Ci vuole un New Deal del liberalismo globale

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“per “l’Albatros” un saggio di Giuseppe Brescia sulla necessità di un new deal liberale”.


Nel nobile Discorso all’ Athenèe Royal di Parigi del 1819, le cui molteplici analogie e fonti sono state studiate da Dino Cofrancesco, Benjamin Constant lascia un colpo d’ala, da valere per sempre nella memoria storica delle idee liberali: “D’altronde, Signori, è proprio vero che la felicità, di qualsiasi tipo sia, costituisce l’unico fine della specie umana ? In tal caso, il nostro cammino sarebbe davvero ristretto e la nostra destinazione ben poco elevata. Non c’è uno solo tra noi che, a voler abbassarsi, restringere le sue facoltà morali, svilire i suoi desideri, sconfessare l’attività, la gloria, le emozioni generose e profonde, non potrebbe abbrutirsi ad esser felice. No. Signori, chiamo a testimone la parte migliore della nostra natura, quella nobile inquietudine che ci perseguita e ci tormenta, la brama di ampliare i nostri lumi e sviluppare le nostre facoltà; non è alla sola felicità, è al perfezionamento che il nostro destino ci chiama: e la libertà politica è il mezzo più possente e il più energico perfezionamento che il cielo ci abbia dato”.

