Il centralismo democratico è l’opposto della democrazia. È il rifiuto del prevalere della maggioranza sulla minoranza: autentico cardine del sistema, come già aveva intuito Lenin
D’Alema ha dichiarato al Corriere: “Senta, l’unica vecchia guardia con cui Renzi interloquisce è quella rappresentata dal centro destra di Berlusconi e Verdini. Al Pd vengono poi imposte, con il metodo del centralismo democratico, le scelte maturate in quegli incontri privati”.
Può apparire contraddittorio che il centralismo democratico, proprio del comunismo, venga imputato a Renzi proprio da D’Alema, che lo ha condiviso e praticato ufficialmente per gran parte della sua vita. Ma, in realtà, D’Alema è rigorosamente coerente nell’applicazione di un principio cardine del comunismo, e cioè che la “verità” è sempre funzionale all’attuale scopo del partito.
Piuttosto, è interessante chiedersi se il rifiuto di Renzi di addivenire ad un compromesso con la minoranza del suo partito sulla questione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente dalla questione di merito, possa qualificarsi effettivamente come un comportamento antidemocratico e, più precisamente, espressione del centralismo democratico. E la risposta è decisamente negativa.
Il governo di una comunità – dalla bocciofila allo Stato – funziona solo se ha uno scopo preciso e condiviso, altrimenti è conflitto inconcludente tra gli individui o i gruppi che la compongono. Quindi la democrazia, che consente la coesistenza di più partiti, sembrerebbe ( ed in effetti è sembrata per una metà del XX secolo) geneticamente inefficace e conseguentemente destinata a soccombere nel confronto con i regimi dittatoriali o totalitari. E sarebbe stato proprio così senza il principio di maggioranza, per cui il partito che ottiene un voto in più ha il diritto/dovere di realizzare il proprio programma e, soprattutto, di non realizzare il programma della minoranza respinto dagli elettori. In tal modo la democrazia da a tutti i partiti la possibilità di conquistare il potere, ma solo a quello che ottiene i maggiori consensi di governare efficacemente.
Agli inizi della rivoluzione comunista, Lenin – il cui genio aveva individuato subito il “cuore” del meccanismo democratico – trovandosi in minoranza nei confronti dei socialdemocratici, inventò lo strumento per incepparlo: egli offrì il compromesso. Sembrava la ragionevole proposta di pace di chi voleva evitare conflitti ( non fisiologici, previsti ed accettati nel procedimento democratico, ma “laceranti” in quanto accompagnati dalla minaccia di azioni più o meno legali, a seconda delle circostanze e, quindi, sempre) dalle gravi conseguenze. Invece era il mezzo per conseguire risultati “bastardi” , destinati a dimostrare l’inefficacia della ricetta della maggioranza e, alla fine, l’inconsistenza della democrazia e, quindi, l’inevitabilità della dittatura del proletariato. Da allora, ogni qualvolta in cui il comunismo si trovato nell’impossibilità di prevalere di fronte alla maggioranza “nemica” ( non avversaria ), il metodo è stato applicato in ogni tempo ed in ogni luogo, soprattutto in Italia, fino al compromesso storico di Berlinguer, al governo “unanime” del CSM voluto da Magistratura democratica, al centralismo democratico del Pci/Pds/Ds/Pd di Bersani.
Insomma, centralismo democratico non è la contrapposizione della maggioranza alla minoranza e la scontata prevalenza della prima. Al contrario è il rifiuto dell’esito del procedimento democratico mediante lo svuotamento totale o parziale del programma della maggioranza che, non a caso, sostiene D’Alema
Ferdinando Cionti