Ma siamo proprio sicuri che quelli che vengono spacciati per capolavori lo siano davvero?
Nella critica letteraria non esiste un Hotel Bildenberg dove si decide chi lanciare con le recensioni e chi ignorare. La decisione collettiva avviene all’interno delle singole anime dei critici, tutte dominate da una identica miscela invisibile: il totale conformismo.
La fenomenologia della critica conformista – che colpisce i ggiovani come una malattia incurabile – è esemplificata dal caso Francesco Pecoraro.
Più ho meno sconosciuto, Pecoraro è un signore di settant’anni al suo primo romanzo, dunque innocuo perché difficilmente potrà sottrarre potere accademico, giornalistico, presenzialistico o da conferenziere ad alcuno. Lui è l’ideale per i critici.
Il libro di Pecoraro, “La vita in tempo di pace” (Ponte alle Grazie) è un monologo fitto fitto di 500 pagine a prova di lettore: mitopoiesi zero e molta autocoscienza. Racconta dell’ingegner Ivo Brandani, un arrabbiato con sé e il mondo, che sta tornando da Sharm-el-Sheick con un volo Egyptair. Un piatto molto adatto ai critici: l’autore non è pericoloso, il romanzo è sufficientemente arduo (non dico illeggibile quanto Foster Wallace ma…) da poter dire agli altri “non l’hai capito”.
Ma loro l’hanno letto? Ah!
Il 18-10-2013 esce la prima recensione: Andrea Bajani su “Repubblica”. Resoconto della trama? Zero. Si fanno i nomi dei possibili riferimenti dello scrittore: Pasolini, Volponi, Houellebeq, Céline. Unico passo riportato (su 500 pagine): Roma come detestata “città di Dio”
Un mesetto il 2-11-2013 scrive il grosso critico Andrea Cortellessa (“Tuttolibri”). Trama? Zero. Parla di demone della vicinanza e pathos della distanza. Gli ricorda Gadda. Arriva Carlo Mazza Galanti (“Alias” 29-12-2013): anche per lui è un gran romanzo. Cita il passo/capitolo su Roma “città di Dio” e dice che gli ricorda Gadda, Pasolini e Houllebeq. Arriva Giulio Ferroni (“l’Unità” 21-1-2014): a lui Pecoraro ricorda Céline e delle 500 pagine cosa ricorda? Le espressioni di odio contro “la città di Dio” e quando l’ingegner Brandani fa un paragone con la Caduta di Costantinopoli nel 1453. Esce Daniele Giglioli sul supplemento del “Corriere della Sera”. Trama? Zero. Voti al romanzo Il massimo 5 su 5 stellette. Passi ricordati? Beh! La solita su Roma e poi, attenzione, la prima, dicasi prima, riga di 500 pagine di romanzo: “Vedeva (ndr la catastrofe) in ogni iniziativa di trasformazione della realtà”. Gabriele Pedullà (“Sole 24 ore”, 2-2-2014) della “notevole prova narrativa” ricorda quando l’ingegner Brandani parla della caduta di Costantinopoli e lo avvicina a Gadda (più altri, parlando di romanzo neodarwiniano). Trama? Zero. Mancava Angelo Guglielmi (“l’Unità” 11-2-2014). Per lui – buon ultimo – Pecoraro è già tra i “classici”. Trama? Zero. Ma di oltre 500 pagine ricorda il passo in cui l’ingegner Brandani parla della caduta di Costantinopoli. Il 23-2-2014 finisce Felice Piemontese (“Il Mattino”): ormai avete capito! I passi ricordati (due volte) è quello di “Roma città di Dio”, l’autore di riferimento è Gadda.
Poi dicono che in Italia non si legge e la critica è finita!
Brux