Qual è il senso giuridico della “famigerata” norma della non punibilità penale di un’evasione sotto il 3%?
Luigi Ferrarella commentando il cosiddetto “decreto salva Berlusconi” sul Corriere del 5-1- 15, ha affermato che ” ora non può finire solo con il ritiro dell’articolo 19-bis, ibrida “clausola di non punibilità” che “per tutti i reati del presente decreto”, metteva al riparo chi evade in una modica quantità (come la droga) stabilita in un per nulla modico 3% dell’imponibile dichiarato. Clausola che nel passato calza a pennello alla sentenza di Berlusconi, e che per il futuro equivale tra l’altro anche ad autorizzare (e quasi incentivare) una media-grande impresa, ad esempio da 50 milioni di imponibile, ad accantonare impunemente un milione e mezzo di “fondi neri” utilizzabili per alimentare poi tangenti”.
Di Berlusconi diremo subito appresso.
Quanto alla misura dell’evasione non punibile è subito evidente che il 3% dell’imponibile dichiarato può essere tanto o poco, ma è sempre tale su un imponibile di 100 euro piuttosto che su un imponibile di 50, od anche 500 milioni di euro, nel senso che ha sempre lo stesso rilievo relativo, idoneo ( o non ) a rendere credibile un’evasione gravemente dolosa; idoneo (o non ) ad incrinare irrimediabilmente il rapporto fisco/contribuente, non bastando una semplice sanzione amministrativa, oltre naturalmente, il pagamento dell’imposta evasa. Ma soprattutto non è accettabile la motivazione addotta per superare preventivamente questa fin troppo facilmente prevedibile obiezione, e cioè che la norma equivarrebbe ” anche ad autorizzare (e quasi incentivare) una media-grande impresa, ad esempio da 50 milioni di imponibile, ad accantonare impunemente un milione e mezzo di “fondi neri” utilizzabili per alimentare poi tangenti”. Si tratta di un argomento- inventato inizialmente e ripetutamente sostenuto dalla magistratura, anche in relazione ad altri reati come ad esempio il falso in bilancio- che non è solo infondato, è estremamente pericoloso. Infatti, sul presupposto che una condotta, lecita in sè, potrebbe favorire eventuali reati, estenderebbe senza limiti la punibilità di qualsiasi condotta. Ad esempio, essendo indubbio che in ogni luogo ed in ogni tempo una certa percentuale dell’umanità ha tenuto comportamenti delittuosi e che quindi è fondatamente prevedibile che altrettanto faranno i nuovi nati, si potrebbe ucciderli o incarcerarli tutti, conseguendo sicuramente il risultato di impedire delitti, anche ben più gravi dell’evasione fiscale. Ed in effetti Erode lo ha fatto. Ma si tratta di una delle rarissime eccezioni al principio giuridico plurimillenario secondo cui si puniscono i delitti commessi, od almeno tentati, non quelli che si potrebbero commettere. O addirittura che potrebbe commettere una parte degli appartenenti ad una certa categoria.
E veniamo a Berlusconi. Il “ragionamento” di Ferrarella presuppone un dovere di sottoporre ogni nuova legge ad un esame preventivo per verificare se giova o meno a Berlusconi (o a qualsiasi altro singolo cittadino). Infatti, in tal caso, sarebbe stato certamente colpevole aver omesso tale verifica. Viceversa, se non esistesse siffatto dovere, non solo sarebbe molto più probabile e verosimile non pensarci, ma sarebbe illecito- e quindi tanto più gravemente colpevole quanto più politicamente rilevante il cittadino preso in considerazione- pensarci e addirittura tenerne conto. E siccome il suddetto dovere, per fortuna, in Italia ancora non esiste (almeno ufficialmente) il “ragionamento” di Ferrarella ( e di tantissimi altri ) è pura e semplice follia giuridica da accantonare, tamquam non esset.
Con una sola preoccupazione: che Ferrarella non si fosse ispirato al principio altrove (ad esempio per le rogatorie) sostenuto dalla magistratura, secondo il quale la prassi sarebbe prevalente sulle leggi. Infatti in tal caso- essendo il pregiudizio antiBerlusconi effettivamente sussistente e radicato- il Governo sarebbe colpevole di non averne tenuto conto. Ma in tal caso sarebbe anche puerile gingillarsi con distinzioni tra comportamenti leciti o illeciti.
Ferdinando Cionti