CI SARA’ LA GUERRA CIVILE NEGLI STATI UNITI. TRUMP E’ CITIZEN K

Data:

“La recessione è dietro l’angolo: secondo il 45% degli economisti sondati
dal Wall Street Journal avverrà entro i prossimi 12 mesi. Eppure Trump
insiste nel dire che non ci saranno eccezioni ai dazi …”
Paolo Mastrolilli, “I dubbi di Wall Street non fermano Trump: “Nessun Paese
si salverà”, “la Repubblica” 14 aprile 2025

“Non è importante che tu abbia ragione o torto, ma quanti soldi fai quando hai
ragione e quanto perdi quando hai torto”
George Soros

Alea iacta est, ma alla fine di un’epoca nessuno rimane vergine all’orrore. L’intervista di Eugenio Occorsio a Robert Shiller dell’8 aprile 2025, molto ben fatta – ed Occorsio è figlio del magistrato Vittorio assassinato dalle Brigate Rosse – è la dimostrazione che l’economia come disciplina dovrebbe aprire la strada alla inedita versione della riflessività: la rinuncia al “punto di equilibrio”, è uno stato di necessità. Ignorare la realtà può condurre a conseguenze destabilizzanti di vasta portata. Certo è che un’epoca si è chiusa e molto sangue scorrerà. Ma ci torneremo.
C’è un elemento che vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori, ed è lo “slancio adolescenziale” di Donald Trump, un uomo rimasto al principio di piacere. Si tratta di un individuo eccezionale in senso negativo, che ha una tendenza autocratica e anti-sociale che si collega ad una Weltanschauung adolescenziale: un bambino mascherato da adulto; un film ormai caduto nell’oblio, può aiutare a inquadrare la psicopatia di questo soggetto che ha un rapporto con il reale mediato dall’imbroglio: “Il club dell’imperatore”. Tenete a mente questo titolo.
Orbene, il 10 marzo 2025 ho scritto a Ezio Mauro su Whatsapp: “Sto leggendo l’instant book di Massimo Recalcati “Elogio dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio”, e sono arrivato al capitolo “Critica alle ideologie della liberazione”. Le cito un passaggio che mi ha fatto sobbalzare dalla sedia, poiché l’enfant prodige di Jacques Lacan ha usato la parola “età dell’oro” con un anno di anticipo rispetto al discorso d’insediamento di The Donald a impronta missionaria; non a caso, Trump ha definito le sue misure sui dazi “Liberation Day” (“non siamo padroni a casa nostra”, come ha detto qualcuno): “… Il desiderio inconscio non è qualcosa che attende di essere liberato, come una sorta di energia pulsionale latente che la relazione con la realtà ci costringe a sacrificare. Non è, infatti, la Legge che ostacola la sua esistenza. Piuttosto il rovescio: l’esistenza della Legge è la condizione della determinazione del desiderio inconscio, poiché non c’è alcuna possibilità di risalire a una ideale ETA’ DELL’ORO dove l’assenza della Legge consentirebbe una esplicazione senza limiti del desiderio. Questa risalita non ha senso perché quell’età dell’oro non è mai esistita …”. Parole dal valore estetico. Poi aggiunsi, nel messaggio Whatsapp all’ex direttore de “la Repubblica”: “Recalcati scrisse questo libro un anno prima della rielezione di Trump, ed è la persona giusta per stenderne un ritratto su “la Repubblica”. Mauro mi ha dato una risposta laconica: “Vero”; modestia a parte, sono stato il “ghost writer” di due saggi a opera del filosofo Recalcati. E arriviamo ora a una connessione tra psicologia ed economia accumunate da una radice superiore nell’Homo Philosophicus; c’è bisogno di Soros per rendersi conto dell’importanza di Freud. E c’è bisogno di Freud, per rendersi conto dell’approccio più moderno di Soros.
Le categorie del freudismo per quanto non universalmente valide, sono genericamente corrette e vanno riaggiornate con la Fallibilità Radicale.
Verrà qui trascritta integralmente l’analisi di Eugenio Occorsio, con l’intervista al simpatico e brillante premio Nobel per l’Economia Robert Shiller.

