L’Ispi (Istituto Studi Politica Internazionale) di Milano ha commissionato questa settimana un sondaggio sulle idee e posizioni degli italiani riguardo la guerra in Ucraina. I risultati sono solo apparentemente rassicuranti, ma a guardar bene sono sconcertanti. Il 60,8% ritiene che la responsabilità della guerra sia di Putin, il 17,3% della Nato e il 4,5% di Zelensky, tutti gli altri non sanno. I commenti letti finora sono entusiasti: la maggioranza assoluta degli italiani ritiene che il colpevole di questo conflitto sia Putin, ovviamente! E invece c’è da preoccuparsi.
Quel 17,3% che ritiene che la responsabilità principale del conflitto sia della Nato (che tuttora non è intervenuta, se non in modo molto indiretto) e il 4,5% che dà la colpa a Zelensky (il presidente della nazione aggredita!), sommati assieme fanno il 21,8% degli italiani. Più di un italiano su cinque, anche di fronte ad un palese atto di aggressione della Russia ai danni di un Paese neutrale, attribuisce esplicitamente la colpa all’aggredito, o a chi lo aiuta a difendersi. C’è poi quell’enorme 17,4% di italiani che “non sa” che potrebbe essere semplicemente costituito da gente che non risponde, ma anche da persone che non capiscono quel che sta avvenendo. Eppure, in questo caso, non c’è nulla da capire, nulla di complesso.
Il 60,8% di italiani che ritengono Putin responsabile della guerra non è affatto una percentuale alta. Ad esempio, negli Stati Uniti, secondo un sondaggio del network Fox (che pure ospita il programma del putiniano Tucker Carlson), risulta che l’80% degli americani, equamente distribuito in entrambi i partiti, ritenga responsabile Putin. Siamo poi sicuri che in quel 60,8% di italiani che ritengono “responsabile” Putin di quel conflitto, siano veramente tutti contro la Russia? Perché a giudicare da molte risposte che chiunque di noi può ottenere dal vivo, è molto ampia la popolazione dei “ma-anchisti”: è chiaro che l’invasore è il dittatore russo, ma anche la Nato, o anche l’Ucraina, ha le sue belle responsabilità. Il ma-anchismo è spesso un pretesto retorico: il ma-anchista, in tutti i suoi discorsi, dopo essersi lavato la coscienza dall’accusa di putinismo esplicito, spara a zero contro gli Usa, la Nato e gli ucraini, contro Zelensky in particolare.
Serve, a questo punto, una riflessione profonda su come si sia caduti così in basso, perché questa è la prima guerra che rischia (nella piccola ma non inesistente probabilità che dovesse andare veramente male) di coinvolgere direttamente il nostro Paese. L’apparato propagandistico russo e i servizi segreti del Cremlino hanno lavorato per due decenni con “misure attive”, volte a cambiare la nostra opinione pubblica. Da noi hanno trovato un terreno fertilissimo. I russi hanno seminato bene e hanno raccolto risultati come quelli mostrati nel sondaggio dell’Ispi. Oggi i partiti, almeno ufficialmente, prendono tutti le distanze da Putin, dichiarano di non averlo mai conosciuto e si schierano, almeno a parole, dalla parte dell’Ucraina. Ma devono chiedersi cosa pensino i loro elettori, simpatizzanti, militanti, politici locali. Per capire da che parte pendono i nostri partiti, non si devono guardare le dichiarazioni dei leader, ma le reazioni dei commentatori sulle loro pagine social.
Quando un leghista parla dei crimini di guerra russi, ad esempio, riceve solo insulti. Quando un pentastellato (o grillino, che dir si voglia) esprime almeno rammarico per le sofferenze patite dagli ucraini, riceve solo accuse di tradimento. Nel “contratto” sottoscritto da Movimento 5 Stelle e Lega per formare il primo governo Conte (meno di quattro anni fa), troviamo scritto, nero su bianco: “l’apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia, ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante”. E si puntava alla fine delle sanzioni europee imposte per l’occupazione della Crimea: “opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)”. L’assenza di 350 parlamentari al momento del discorso in aula del presidente ucraino, è un fatto unico nel mondo occidentale. Un terzo del parlamento se ne è andato al momento del discorso di un capo di Stato di una nazione aggredita. Non abbiamo i nomi, solo pochi hanno dichiarato apertamente il loro dissenso, ma il problema, da quel poco che si sa, riguarda soprattutto i due partiti del primo governo Conte: Movimento 5 Stelle (più tutte le formazioni scissioniste) e Lega.
Giorgia Meloni parla come se fosse sempre stata atlantista, ma fra i suoi simpatizzanti e militanti, anche fra i suoi intellettuali di riferimento, è tutto un fiorire di bandierine russe e di lettere Z nelle immagini di profilo o di copertina di Facebook, Twitter e altri social network. In Forza Italia la situazione è addirittura peggiore, perché Silvio Berlusconi stesso, dopo un lungo silenzio, al terzo giorno di invasione russa dell’Ucraina ha mandato una lunga lettera al Corriere della Sera in cui, praticamente, attribuiva tutte le colpe all’Occidente. Solo dopo un mese di guerra ha reso pubblica una piccola dichiarazione di condanna a Putin, al telefono, con voce e comunicazione quasi incomprensibili, ai Tg di Mediaset. Un altro indicatore molto chiaro è l’assenza di crisi. Quando c’è uno strappo con una linea politica fin qui perseguita con costanza negli anni, normalmente scoppiano liti interne, ci sono dimissioni e anche scissioni. Qui non vediamo nulla di simile: vuol dire che tutte queste svolte atlantiste non sono prese sul serio nemmeno all’interno dei partiti che le compiono.
Il Pd appare l’unico coerentemente anti-putiniano, dunque filo-ucraino in Italia, ma deve nascondere tutto l’album di famiglia: le strette di mano con il dittatore russo, i sorrisi, le dichiarazioni, i rapporti con Gazprom sempre più stretti nonostante le invasioni della Georgia e della Crimea, le politiche di D’Alema e di Prodi. La rete di interessi russi in Italia non è scomparsa, ma, come ha scritto Angelo Panebianco, “nuota sott’acqua” ed è pronta a riemergere alla prima occasione.
Sul piano politico l’Italia si è sempre voluta collocare “a metà”, fra il nuovo blocco orientale e il blocco occidentale. E la cultura segue, di conseguenza. Nel nome del mai ben definito “interesse nazionale”, era quasi impossibile parlare male della Russia fino al 23 febbraio 2022. In tutte le riviste specializzate, nei centri studi (sì: anche l’Ispi), nelle pagine di approfondimento, negli editoriali, nei talk show, nella pubblicistica popolare di centro-destra, così come nella galassia dei blog e dei canali social grillini, prevaleva la “comprensione” degli interessi della Russia. C’era una risposta pronta per ogni cosa. C’è una crisi? Colpa dell’espansione della Nato ad Est. La Russia si allea con la Cina? Colpa nostra che le abbiamo chiuso la porta in faccia. Qualche esponente del Cremlino minaccia la guerra contro la Nato? È perché li stiamo provocando. Se adesso, anche di fronte all’invasione dell’Ucraina, quasi la metà degli italiani non sa dare la colpa alla Russia, non è causa dei “canali Telegram dei no-vax che sono diventati pro-Putin”, come si sente ripetere fino alla nausea. Ma è colpa dei partiti politici italiani (tutti) e dei media mainstream che hanno creato una narrazione filo-russa, nel corso degli ultimi due decenni. Hanno creato un senso comune russofilo.
di Stefano Magni