Notava, il Constant, la principale differenza tra “libertà degli antichi” ( fondata sul momento della partecipazione collettiva ) e “libertà dei moderni” ( intesa a tutelare i diritti individuali ). Ma la perorazione, di elevato tono umanistico e pichiano ( mémore della “Oratio de dignitate hominis”), torna in mente a proposito del dibattito sulla differenza tra “destra” e “sinistra” e, più in generale, sul rapporto tra ‘valori’ e nuovi ‘modi’ d’essere interni alla religione della Libertà ( “Tradizione e merito” contro “Progresso e uguaglianza”, sintetizza il contributo di Dino Cofrancesco sul “Giornale” del 19 febbraio 2013, p. 25 ). Si può bene integrare: “Felicità” – “eudaimonia” – ricerca del soddisfacimento immediato di bisogni o interessi, da una parte . – “Autoperfezionamento” – “Nobile inquietudine che ci tormenta” – Catarsi operativa nel ‘forme del fare’; se si vuole, “distruzione creatrice” ( giusta la definizione del capitalismo data dallo Schumpeter ).
Ovviamente, la questione è ben più complessa, e supera l’ambito delle tipizzazioni. Tant’è che, alla fine, lo stesso Constant non manca di annotare che le “due specie di libertà occorre imparare a combinarle tra loro”. Così, oggi, nel discorso sui “nuovi diritti” ( fecondazione assistita, diritti delle coppie omosessuali dai “dico” fino al matrimonio e alla possibilità, per queste, di adozione, e via ), sembra tornare in attualità l’appello del pensatore francese, come uno dei momenti utili a segnare lo spartiacque tra “destra” e “sinistra”.
La pagina dei maestri ci aiuta. Responsabilità e compiti sono sensibilmente cambiati. Lo stesso Croce, ne “L’utopia della forma sociale perfetta” ( in “Storiografia e idealità morale” , raccolta delle lezioni tenute agli allievi dell’Istituto, poi confluite in “Terze pagine sparse” ), chiariva bene nel 1948: “ L’uomo non cerca altro che la felicità, ossia il benessere: e che la felicità debba coincidere con ciò che la coscienza morale approva è anch’esso un pensiero di verità, ma non toglie che il dovere morale stesso si attui solo prendendo la forma della felicità, o, come si dice, di pace e soddisfazione interiore. Senonché la felicità che l’uomo cerca non è quella che egli ottiene; egli cerca la felicità costante, perpetua, statica e ne ottiene sempre una incostante, temporanea, fuggente. Contraddizione di sola apparenza se si riflette che costante è la ricerca stessa, ma l’ottenimento non è, non può essere e non vuol essere in effetto altro che del vivente e mutevole ossia dell’attimo fuggevole, del nepente che una dea ora ci porge, ora ci ricusa”.
Ora, il problema è anche che nella tarda modernità i valori morali sembrano essersi trasferiti sul piano trasmissivo più che sostantivo, i principi ‘costitutivi’ della coscienza in quelli ‘regolativi’ della relazione, della comunicazione, della interpretazione. “Forza dei deboli” o “debolezza dei forti” ( v. i miei “Ethos e Kratos” , “1994” e “Radici di libertà”, Giuseppe Laterza, Bari 1994, 1997 e 2011 ). Sì che, in breve, come sul piano filosofico il sistema delle forme di attività non si può ridurre a “filosofia delle quattro parole”( nella polemica dizione di Giovanni Gentile ) né a divisione in “quattro spicchi” ( per l’ultimo Montale ) ma presuppone i “modi categoriali” memoria – sentimento – tempo a fondamento del “passaggio”; così, sul piano etico, occorrono nuove regole e nuove modalità a tutela della libertà.
Ne conseguono alcuni corollari. Non basta più dire “Europa”, come nel nobile “Epilogo” della sua “Storia” del ’32 prevedeva il Croce ( “a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’ Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole , non dimenticate già, ma meglio amate”); ma bisognerà dire quali modalità per gli effettivi poteri del Parlamento europeo ( non soltanto per la Commissione e la Banca Centrale, sorta di “nuovo sopraggoverno”, giusta la bella immagine del fine critico Geno Pampaloni). Non basta dire “concorso” per docenti; ma quali le ‘modalità’ di selezione. Non basta dire “Invalsi”; ma quali gli incroci tra ideologia e tecnocrazia che si mettono in circolo sotto quella cifra o ‘modalità’ di valutazione delle istituzioni scolastiche ( un poco il nuovo “ircocervo” del 2000 ). Né basta dire, per un verso, “Welfare”; ma occorre aver netti e chiari i possibili o reali passaggi successivi del sistema economico statalistico: come la liceità d’indebitamento; la concezione della cosa pubblica come terreno di conquista; e, allora, la fenomenologia dei reati. Né basta dire, per l’altro riguardo, “Mercato”; ma occorre aver altrettanto presenti i passaggi evolutivi in senso degenerativo, virtuali o effettuali che siano, del liberismo: come per i rischi della “deregulation” ( vedi la crisi del 2008 della finanza, prima statunitense poi planetaria ); “dittatura finanziaria” (aspetto speciale di una sorta di heideggeriana “Gestellung”); quindi,di nuovo, reati. ( v. “La ‘strana’ crisi italiana”, XXIX Convegno Nazionale del CIRGAS, in collaborazione con la L.U.M. ‘Jean Monnet’, per il coordinamento di Angelo D. De Palma, Trani-Bari, 19 e 20 ottobre 2012 ).
Dove – si badi – quello che non si può omettere è proprio il primo “passaggio”, che può recare poi – su entrambi i versanti ‘ideologici’ in senso astratto – ai ‘reati’. E’, in eminente esempio, il concepire lo Stato come “papà pantalone”, la cosa ‘di tutti’ come “res nullius” , e cioè autorizzazione implicita all’indebitamento, che porta ai reati, una volta introiettato sistematicamente il modello ‘statalistico’, in quanto presunta legittimazione di malversazioni della cosa pubblica. E, d’altra parte, è il concepire il “Mercato” come possibile totale ‘assenza di regole’ che può portare, e di fatto porta, a reati. Gli esempi restano doviziosamente sotto gli occhi. Perciò, diceva Benedetto Croce che “la libertà ha bisogno della mano sinistra e della mano destra, perché regge il tutto”; e la religione della Libertà ha per sé, più che “l’avvenire”, “l’eterno”. Il liberalismo può richiedere il “procedere” ma anche il “fermarsi”; la “conservazione” e il “progresso” ( Cofrancesco, “Libertates” del 21 febbraio 2013 ). E per ciò stesso, appaiono in errore quanti predicano una possibile “terza via”, solo menzionandola in astratto come possibile fulcro di un “centro” etico-politico ( che non sia, però, – se può esser consentita una breve celia – il centro della città di Foligno, notoriamente il birillo del tavolo di biliardo della sua piazza della stazione), ma senza render giustificazione dei vari “passaggi” dimostrativi e delle “mediazioni” o “modalità” regolative, che solo possono accreditare la tesi di Wilhelm Roepke o la “libertà indivisibile” di Carlo Antoni.
Per ciò, il “new deal” liberale – nell’era della globalizzazione – consiste nel ripensamento non solo delle “categorie” di pensiero ma anche, e in special modo, delle sue modalità attuative, dei nuovi ‘modi’ regolativi, all’altezza dei nuovi compiti e dei nuovi problemi.

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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