“Dovreste parlare con mia moglie, che scese in piazza tanti anni fa per protestare contro la guerra del Vietnam mentre io non avevo altrettanto coraggio, e oggi mi incoraggia a partecipare di nuovo a marce e sit-in”. Questa giornata mozzafiato per i mercati sta per finire, e Robert Shiller, classe 1946, economista di Yale, premio Nobel nel 2013 per i suoi studi sui comportamenti che
influenzano le quotazioni, cerca di trovare un barlume di speranza e di razionalità nel caos assoluto in cui il presidente americano ha gettato il mondo.
“Le manifestazioni possono essere se non decisive molto importanti. Trump è un osso durissimo, ma non è invincibile”, spiega il professore che fu il primo firmatario di un endorsement pubblico per Kamala Harris.
“Magari, se fossimo stati un po’ più decisi…”
“Per un attimo a metà mattina (ora americana, ndr) si era intravisto un segnale favorevole …”
“Sì, anch’io mi sono chiesto cosa significasse l’uscita estemporanea di Kevin Hassett, direttore del Consiglio economico nazionale, sulla moratoria. Dato che qui ormai tutto è possibile, non posso neanche escludere che fosse una mossa concordata per vedere l’effetto che faceva. Sta di fatto che la Casa Bianca ha non solo spazzato via ogni dubbio ma rincarato la dose contro la Cina. Wall Street ha ripreso subito a scendere però, attenzione, ha rallentato la velocità di caduta. Anche perché nel frattempo è sceso in campo contro i dazi un pezzo da novanta come Jamie Dimon, il banchiere più potente d’America, e perfino Musk dà segni di insofferenza. Qualcosa significherà”.
“Lei è uno dei padri della behavioral economics, l’economia comportamentale: come definirebbe la situazione?”
“Per ora, parliamoci chiaro, siamo ancora al panico generalizzato, a un passo dal pericolo concreto di una recessione globale. Per alcuni aspetti siamo vicini a un bis della Grande Depressione, quando lo Smoot-Hawley Act del giugno 1930 (la crisi era iniziata il 29 ottobre 1929) introdusse tariffe pesantissime su 20mila prodotti d’importazione e affossò definitivamente l’economia non solo americana. Le tariffe furono ritirate in parte nel 1934 ma bisognò aspettare la fine della guerra perché si avviasse davvero un libero scambio. In mezzo sappiamo cosa c’è stato”.
“Lei sta dicendo che dissesti del genere vanno valutati sul lungo termine?”
“Esattamente. La guerra commerciale è iniziata e l’aggressore è Trump. Però è troppo presto per prevedere gli sviluppi, anche se le premesse sono inquietanti. Il mercato immobiliare per esempio, a me familiare (il Case-Shiller Index è il parametro di riferimento del real estate, ndr), si è stabilizzato. Certo, bisogna riflettere su un punto: anche negli anni ’30 tutto cominciò con un crollo di Borsa. Allora, tutti compresero la centralità del mercato azionario. In altri casi a dire il vero – il Black Monday del 1987, l’11 settembre 2001 e perfino Lehman del 2008 – dopo neanche troppo tempo la situazione si è riassestata almeno in America”.
“Quello che sconcerta è l’opera di un uomo solo. Ma non ha intorno a sé qualche consigliere in possesso di un minimo di lucidità?”
“Purtroppo in Trump si combinano la più sconfortante impreparazione economica e un’ostinazione di tipo adolescenziale nel decidere tutto come vuole lui. Pensa di essere un genio, uno che divide il mondo in vincitori e perdenti con lui che ovviamente fa parte dei vincitori” (ma in realtà è un genio sprecato!, ndr)
“Nel suo libro “Narrative economics” fa l’esempio del primo mandato di Trump: a forza di dire in giro che lui era un self-made man e un brillante uomo d’affari, tutto da verificare, ha convinto gli americani a votarlo. Ora riuscirà a convincerli che “i dazi sono meravigliosi”, la sua nuova narrazione?”
“Per questo, se protestano le piazze, la magistratura, la stampa, perfino i finanzieri, forse si riesce a scalfire il muro di gomma. Abbiamo uno strumento come Internet, utilizziamolo al meglio senza freni. Sarebbe troppo pretendere che Trump capisca il senso dei controlli e della separazione dei poteri in democrazia, però pragmaticamente potrebbe rendersi conto che così non può andare avanti”.

