dei più famosi campioni di ciclismo. Vincitore di tre Giri d’Italia (nel 1936, 1937 e 1946) e due Tour de France (nel 1938 e 1948).
Parla Gioia, la nipote che vive in provincia di Macerata.
“Il nonno che aveva  sposato Adriana, ebbe  tre figli: Andrea, mio padre, Luigi e Bianca. Salito in sella  per la prima volta a tredici anni, Gino Bartali iniziò a correre insieme al fratello Giulio, che purtroppo morirà in un incidente nel 1936.  Papà,  che è mancato lo scorso giugno,  era uno de pochi custodi di un segreto del nonno”.
Che genere di segreto?
“Nonno Gino gli chiese di non rivelarlo se non quando i tempi fossero maturi. Dopo la sua morte nel 2000 papà impiegò tre anni a raccogliere documenti e testimonianze. Da cui emerse che…”.
Suo nonno ha fatto cose mai dette?
“Uno degli aspetti meno conosciuti  è che mio nonno ha salvato molti ebrei. Egli era molto legato all’Arcivescovo Angelo Elia Dalla Costa, allora vescovo di Firenze. Si conoscevano da prima della guerra.  Egli da sacerdote aveva celebrato il matrimonio e il battesimo di papà
Andrea. Chiamato dal presule fiorentino dopo l’occupazione tedesca in Italia nel settembre 1943, Bartali giocò un ruolo molto importante nel salvataggio degli ebrei da parte della Delegazione per l’assistenza
agli immigrati (DELASEM), rete avviata dallo stesso Dalla Costa e dal rabbino Nathan Cassuto”.
Quanti ebrei ha salvato tuo nonno?
“Almeno 800 secondo le testimonianze  dirette. Voleva essere ricordato come campione e non come eroe. Rischiò la propria vita  e l’incolumità della famiglia”.
La sua notorietà poteva essere un alibi per eludere dei rischi?
“Bartali, che per allenarsi era noto coprire almeno 300 chilometri al giorno, alla nonna diceva che si allenava, invece era diventato un corriere per la Resistenza. Trasportava denaro e documenti falsi nel manubrio e nella sella della sua bicicletta, e poi li consegnava alle
famiglie dei perseguitati tra Firenze e Assisi.  Molti partirono con documenti falsi dal porto di Genova. Quando veniva fermato e perquisito, il nonno chiedeva espressamente che la bicicletta non venisse toccata, giustificandosi dicendo che le diverse parti del mezzo erano state attentamente calibrate per ottenere la massima velocità. Il più delle volte i militari nazifascisti chiedevano un autografo al campione”.
Sono diverse le testimonianze dell’opera di salvataggio di Bartali?
“Prima tra tutte quella di Giulia Donati, una donna fiorentina che dal 1974 vive in Israele, a cui Gino consegnò personalmente i documenti di identità falsi  che salvarono tutta la sua famiglia. Un altro
testimone, Renzo Ventura, ha dichiarato che, durante l’occupazione nazista, sua madre Marcella Frankenthal Ventura aveva ricevuto documenti  dalle mani di Bartali, portati loro dal ciclista per conto
del vescovo fiorentino”.

Gino Bartali aiutò a salvare anche la famiglia Goldenberg, che il campione incontrò per la prima volta a Fiesole nel 1941.
“Shlomo, che allora aveva 9 anni, ricorda un incontro con il ciclista e suo cugino Armando Sizzi, amico dei Goldenberg. L’uomo ancora oggi mantiene viva l’immagine di quel momento, anche perché Bartali gli
regalò una bicicletta e una sua foto con dedica. Quando più tardi, dopo l’occupazione tedesca, i Goldenberg furono costretti a nascondersi, Bartali offrì loro rifugio in uno scantinato che possedeva in comproprietà con Sizzi”.
Ma i sospetti dei servizi segreti fascisti aleggiavano?
“Ricercato dalla polizia fascista, Bartali sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici. Ma fu prelevato per due giorni dalla banda Carità, la quale chiese conto di una lettera
del Vaticano cle lo ringraziava per gli aiuti dati. Il nonno sostenne che sosteneva con i suoi risparmi le famiglie bisognose. Fu rilasciato grazie a un suo vecchio commilitone che faceva parte della banda”.
Che riconoscimenti ha avuto tuo nonno?
“Dopo la morte la famiglia ha ricevuto la medaglia d’oro al merito civile nel 2005, Gino Bartali è stato riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” in Israele da Yad Vashem il 23 settembre 2013”.
Quando suo nonno vinse il Tour de France nel ‘38 non aveva distintivi fascisti e durante la cerimonia di premiazione non si prestò al saluto romano.

“Aveva sempre con sé il distintivo dell’Azione Cattolica. Quando rientrò in Italia, Mussolini volle incontrarlo  e lo trattò freddamente. Mio nonno era molto religioso. Uomo di fede, aveva una cappellina in casa. Non riusciva a pregare in chiesa a causa della sua
notorietà. Io ricordo quelle cerimonie semplici e intense. Era diacono carmelitano e fu seppellito con il mantello dell’Ordine”.
Che cosa le ha trasmesso suo nonno?
“La fede, il coraggio, la lealta e la semplicità; era un nonno con la tenerezza di tutti gli altri nonni . Non immaginavo la sua straordinaria bontà. Tempo fa ho inugurato una scuola elementare a Reggio Emilia che gli è stata dedicata. Non immaginavo che i bambini
si fossero preparati sul nonno. Ne sapevano quasi più di me. Mi consola sapere che questi bambini abbiano compreso il perché del silenzio del nonno. Fare del bene ma tacere per non apparire e lasciare che il lievito dell’amore si diffonda soavemente”.

di Filippo Senatore

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