Il liberalismo italiano: un illustre sconosciuto
Voglio qui segnalare la mancanza, nella nostra politica ma più in generale nella società italiana, è di un elemento, il liberalismo, che però non è propriamente una ideologia, ma un modo di vedere le cose, una sensibilità, che dovrebbe tendenzialmente accomunare un largo strato di cittadini, di “destra” come di “sinistra”. Il liberalismo, per chi scrive, è, come per Benedetto Croce, “metapolitico”. È, prima di tutto, un elemento culturale: la convinzione che nessuno abbia in tasca la verità, che non esista una ricetta etico-politica pronta per l’uso, da applicare in modo meccanico, con cieco determinismo. Non che tutte le soluzioni siano buone a prescindere, come vorrebbe certo relativismo. Se il problema è di aprire ai singoli sempre nuovi spazi di libertà, alcuni contenuti lo possono fare in un momento e altri no, alcuni per certi rispetti ed altri per altri. L’anticonformismo di oggi può diventare il conformismo di domani. La regola di libertà va trovata di volta in volta, a partire dalle non predeterminabili e sempre impreviste (in quanto a loro volta frutto di libertà precedenti) situazioni concrete che la realtà ci presenta. E va cercata tutti insieme perché nessuno appunto possiede tutte le informazioni necessarie ad abbracciare in un solo sguardo il reale. Il liberalismo è perciò per un certo verso essenzialmente politico, in quanto nasce dalla interazione nella polis degli individui; ma dall’altro vuole limitare quanto più possibile la politica intesa come attività di un ceto professionale e, nel caso italiano, onnipervasivo. Il fatto è che il liberalismo è anche contrario a ogni “teoria”, all’idea che hanno ad esempio i filosofi politici (che come tali non sono né filosofi e né politici) di poter abbracciare con uno sguardo disinteressato la totalità di una situazione reale e di scoprirne la intrinseca “verità”, senza ascoltare i singoli individui che ne fanno parte e ne hanno cognizione. Ma se nessuno è in grado di abbracciare una situazione, se nessuno può dire di conoscere la verità, bisogna giungere alla conclusione che tutti possono esserne portatori e che tutti possono convincermi delle proprie ragioni. Ecco, perché il liberale ama più che il dialogo in sé, il dialogo soprattutto con chi la pensa in modo diverso o anche opposto da sé. Costui infatti gli è utile molto più di chi lo conferma nelle proprie idee: sia che lo convinca delle sue idee in toto, sia che lo convinca solo in parte, ma persino nel caso che non lo convinca affatto. È solo passando attraverso le forche caudine del confronto, infatti, che egli potrà rinsaldarsi nelle sue convinzioni che saranno divenute in questo modo più solide. Tutto ciò significa che il liberale ha costantemente bisogno del negativo, della critica, di chi che lo contraddice. È sempre attento a coltivare il non conformismo, la dissidenza, l'”eresia”. Vi sembra questa una virtù o una mentalità diffusa in Italia, in una terra di fazioni e campanili sedimentatesi nella storia?
Corrado Ocone
Pubblichiamo qui sopra, in anteprima, un estratto della introduzione al volume “l liberale che non c’è. Manifesto per l’Italia che vorremmo” ( Castelvecchi)