E’ successo, perché ufficialmente l’ex consigliere di Reagan Arthur Laffer lo ha convinto a ritirare i dazi entro 90 giorni, ma è uscita fuori la possibile “notitia criminis” di un insider trading alla Joseph Patrick Kennedy. Mascalzone il primo, mascalzone il secondo; il patriarca dei Kennedy è diventato presidente della Sec, il secondo è arrivato alla Casa Bianca. Non è vero quello che ha scritto
Massimo Giannini, forse con un eccesso di entusiasmo: “… Fanno bene i senatori democratici a denunciare il possibile scandalo. Ma non si ingannino troppo, gli Shiff e le Ocasio-Cortez: al vertice della Sec – la Consob americana un tempo capace di spedire in galera speculatori di ogni tipo – The Donald ha appena nominato il suo amico Paul Atkins, che difficilmente calerà il pugno di ferro sul suo benefattore …”
Roosevelt nominò presidente della Sec JPK, dicendo: “Soltanto un figlio di puttana come Joseph Kennedy può essere messo a capo della Sec”. Il conflitto d’interessi non lo ha inventato Trump, ma lo ha ereditato.

Le considerazioni del galantuomo Tito Boeri sono molto simili a quelle di Robert Shiller; il dramma è che l’erede dei “white collar crimes” di Bugsy Siegel ignora usque ad nauseam il punto di equilibrio e – corsi e ricorsi –, ripeterà esattamente gli stessi errori di Herbert Hoover nella negazione ideologica della spesa in disavanzo. Secondo la modesta previsione di chi scrive, il risultato sarà la bancarotta economica degli States e la guerra civile.
Scrive Boeri, ragionando tecnicamente in termini “riflessivi” su “la Repubblica” del 4 aprile 2025:
“I dazi imposti da Donald Trump sulle importazioni da tutto il mondo ci danno una misura dei costi economici del populismo una volta giunto al potere. E’ una ideologia di basso spessore che può obnubilare la mente dei suoi capi carismatici. Viene da chiedersi cosa sarebbe successo con i nostri populisti di ieri e di oggi al governo se non ci fosse stata l’Europa a impedire che gestissero la politica di bilancio, imponendo guai ben peggiori del superbonus (purtroppo Boeri è schiacciato sul “punto di equilibrio” dall’angolazione settoriale dell’ordo-liberale, ancorchè più a “sinistra” di Alessandro De Nicola, ndr). Le tariffe presentate nelle tabelle consegnate ai giornalisti assiepati al Rose Garden non hanno precedenti storici. Sono più alte di quelle introdotte da Hoover con lo Smoot-Hawley Act del 1930. Allora aggravarono la Grande depressione, una recessione già in atto. Oggi non hanno neanche la giustificazione di una economia in crisi che vuole proteggersi dalla concorrenza internazionale …”. Non sono del tutto d’accordo con Boeri.
E’ un assunto a-scientifico: false credenze di un individuo al comando, possono provocare gravi crisi e lo hanno fatto. Il passato ritorna nell’eterno ritorno dell’uguale: la prima volta è tragedia, la seconda anche, non perché non abbiamo imparato nulla dalla Storia – un luogo comune sbagliato –, ma piuttosto perché non si è passati dalla Ragione alla Fallibilità Radicale 40 anni fa; vorrei tracciare un parallelismo tra l’America di Herbert Hoover che stava lasciando il posto a Roosevelt e quella di Trump che è “unfit” ma rieletto, rispettivamente alle prese con la stessa situazione sociale (sic!) per lanciare un pronostico: Trump verrà travolto dalla “civil war”, nell’ora più buia dato che non vuole vedere la realtà proprio come Hoover (surreale, ma vero); mi servo dei diari di Arthur M. Schlesinger “The age of Roosevelt” per accreditare la mia congettura. Correva il 1930:

