“Per l’Albatros un articolo di Giuseppe Brescia su “Bussola liberale e vertigine etica”.
Premesso che “per il diritto le campane suonano a morto” ( diceva il teoreta e teologo Italo Mancini nella sua “Filosofia della prassi” del 1986 ), è anche vero però che, come la libertà popperianamente è “eterna vigilanza”, così si rende necessario, di ora in ora, interpretare la gravità della crisi italiana. Nel disagio della “religione della libertà” ( che certo non va confusa con la “religione delle fondazioni bancarie” ), finisce allora per risaltare il pregio del bisogno religioso di “fede” ( con un curioso parziale capovolgimento d’orizzonti ). Ma, prima, occorre percorrere taluni aspetti della genesi della crisi.
Dei “valori”, quanto più preziosi ( giustizia, libertà, pace, solidarietà e via ), tanto più cauto e discretivo dovrebbe esserne il modo d’adozione. Il cattivo uso della giustizia, ai primi anni Novanta, portò a obliterare la parabola del giudice iniquo, o meglio della Vedovella e il Giudice, in Luca 18 (“Fammi giustizia contro il mio avversario”). E portò a “Illegality is Legality”; “Guarantee is Pain”; “Autonomy is Eteronomy”, attualizzazioni del linguaggio capovolto di George Orwell. Si rivedano i miei “Ethos e kratos” e “1994” ( rispettivamente del 1994 e 1997 ); con l’appello ai vescovi italiani di Giovanni Paolo II del 23 maggio 1997 ( “Mi preoccupo per l’Unità d’Italia”, sul “Corriere”).
Scoppiava poi, a tenue compensazione, il caso della Commissione Mitrovkin ( di fatto affossata ), a seguito delle rivelazioni dell’ ex colonnello del KGB, consegnate allo speciale volume edito da Rizzoli e a una vasta pubblicistica ( ad es.: “Rete KGB, svelati i nomi: Cossutta tra i politici”, nel “Corriere della Sera”, apertura del 12 ottobre 1999; “Inchiesta parlamentare sul caso KGB”, ivi, 13 ottobre 1999; “Giudice Priore: caso KGB, reati da ergastolo”, ivi, 14 ottobre 1999; “L’uomo dei codici KGB: così sceglievano i nomi”, ivi, 16 ottobre 1999; “Mitrovkin: Vi racconto una vita da spia” e altro, sul “Giornale” di Domenica 17 ottobre 1999; anche con il mio saggio “Oro di Mosca”, su “Puglia” del 12 ottobre 1999, a commento del volume omonimo di Valerio Riva, edito per i tipi di Mondadori ).
Nonostante tutto ciò, riuscirono a rintuzzare gli effetti, ‘prima facie’ devastanti, di tali rivelazioni, gli interventi di Claudio Magris, “Il dossier, i sussurri e le grida. Spie autentiche e fasulle” ( nel “Corriere” del 18 ottobre 1999 ) e via facendo degli ispiratori di successivi passaggi legislativi. Non è chi non veda che è forse lì che si è perduta la battaglia per la cosiddetta “giustizia giusta”, per la distinzione dei poteri e delle carriere, e la limitazione del metodo ‘controriformistico’ della carcerazione preventiva, dal momento che al colpo non definitivamente assestato all’organicismo ha corrisposto la successiva sistematicità della gestione strategica della giustizia. Si potrebbe con scherzosa serietà dire che si hanno ancor oggi, in Italia, i nostri bravi “Coreani del Nord” a petto dei “sud-coreani”, equivalendo sostanzialmente gli altri militanti o esponenti del Partito a vaganti “ectoplasmi”. Sorge spontanea la domanda: e se all’ex Premier di Forza Italia fosse stata fatta “pagare”, con “atti amministrativi” ‘à la’ Koestler, di “Buio a Mezzogiorno”, proprio la pubblicazione de “L’oro di Mosca” o del “Libro nero del comunismo” ( quale scandalo fu al Congresso, la diffusione gratuita del libro ! ).
