Ci mancava il Salvini a Cinque Stelle

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Il reciproco soccorso tra Lega e grillini alle prossime amministrative si basa sulla condivisione di una politica corporativa, statalista e redistributiva. Il contrario esatto di quella destra liberale di cui abbiamo dannatamente bisogno…

La notizia di un accordo di reciproco soccorso fra la Lega e il Movimento 5 Stelle alle prossime amministrative (per cui il partito salviniano appoggerebbe le candidate pentastellate a Roma e Torino, ottenendo in cambio l’appoggio ai candidati leghisti a Bologna e Novara) non mi sorprende più di tanto. E anzi mi conferma sull’inaffidabilità di Matteo Salvini in previsione di una qualsivoglia alleanza futura per lanciare finalmente in Italia una politica di destra e liberale di rinascita civile e culturale. Ciò che unisce già da oggi Lega e M5S non è tanto il generico e radicale attacco al “sistema”, quanto piuttosto l’opzione per una politica statalistica e centralistica di mera redistribuzione di ricchezze (che fra l’altro nel nostro disgraziato Paese son sempre più poche e si assottigliano sempre più). In senso geografico, per quanto concerne la Lega, e in senso sociale, secondo la visione romantico-egualitarista di certo grillismo.
La Lega ha perso completamente, con Salvini, quel legame ideale con le rivendicazioni delle forze produttive del nostro Nord che fecero a suo tempo, ormai più di venti anni fa, la sua fortuna. Erano rivendicazioni anche rozze e anarchiche nel loro svolgersi, ma comunque portatrici di una visione di società alternativa a quella assistenzialistica e consociativo-corporativa su cui si è fondato (fino a quando ha retto) il “patto sociale” italiano. La lotta a una tassazione di rapina concepita per strozzare sul nascere le forze produttive, la richiesta di una autonomia federalistica e addirittura la proposta di “secessione” delle regioni del Nord, persino l’insistenza “manettara” sui latrocini di regime, sorti all’ombra di uno Stato ipertrofico e iperassistenzialista… tutte erano pulsioni vitali e creative, incanalabili, almeno in punta di principio, lungo l’asse di quel programma liberale e liberista di cui l’Italia aveva, ed avrebbe ancor più oggi, urgente bisogno per provare a contrastare il suo ormai endemico e pluridecennale declino. Di tutti questi elementi, ripeto rozzi ma positivi come sempre sono positive le “forze animali” che immettono nuova linfa vitale in organismi sociali asfittici e decrepiti, oggi rimane davvero poco. Resta una spinta identitaria e securitaria che, pur avendo qualche ragion d’essere di fronte all’apertura indiscriminata delle frontiere e all’emergenza delinquenziale e terroristica che potrebbe derivarne, sa più di chiusura, campanilismo, grettezza provinciale, che non di quella forza sicura di sé e aperta al mondo che ci si aspetterebbe.
Quella forza che, fra l’altro, ha segnato i momenti di grandezza della borghesia produttiva settentrionale e soprattutto del Nord Est che fu espressa politicamente dalla prima Lega. Una borghesia naturaliter liberista e non protezionista, come vorrebbe fosse invece il vangelo lepenista divulgato in modo posticcio e meramente affabulatorio dall’attuale leader leghista. Una destra liberale che voglia ragionare in grande, e guardare lontano, ha poco che farsene dell’aggressività demagogica di comici in pensione come Beppe Grillo o di presenzialisti da talk show, e senza sostanza, come Matteo Salvini.

di Corrado Ocone
Da “l’intraprendente” del 10/3/16

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