Come cambiare la Corte Costituzionale

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cionti

Una proposta per modificare l’elezione della Corte Costituzionale.
Perché non renderla eleggibile direttamente dal Parlamento?

I recenti interventi della Corte Costituzionale sulla legge elettorale e sulla cosiddetta eterologa hanno riproposto il problema dei suoi rapporti con il Parlamento, la cui soluzione presuppone un esame del suo funzionamento.
Il sistema di elezione dei 15 giudici che compongono la Consulta prevede che di essi: 5 siano scelti dal Presidente della repubblica; 5 siano eletti dal Parlamento con maggioranza qualificata; e 5 siano scelti dalle supreme magistrature ordinarie ed amministrative. Il criterio ispiratore di questo sistema è stato quello di assicurare la natura tecnica della Corte e, dunque, di riservare a poteri “neutri”, quali presunti la Magistratura ed il Presidente della Repubblica, la designazione della maggioranza dei giudici costituzionali ( 10 su 15 ). Ma è subito evidente che se questo era teoricamente sostenibile con riferimento alla Magistratura, lo era molto meno con riferimento al Presidente della Repubblica , anch’egli eletto dal Parlamento con maggioranza qualificata, proprio come i restanti giudici costituzionali. D’altro canto, almeno nelle intenzioni, con la maggioranza qualificata che rende necessario il concorso dell’opposizione ( e che è determinante direttamente o indirettamente mediante l’elezione del Presidente della Repubblica ) si sarebbe voluto evitare proprio l’eccessiva “politicizzazione” di una Consulta che si voleva super partes. Come dire che, tutto sommato, il sistema vigente appariva coerente con lo scopo che si prefiggeva.
Confrontandolo, però, con quelli di Paesi europei che hanno competenze simili a quelle della nostra Corte, risulta che in essi prevale la tendenza a riservare la nomina dei giudici, in tutto o in buona parte, al Parlamento, sempre con maggioranze qualificate: in Germania tutti i 16 giudici con maggioranza dei 23; in Portogallo 10 su 13 con maggioranza di 23; in Spagna 8 su 12 con maggioranza di 35. In Austria non sono previste maggioranze qualificate, ma le scelte del Parlamento devono essere sottoposte al vaglio del Presidente della Repubblica- eletto, si noti, a suffragio universale- cui spetta il potere di nomina. Dunque il nostro sistema presenta un’anomalia assoluta, che è la nomina di ben 5 giudici da parte della Magistratura; ed un’anomalia quasi assoluta, che è la nomina di altri cinque giudici da parte del Presidente della Repubblica. Perché si è adottato questo sistema ? Sostanzialmente per garantire che prevalesse la natura tecnica della Corte, sul presupposto che fossero poteri “neutri” sia la magistratura che il Presidente della Repubblica.
Ebbene, che la magistratura non sia tale è sotto gli occhi di tutti e, per giunta, come non mi stanco di ripetere da decenni, è illimitatamente irresponsabile, cosicché l’anomalia assoluta che la riguarda andrebbe semplicemente e totalmente cancellata. Tanto più che la stessa già esercita un ruolo fondamentale nel procedimento di verifica della costituzionalità della leggi, poiché solo se accerta preliminarmente la non manifesta infondatezza della relativa questione, posta dalle parti in giudizio, la trasmette alla Corte, affinché si pronunci. Insomma una magistratura ufficialmente (CSM) e pubblicamente (rivendicazione dei magistrati di esprimere le loro convinzioni politiche) politicizzata, prima blocca o non blocca la verifica della costituzionalità delle leggi, secondo i suoi ben noti orientamenti politici e poi, eventualmente, trasmette la relativa questione ai “suoi” giudici costituzionali. Così lo scopo, del resto utopistico, della neutralità della Corte non è neppure parzialmente raggiunto e, in compenso, viene almeno parzialmente sottratto alla sovranità popolare un organo vitale per il funzionamento della Repubblica.
