Ma siamo proprio sicuri che la figura di Berlinguer, tanto celebrata in questi giorni, abbnia fatto il bene dell’Italia?
Ma perché nella sinistra post-comunista, e non solo, non si accetta alcuna discussione critica su Enrico Berlinguer? Per loro l’ex segretario del Pci è una specie di ‘santo’ intoccabile, un alfiere del bene senza macchia. D’accordo, le tragiche circostanze della sua morte (venne stroncato da un malore, a soli 62 anni, durante un comizio) favoriscono certamente una simile ‘elevazione’ a entità sovrumana, ma non possono e non devono cancellare l’uomo ‘Berlinguer’, con le sue vittorie e le sue sconfitte, con i suoi meriti e le sue colpe. E questo perché verrebbe fatto un torto alla storia e, in fin dei conti, allo stesso leader comunista.
Innanzitutto Berlinguer non può essere ritenuto un ‘padre’ della nostra democrazia liberale. E questo perché fu e rimase per tutta la vita un marxista-leninista che guardava con occhio diffidente la democrazia italiana. Anche le battaglie che decise di combattere furono quasi tutte di retroguardia e perdenti. La più famosa probabilmente fu il braccio di ferro che intraprese, assieme alla Cgil, contro il governo guidato dal socialista Bettino Craxi a causa del taglio della ‘scala mobile’ (l’indicizzazione automatica dei salari all’inflazione, che era però arrivata a produrre essa stessa inflazione) deciso da quest’ultimo. Gli altri sindacati si dissociarono e fecero bene, perché gli italiani con un referendum bocciarono sonoramente l’abrogazione del taglio proposto da Berlinguer.
Poi, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, irrompe sulla scena la famosa ‘questione morale’, che purtroppo l’Italia si porta dietro ancora oggi. Incapace di elaborare una seria proposta alternativa rispetto ai partiti democratico/liberali, il segretario del Pci ha un colpo di genio e sposta tutto sul piano della cattiva condotta morale dei partiti avversari, che hanno ‘avvelenato’ la vita pubblica italiana. Certo i suoi avversari gli hanno dato degli assist formidabili, a causa della corruzione dilagante, ma con questa mossa Berlinguer riesce a coprire in modo insperato l’assoluta mancanza di proposte politiche e di prospettive del suo partito. E poi, negli anni successivi, il tema della ‘questione’ o ‘superiorità’ morale venne ripreso da partiti che avevano poco da dire, se non sbandierare il vessillo del moralismo. Tra gli altri, vale la pena ricordare il primo Partito democratico della sinistra, l’Italia dei Valori e (ultimo in ordine di arrivo) il Movimento 5 Stelle.
A questo punto però va sgombrato il campo da un possibile equivoco. I Comitati, infatti, ritengono che l’onestà e la fermezza morale siano due condizioni fondamentali per fare politica. Potremmo dire due pre-condizioni, senza le quali non ci si dovrebbe nemmeno avvicinare alla cosa pubblica. Però quando si scade nel moralismo fine a se stesso, allora è un’altra cosa. La ‘questione morale’ può essere una base di partenza, ma poi servono contenuti e proposte, altrimenti si rischia di non realizzare mai nulla di concreto per il Paese. Insomma, di fare come Enrico Berlinguer.
Flavio Stilicone