“IL CONTAGIO DELLA PAURA
Il giorno prima che il Presidente Hoover dicesse che tutto lasciava sperare in una sostanziale ripresa entro sessanta giorni, un gruppo di uomini e di donne disoccupati, e inquadrati dal Partito Comunista, organizzarono una dimostrazione davanti alla Casa Bianca. Per un momento il Presidente guardò incuriosito dalla finestra. Più tardi la polizia, sfollagente alla mano, disperse la folla con le bombe lacrimogene. Quello stesso giorno, a New York, 35.000 persone si raccolsero in Union Square ad ascoltare oratori comunisti. Quando il leader comunista William Z. Foster li incitò a marciare sul Municipio, il capo della polizia diede ordini severi. Centinaia di poliziotti ed ispettori caricarono la folla con sfollagente, manganelli e pugni. Secondo il resoconto del “New York Times”, la scena riecheggiò “di strilli di donne e urla di uomini con la testa e il volto imbrattati di sangue. Una ventina di uomini erano sparsi distesi per la piazza, percossi da poliziotti”. Un poliziotto in borghese, con un paltò di pelo e un manganello in mano, correva come un pazzo per la piazza colpendo in tutte le direzioni. Due poliziotti immobilizzarono una ragazza e la colpirono in faccia coi bastoni. Una donna urlava piangendo: “Cosacchi, assassini Cosacchi!”. Il 6 marzo fu dichiarato, per decreto comunista, Giornata Internazionale della Disoccupazione. Lo scopo della dimostrazione era di provocare la reazione della polizia.
In una città dopo l’altra essi raggiunsero lo scopo. Ma l’agitazione provocata dai comunisti aveva attratto folle di oltre 35.000 persone. Si stava aprendo un abisso tra l’atteggiamento ufficiale a Washington e la realtà nelle strade della città e nelle campagne, tra l’illusione presidenziale di una fiducia crescente e la realtà di miseria e di paura. Nella primavera del 1930 almeno quattro milioni di americani erano disoccupati. Code di disoccupati cominciarono a riapparire nelle grandi città per la prima volta dal 1921, code di uomini pieni di sconforto, in attesa paziente di un pezzo di pane e una tazza di caffè. Nella città di New York, in marzo, il numero delle famiglie ammesse alla pubblica assistenza era aumentato del 200% dal crollo dell’ottobre. Gli ospizi municipali erano ora affollati; e la città permetteva ai senzatetto di dormire sulle chiatte municipali ormeggiate al molo durante la notte, col vento che soffiava gelido sull’East River. A Detroit, disse William Green della American Federation of Labor, “gli uomini se ne stanno seduti tutto il giorno e tutta la notte nei parchi, a centinaia e a migliaia, mormorando tra sé e sé, disoccupati, e in cerca di lavoro. Il paese intero, si trovò immerso nelle tristi vicende che portarono a milioni di americani un nuovo genere di vita. Nel decennio 1920-30 i salariati avevano avuto ampie possibilità, soddisfazioni nella vita e speranze per il futuro. Ora era arrivata la depressione – solo tre giorni di lavoro alla settimana, poi due, poi il licenziamento. E poi la ricerca di un nuovo lavoro, dapprima una ricerca energica e fiduciosa, poi calma e ostinata – infine, disperata; lunghe code che elencavano i nomi degli assunti, un vagare senza fine da una fabbrica all’altra, notti intere di attesa per essere i primi al mattino ad accaparrarsi un eventuale lavoro. E le notizie inesorabili, spietate, che mascheravano il panico: “Non si assume personale” … “Non abbiamo bisogno di nessuno” … “Circolare, circolare” …
Questo era il 1930. Era, secondo le parole di Elmer Davis, il secondo anno dalla abolizione della povertà. E migliaia di americani impararono a conoscere un nuovo e umiliante genere di vita: quella degli iscritti alla assistenza pubblica. La maggior parte dei disoccupati resistette fin che potè. Poi venne la fine dei risparmi, del credito, l’impossibilità di trovare lavoro; non rimase che soffocare l’orgoglio e guardare in faccia la realtà…”.
Ripetiamo la parola: guardare in faccia la realtà. Orbene, qui “il Diavolo si annida nei dettagli” (Victor Hugo e Friedrich Hegel). Quel che rileva in questa sede, è che Herbert Hoover la negava, rimuovendola con il trucco dell’ideologia; vediamolo con le parole di Schlesinger junior:
“… Altri avvenimenti cominciarono a definire la posizione del Presidente. Nell’estate del 1930 una prolungata siccità distrusse raccolti e bestiame in tutto il Sud-Ovest. Questo era proprio un problema adatto a Hoover: si ripeteva l’esperienza del Belgio, tanto più concreta dei problemi irritanti della depressione. “Per fronteggiare la siccità – riferì Mark Sullivan, il giornalista amico intimo di Hoover – il Presidente si mise a lavorare con una specie di senso di sollievo, quasi di piacere”. Dando prova dell’antica padronanza di sé, organizzò un programma di assistenza e chiese al Congresso di stanziare fondi per dei prestiti governativi che permettessero agli agricoltori di comperare sementi, fertilizzanti e mangime per il bestiame. Il vecchio seguace di Wilson, William G. Mc Adoo, ora senatore della California, propose che il grano acquistato dal Farm Board fosse distribuito ai disoccupati. Ma Hoover riaffermò il proprio implacabile antagonismo a tali proposte…”

