Il mercato (soprattutto se libero) e il profitto sono per alcuni il male assoluto, altro che comunismo…
Come dice Gaston Beuk, “in politica nulla succede per caso”. Era nell’aria. Il governo di stampo collettivista-dirigista Grillo – Di Maio –Salvini, che – per parafrasare il frizzantissimo Massimo Giannini trova nello sconosciuto prof. Giuseppe Conte il suo “Normalone”– s’è infine insediato a Palazzo Chigi. Facciamo un passo indietro: nell’ottobre 2014 uscì il libro delirante della Lidia Undiemi “Il ricatto dei mercati – Difendere la democrazia, l’economia reale e il lavoro dall’assalto della finanza internazionale” con la prefazione di Roberto Scarpinato, il procuratore generale di Palermo “illimitatamente irresponsabile” nell’esercizio delle sue funzioni con un potere giurisdizionale totalitario ai sensi del ridicolo art. 112 della Costituzione (obbligatorietà dell’azione penale); orbene, l’inquietante Scarpinato che insieme al pm Nino Di Matteo rappresenta la vocazione anti-Establishment al processo vergognoso della “trattativa Stato/Cosa Nostra”, scriveva un testo farneticante e furbescamente piccolo-borghese sul quale si impernia oggi l’intera architettura del contratto 5 Stelle-Salvini: il processo al capitalismo in quanto tale e la riabilitazione dell’Unione Sovietica. Tra l’altro Scarpinato faceva e fa il conferenziere di consumata arte oratoria insieme ai Cinque Stelle, oltre che lavorare alla Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo (mentre migliaia di fascicoli processuali s’estinguono per prescrizione). Leggere per credere: “… Dalla fine degli anni Settanta, i rapporti di forza iniziano a modificarsi a favore del capitale, che reagisce alla progressiva riduzione della quota dei profitti che si è venuta a determinare a seguito di una serie di fattori macro e micro sistemici, tra i quali la fine del ciclo espansivo del secondo dopoguerra, shock esogeni come l’innalzamento del prezzo delle materie prime petrolifere, fattori interni come la crescita dei salari reali e delle rivendicazioni sindacali. La reazione prende avvio, come è noto, nel cuore del capitalismo angloamericano con le politiche neoliberiste inaugurate da Margaret Thatcher in Inghilterra e da Ronald Reagan negli Stati Uniti, Paese nel quale, alla metà degli anni Ottanta, l’aliquota delle tasse per i più ricchi scende dal cinquanta per cento al ventotto per cento. La privatizzazione della sanità pubblica, per esempio, non solo pone fine alla democrazia sanitaria, architrave fondante e condicio sine qua non dello Stato sociale, ma è l’incipit di un processo di trasferimento di quote significative di reddito nazionale dal lavoro al capitale oligopolistico delle grandi compagnie assicurative e delle altre corporation protagoniste e beneficiarie delle privatizzazioni. E’ solo l’inizio di un ritorno della disuguaglianza che, procedendo a tappe forzate tra privatizzazioni, deregulation, riduzione dei salari e licenziamenti, segnerà una parabola discendente, divenuta poi debacle, della workingclass americana… Il nuovo trend dalle roccaforti angloamericane del capitalismo si propaga ai paesi industrializzati del centro Europa determinando anche in Italia un generale arretramento delle condizioni dei lavoratori che tuttavia procede a rilento, dovendo misurarsi con la residua forza politica e sindacale della classe operaia che negli anni Ottanta è fiaccata, ma non estinta”.
Nel passaggio successivo della sua davvero allucinante prefazione al saggio keynesiano della Undiemi (tanto bella quanto manipolatrice), Scarpinato riabilita la politicizzazione della Banca d’Italia che il sottosegretario all’Economia Alberto Bagnai ha più volte agitato: “La ripresa della crescita della disuguaglianza sociale stenta a prendere l’abbrivio, soprattutto perché le leve strategiche della sovranità monetaria e valutaria restano in mano alla politica nazionale, consentendo così all’Italia di autogovernare – pur dopo lo storico divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro che dal 1981 determina il continuo innalzamento del debito pubblico – il conflitto sociale interno senza dover sottostare, come avverrà nei decenni successivi, alla eterodirezione dei paesi egemoni all’interno dell’Unione Europea (Germania in primis) e dei cosiddetti mercati, cioè del capitalismo finanziario internazionale. Ma alla fine degli anni Ottanta si registrò un passaggio di fase epocale per il susseguirsi di una serie di eventi macro sistemici che, nel loro interagire, fecero saltare definitivamente l’equilibrio storico tra forze sociali che aveva dato origine al compromesso dello Stato liberal-democratico… Il crollo dell’Unione Sovietica…”.
Il contratto 5 Stelle-Lega dice: “L’impianto della governance economica europea (Patto di stabilità e crescita, Fiscal Compact, MES) è basato sul predominio del mercato”.
di Alexander Bush