La commedia delle banche: atto III
La vicenda Carige ripercorre la trama di una commedia (meglio sarebbe parlare di dramma) che abbiamo già visto.
– la crisi viene da lontano: la solita Cassa di Risparmio gestita da un padrone assoluto, assalita e spolpata da politici famelici (di tutti i partiti), da imprenditori bravissimi a ottenere crediti e fidi che mai avrebbero potuto restituire, da iniziative strampalate ma utili per avere consenso, da autentici atti da codice penale, già nove anni fa era in situazione difficile. Infatti c’è una richiesta “urgentissima” della Banca d’Italia che imponeva un aumento di capitale e la cessione del ramo assicurazioni; purtroppo, caso strano, quella richiesta era anche “segretissima” e quindi nessuno ne ha saputo nulla e tutto è continuato come prima
– si sono moltiplicate le dichiarazioni sulla “solidità” della banca (“excusatio non petita” che ormai sappiamo significare “situazione difficile”) ; sulla “fiducia di azionisti e correntisti” (il che vuol dire che stanno già andandosene); sul “radicamento nel territorio” (cioè intrecci di ogni tipo e genere con il sottobosco della politica)
– amministratori e direttori generali ruotano con frequenza impressionante (segno non tanto di incapacità individuale quanto di situazione ormai ingovernabile)
– nel silenzio degli enti preposti al controllo (lo stress test fatto nel 2018 dalla Banca d’Italia è fallito, ma non si è saputo nulla, mentre la Consob, da mesi senza presidente, tace) interviene la (tanto famigerata) Bce imponendo un aumento di capitale
– interviene il governo dando garanzie e aiuti vari: in sostanza un obolo di 1,3 miliardi a carico di tutti i cittadini
– si auspica la fusione con qualche banca, che naturalmente non si fa avanti perché non si capisce per quale motivo dovrebbe intervenire quando gli stessi azionisti di maggioranza (che ben conoscono la situazione) non accettano di impegnarsi. Certo ci sarebbe la soluzione attuata con le banche venete: una grossa banca (in quel caso Intesa) si accorpa struttura, clienti e agenzie a condizione che lo Stato si accolli tutte le perdite (in questo caso 5 miliardi)
– si ipotizza la soluzione da tutti sotto sotto desiderata: lo Stato nazionalizza la banca con un bel po’ di miliardi e tutti saranno contenti.
Certo ci sarebbe stato un altro sistema per risolvere la situazione applicando quelle che sono le regole valide per ogni società che agisce nell’ambito del diritto civile: fallire.
Fallire non è un atto ostile, è semplicemente la constatazione che una società non è più in grado di camminare con le sue gambe; e una società che vede il suo capitale ridotto a 80 milioni di euro, con crediti inesigibili per 7 miliardi non si vede come possa proseguire.
Fallire non è possibile, si dice, perché si applicherebbero le tremende regole del bail-out imposte dalla UE; ma questo significa che perderebbero quanto investito gli azionisti (e ci mancherebbe altro, le azioni sono per antonomasia capitale di rischio), i detentori di obbligazioni condizionate (che la Carige non ha mai emesso), e i depositanti con oltre 100.000 euro (ma chi lascia in una banca in difficoltà centinaia di migliaia di euro sul conto corrente?).
A questo punto rinascerebbe una banca nuova con capitale fornito dalla altre banche (che invece ora hanno generosamente concesso un prestito al tasso del 13%!!), mantenendo immutate struttura, depositi e prestiti.
Ne abbiamo un esempio virtuoso proprio qui in Italia; quando il Banco Ambrosiano fallì in una notte e al lunedì successivo era già operante come Nuovo Banco Ambrosiano sotto la regia di Beniamino Andreatta e Azeglio Ciampi: non uno tra correntisti, debitori o dipendenti perse una lira.
Una soluzione chiara, lineare che avrebbe però un solo rischio: quello di un inevitabile processo per bancarotta (probabilmente fraudolenta) a tutti coloro che, amministratori, politici, creditori hanno approfittato della banca. E questo è un rischio che la classe politica e i loro amichetti non vogliono o possono correre: meglio far pagare il tutto ai cittadini con un po’ più di tasse e un po’ meno di servizi.
Di questo passo mai si arriverà a una soluzione per tutte le banche in crisi, e quindi avanti in attesa del prossimo atto: sarà la Popolare di Bari?
di Angelo Gazzaniga