Se dal passato abbiamo imparato poco, viene in mente l’ostruzionismo del senatore repubblicano Kevin Mc Carthy sul Presidente Biden al Congresso per vietare i programmi di assistenza ai bambini poveri, nel 2023, che si sarebbero sintetizzati nell’inizio della spesa in disavanzo; di qui l’irritazione dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton. Sempre da Schlesinger, a proposito di Hoover: “Egli considerava giusto dar da mangiare al bestiame affamato, essi dicevano (l’opposizione, ndr), ma riprovevole nutrire uomini, donne e bambini che morivano di fame. Egli aveva dato da mangiare a Belgi e Tedeschi, ma si rifiutava di nutrire i suoi concittadini.
Nel febbraio del 1931, il Presidente, offeso e angosciato, fece una dichiarazione profondamente sincera. “Se l’America ha un significato – egli disse – questo è il senso della responsabilità individuale e locale, e la spontaneità nel mutuo soccorso”.
Se noi distruggiamo questi principi, noi “colpiamo alle fondamenta l’autogoverno”. Se l’aiuto da
parte del governo federale sarà l’unica alternativa al morir di fame, ben venga l’aiuto federale; ma “io ho fiducia che quel giorno non verrà per il popolo americano…”.

Se Hoover non fosse stato sostituito da Roosevelt, l’America sarebbe stata travolta da una guerra civile. Trump è un osso durissimo, e non accetterà compromessi. Si accettano scommesse: arriveranno la povertà e la guerra civile. Non accadrà dai tempi di Abramo Lincoln.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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