Che fare (e non fare) con la web tax

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La web tax non è solo un problema fiscale, ma di politica economica

La web tax dovrebbe essere una tassa che colpisce quelle multinazionali che sfruttano le possibilità, legali, di sfuggire del tutto o quasi alla tassazione sui loro utili.
Non c’è dubbio che sia un autentico scandalo il fatto che un comune cittadino o una piccola impresa subiscano un prelievo fiscale spesso superiore al 50% mentre una ricchissima e potentissima multinazionale riesca a pagare un’imposta spesso inferiore al 10%: non solo una gravissima ingiustizia ma anche una concorrenza sleale.
Il problema non è però così semplice come sembra e le possibili soluzioni sono ancor più complesse.
Infatti non è chiaro quale sia il vero obbiettivo di questa azione: se colpire il fatto che le multinazionali eludano il pagamento della tassa sugli utili oppure se colpire il fatto che non le paghino in Europa (o meglio nella UE).
Nel primo caso si tratta di un’autentica evasione, o per lo meno elusione, fiscale che riguarda tutti noi e che andrebbe colpita a livello non tanto di UE quanto con accordi mondiali (per lo meno tra UE e USA).
Nel secondo caso si tratterebbe di aziende che pagano (correttamente) le tasse in Paesi diversi da quelli europei in cui operano; in questo caso il rischio che corre la UE cercando di imporre una tassazione a queste imprese (quasi tutte americane, ma anche cinesi e indiane) è quello di uno scontro con i Paesi di origine di queste aziende che potrebbero considerare queste norme europee semplicemente un tentativo di limitare la concorrenza: e con la presidenza Obama c’erano già stati segnali in questo senso.

Il problema è ancora più complesso quando si va a studiare eventuali rimedi: tassare gli utili è impossibile perché in ogni singolo Paese non esistono; allora si pensa di tassare il giro d’affari: un’imposta che è una patrimoniale nascosta (ti tasso il giro d’affari, quindi il tuo patrimonio, anche se sei in perdita) e comunque distorsiva (l’imposta è maggiore quanto maggiore il giro d’affari e non gli utili, così potrebbe darsi il caso che una ditta in perdita ma con grosso giro d’affari sia tassata più di una che lavoro poco ma guadagna moltissimo).
Ancora peggio la proposta di tassare il numero di clienti; una Apple che vende pochi telefonini a carissimo prezzo pagherebbe molto meno di una Huawei che vende molto con margini ridotti, alla faccia dell’equità che si vorrebbe raggiungere…)
Il vero problema è che si cerca di tassare aziende che stanno su un mercato mondiale e globalizzato utilizzando i sistemi fiscali dei singoli Paesi europei: sistemi sedimentati da decenni e che rispecchiano un mondo, quello delle singole economie nazionali limitate da confini e dazi, ormai morto e sepolto.
Che fare allora?
Come prima cosa chiarire bene che cosa si vuole ottenere: combattere l’elusione a livello mondiale oppure semplicemente far pagare di più queste industrie?
Se si vuole davvero combattere l’elusione a livello globale occorre allora mettersi sulla strada di un’armonizzazione vera del sistema fiscale della UE e di accordi tra l’Europa e gli altri Paesi interessati a combatterla (USA, Cina e India in primis), altrimenti si rischia di non ottenere che risultati ben modesti e di aprire contenziosi commerciali con gli altri Paesi. Contenziosi tanto più perniciosi per Paesi come il nostro che vivono di esportazioni.
Occorre insomma pensare in grande e proiettati verso il futuro e non sperare di risolvere il problema utilizzando i nostri attuali sistemi fiscali: vetusti, farraginosi e limitati ai confini nazionali

di Angelo Gazzaniga

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Angelo Gazzaniga
Presidente del Comitato Esecutivo di Libertates. Imprenditore nel campo della stampa e dell’editoria. Da sempre liberale, in lotta per la libertà e contro ogni totalitarismo e integralismo.

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