Vediamo ora, più da vicino, l’anomalia relativa che riguarda il Capo dello Stato. Intanto, precisiamo che quest’ultima anomalia è “relativa”, in quanto in Austria i giudici della Corte Costituzionale sono scelti a maggioranza semplice dal Parlamento, ma nominati dal Presidente della Repubblica. Il quale, però, è eletto a suffragio universale. Vale a dire che gli è attribuito questo potere di nomina in quanto espressione diretta della sovranità del Popolo e non, viceversa, in quanto presunto potere “neutro”, come in Italia. D’altro canto, il nostro Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune, con la maggioranza qualificata di 23 nei primi 3 scrutini ed assoluta successivamente, cosicché risulta difficile considerarlo un potere “neutro”. Anzi, se si considera che i 5 giudici costituzionali che nomina il Parlamento sono eletti da questo in seduta comune con la maggioranza qualificata di 35, si giunge alla conclusione che l’interposizione del Capo dello Stato, sotto il profilo della spoliticizzazione delle nomine, appare come una inutile complicazione. L’unica differenza consisterebbe nella presunzione che il Presidente della Repubblica sarebbe sempre meno condizionato, man mano che va avanti nell’esercitare il suo mandato, dal dibattito politico in corso. Sarebbe, cioè, sempre più distaccato dall’attualità politica ( non certo, e mai, dalla politica ). Il che, però, teoricamente non sempre è un bene e praticamente non si è mai verificato. Anzi si è verificato esattamente il contrario ed in modo sempre più accentuato. Le differenze sono da rinvenirsi, quindi, non nell’irrealizzabile neutralità rispetto alla politica, ma nella eventuale funzionalità del metodo e nei suoi effetti sostanziali.
Sotto il primo profilo, una differenza, non certo negativa, è riscontrabile nel fatto che la nomina da parte del Presidente della Repubblica avviene senza gli interminabili, scandalosi scontri e patteggiamenti tra le opposte parti politiche che, almeno in Italia, caratterizzano l’elezione del giudici costituzionali da parte del Parlamento. Storture che spesso comportano l’esclusione dei migliori, per far posto a figure talvolta inconsistenti che, proprio perché tali, non suscitano forti contrapposizioni.
Sotto il secondo profilo, però, possono verificarsi fortissimi squilibri. Secondo quanto riferito ripetutamente dai giornali, i giudici costituzionali appartenenti all’area di centrosinistra, da sempre in maggioranza, attualmente sarebbero addirittura 11 su quindici. Con la conseguenza che da sempre molti esponenti del centrodestra hanno ripetutamente lamentato che tale prevalenza abbia portato alla dichiarazione di incostituzionalità di leggi da loro approvate, come peraltro è stato anche per la legge elettorale e quella sulla procreazione medicalmente assistita da cui siamo partiti. Tanto che una decina di anni fa il centrodestra effettuava un tentativo, subito abortito, di una timida riforma, ed in tale occasione Di Federico affermava che <>. Egli, inoltre, notava che, anche indipendentemente dai possibili squilibri, questo potere di nomina di un terzo dei giudici costituzionali di cui è titolare il capo dello stato << finisce per rafforzare il suo potere di rinvio delle leggi alle Camere e la sua moral suasion sui procedimenti legislativi in corso >>, corrispondentemente indebolendo il Parlamento che, non si ripeterà mai abbastanza, è anche l’unico ad essere espressione diretta della sovranità popolare.
Allora, verificata nei fatti l’impossibilità, prima ancora che l’opinabile opportunità, di una spoliticizzazione della nomina dei giudici costituzionali; e considerato che il vantaggio della rapidità del metodo di nomina in esame non compensa certo la perversità degli effetti che può produrre ( ed in concreto ha prodotto ), tra i quali, e non certo trascurabile, anche quello di esorbitare talvolta dai limiti della propria competenza per invadere quella del legislatore; sembra chiaramente preferibile l’abolizione anche di questa seconda anomalia italiana e l’adozione del più semplice metodo unico di nomina da parte del Parlamento, con maggioranza qualificata, di tutti ( Germania ) o quasi tutti ( Spagna e Portogallo ) i giudici costituzionali.
Ma non ci si può nascondere che questa soluzione sarebbe, non solo troppo rispettosa della sovranità popolare, ma soprattutto troppo semplice, chiara e decisa per essere digerita dagli italiani, che a qualche complicazione non possono proprio rinunciare.
Ferdinando Cionti

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Ferdinando Cionti
Ferdinando Cionti è avvocato a Milano ed è stato professore a contratto di Diritto Industriale per il Management presso l’Università di Stato di Milano Bicocca, facoltà di Economia, dipartimento di Diritto per l’economia. La sua concezione del diritto è sintetizzata nel saggio "Per un ritorno alla certezza del diritto", pubblicato su Libertates. Ha pubblicato numerosi saggi, tra cui "La funzione del marchio" e "Sì Logo" (Giuffrè). Per LibertatesLibri è uscito "Il colpo di Stato", presente nello Store di Libertates. Quale collaboratore dell’ “Avanti”, ha seguito quotidianamente le vicende di Mani Pulite.

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