Riaperto il fascicolo, già abbondantemente archiviato, sull’affaire Berlusconi Dell’Utri
Il fatto che non sia stata ancora varata la necessaria separazione delle carriere che non era prospettata dal megalomane borderline Licio Gelli ma dal prudentissimo Giovanni Falcone, espone ormai cronicamente l’Italia al rischio delle cripto-imputazioni in contrasto con la stessa “notizia di reato”! Tradotto: si possono riaprire dei fascicoli investigativi già archiviati a carico di Berlusconi e Dell’Utri in ben seicento – dicasi seicento! – pagine fondate sul deserto probatorio più totale da mancati sceneggiatori del Romanzo Criminale, a dispetto delle notitiae criminis sui reati minori che vanno tranquillamente in prescrizione.
E’ curioso notare come già nel surreale decreto d’archiviazione –tale perché viziato dall’impostazione accusatoria “pasoliniana”– a carico dei soggetti Berlusconi e Dell’Utri per concorso in strage, il giudice Tona fu costretto ad ammettere in ben 73 pagine (sic!) che Borsellino non indagò mai né Berlusconi né Dell’Utri per reati associativi. E che dunque manca tout court il movente dell’assassinio ipotizzato in pregiudizio alle persone qui nominate, ma poiché questo fatto di importanza enorme avrebbe smontato da solo l’intero castello accusatorio il giudice Tona cerca di salvare i pubblici ministeri con un’archiviazione cerchiobottista così riassumibile: da un lato è costretto ad assolvere i due noti personaggi da ogni fantapolitica accusa di strage, tuttavia per evitare alla Procura di Palermo l’estremo imbarazzo di una sconfessione integrale del teorema pasoliniano sostiene a) che comunque resta l’ombra pesante di imprecisati rapporti a carattere finanziario con il crimine organizzato!, b) che le dichiarazioni di Salvatore Cancemi e satellitari pentiti sono palesemente contraddittorie, ma comunque interessanti ai fini dell’accertamento della verità in relazione all’ipotesi dei cosiddetti “mandanti occulti” delle stragi mafiose; sconcerta pertanto il linguaggio anti-giuridico del cosiddetto giudice terzo che fotografa de facto l’impostazione di quella stessa Procura che in parte censura, ma non solo; si tratta certamente di un abuso d’ufficio molto grave, all’interno della narrazione infinita della “giustizia creativa”. Cioè della giustizia senza giurisprudenza.
di Alexander Bush