L’Italia è il paese europeo in cui gli investimenti stranieri sono al livello più basso; e Dio sa quanto ne avremmo bisogno!
Agli ostacoli ormai “istituzionali” che si sono accumulati negli anni, quali legislazione complessa e contradditoria, burocrazia soffocante, magistratura inefficiente sembra che se ne vogliano aggiungere altri.
Due esempi recenti sono il caso Autostrade e il caso Tim.
Nel caso Autostrade nella fretta di concludere (dopo due anni dal crollo del ponte Morandi!) e di accontentare tutti i partiti si è arrivati a una conclusione provvisoria e pasticciata, solo apparentemente decisiva: quella di far acquistare la maggioranza alla Cassa Depositi e Prestiti estromettendo contemporaneamente i Benetton, una nazionalizzazione di fatto.
Il tutto dimenticando che Autostrade è una società di diritto privato in cui avevano investito importanti fondi americani e cinesi, i quali hanno subito protestato per una procedura che impedisce di dare un valore oggettivo alle loro quote.
Ben diversa avrebbe dovuto essere la procedura da loro chiesta: che i Benetton vendessero la loro quota sul mercato (cioè in borsa) attribuendo automaticamente una valutazione corretta alla società e al loro investimento.
Altro caso ancor più recente quello di Tim: c’era già un accordo definitivo, con tanto di comunicato stampa stilato, per l’ingresso del fondo americano Kkr nella società di Tim che si occupa dell’”ultimo miglio”: gli americani avrebbero investito 7,7 miliardi per una quota di minoranza.
A questo punto è intervenuto lo stop del governo che preferirebbe una fusione tra Open Fiber e Tim per avere un’unica società per la fibra ottica: risultato, se entro fine agosto non ci sarà una decisione il fondo si ritirerà e addio all’investimento.
È questo un modo per allontanare sempre più gli investimenti stranieri: anziché offrire loro certezza del diritto, condizioni precise e soprattutto immutabili, valorizzazione autonoma dei loro investimenti si va sempre di più verso nazionalizzazioni striscianti, utili forse a soddisfare la voglia di potere dei partiti e la tendenza ormai ricorrente del “statale è bello”, ma non certo a far arrivare capitali freschi in Italia.
di Angelo Gazzaniga