Come in fisica quantistica, si vede effettivamente quel che si tenta di vedere ( velocità, o posizione, delle particelle, alternativamente: principio di ‘indeterminazione’ di Heisenberg ). E inevitabilmente l’assioma ritorna: “L’osservatore influenza la realtà osservata”. Mi sta in mente il sommo poeta della “Casa dei doganieri”: “Libeccio sferza da anni le vecchie mura / e il suono del tuo riso non è più lieto: / la bussola va impazzita all’avventura / e il calcolo dei dadi più non torna. / Tu non ricordi; altro tempo frastorna / la tua memoria; un filo s’addipana. / Ne tengo ancora un capo..” ( “Le occasioni”, 1939 ). Dove il “filo” è, concettualmente, la ideale “contemporaneità della storia”, che fa “capo” al “problema” di volta in volta accattivante l’ animus dello storico, interprete del tempo.
E in questo caso, il “problema” è la acuta percezione della “vertigine” della crisi: ancora più in particolare, nel suo seno, la “crisi” del linguaggio e del diritto, manifestazione della crisi della libertà, come “ecclesia pressa” ( direbbe Croce ).
Sì, in questo modo e luogo, la “poesia è messa in opera della verità”; o “disvelamento dell’essere” ( da Heidegger all’Assunto ). Ma anche confortatrice e combattitrice, nell’ora del bisogno. Sì che, imprevedibilmente, il bisogno di verità emerge dal dibattito a proposito degli interventi di Papa Bergoglio ( v. i miei testi su “Libertates”, “A proposito del rapporto tra scienza e fede”; “Scaltrezza mondana e scaltrezza chiesastica. Il nuovo Iperione”; “Ancora su Croce il cristianesimo”; o su “andrialive”, con “Sterco del diavolo” e “Sorprendente Luca: la Forza dell’Antico Testamento”); sino alle cosiddette “Larghe intese marxisti-liberali in nome di Papa Ratzinger”, ampio rapporto di Antonio Socci su “Libero” del 1° novembre 2013.
Vi si dà conto della intesa parzialmente insospettata tra l’operaista Mario Tronti, Beppe Vacca, il rimpianto Piero Barcellona, Eugenia Roccella et alii con il gruppo di Ernesto Quagliariello e Maurizio Sacconi ( Convegno di “Magna Charta” a Norcia del 26 ottobre 2013 ): intesa che afferma il riconoscimento, esser, quello di Ratzinger, “un tentativo eroico di arginare la forma moderna dell’Anticristo”.
Ora, da parte che “Magna Charta” è fondazione voluta da Marcello Pera ( proprio a dialogo con Papa Ratzinger, in “Senza Radici”), non varrebbe meglio la pena di tornare correttamente al Croce di “Perché non possiamo non dirci cristiani” del 1942 ( v. i miei “Croce e il cristianesimo” e “Sturzo e Croce”, Acton Institute, 2003 e 2006 ), anziché accreditare – certo a un livello più sofisticato – la riconquistata egemonia neogramsciana, nelle “casematte della cultura” ( Treccani, RAI, Università, organizzazione giornalistica ed editoriale, etc. ) ? Questo è il punto. Può, magari, andar bene la moratoria provvisoria su alcuni “temi eticamente sensibili”. E con ciò ? E dopo di ciò ? Val meglio ricostituire un connettivo più profondo, e di cultura, e di fede liberale, certo valutando e rispettando il pensiero dei Pontefici ma anche laicamente sceverando lo strategico dall’eterno, il canto di “Iperione” dall’affossamento della Grecia e dei cosiddetti–essi sì pseudoconcettualmente designati – paesi “P.I.G.S.”. L’Italia, per parte sua, è la nazione di Dante e di Machiavelli, di Pico della Mirandola e Giordano Bruno, di Giambattista Vico e Benedetto Croce: quanti giuochi ha dovuto vedere e sopportare, e quanti ne vedrà e sopporterà ancora nell’avvenire, a difesa della “religione della Libertà” ! E si ricordino ( come usa dire ), Lorsignori, che la “sapienza è dispersa” tra miliardi di individui, anche e specie di quelli lontani dai “palazzi” e da vecchie e nuove “consorterie” e “conventicole”. Tornassero, piuttosto, i fautori di un imprevedibile concordismo, ai nuovi “modi categoriali” e ai principi regolativi del nuovo “liberalismo globale” !
Giuseppe Brescia