La funzione del Presidente del Consiglio dei Ministri: garantire equilibrio e armonia
Lo Stato regge sull’equilibrio dei poteri istituzionali apicali: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo. La magistratura non è un potere ma un ordine. La Corte costituzionale è organo di garanzia. I pilastri, dunque, sono tre. Se uno si inclina, deforma il triangolo costituzionale da equilatero in scaleno, con tutte le possibili conseguenze, sino al possibile crollo del regime. È quanto sta accadendo.
Il silenzio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non potrà durare a lungo dinnanzi al rischio che il governo trascini lo Stato stesso nel proprio prevedibile collasso. In gioco non c’è il cosiddetto “Contratto per il governo del cambiamento”, con tutte le sue contraddizioni, reticenze, promesse e violazioni patenti della Costituzione. Codesto Contratto, va ricordato, non ha alcuna valenza pubblica, erga omnes: è l’intesa tra due forze politico-parlamentari, geneticamente diverse e incompatibili e quindi da un’unione infeconda, destinata a durare come tante altre in passato.
Il punto della crisi in atto è ben altro: la credibilità dello Stato, verso l’estero e nei confronti dei cittadini, per ora frastornati ma prima o poi costretti a destarsi. Ce lo ricorda la Costituzione. Forse non è la “più bella del mondo”, ma certo rimane l’unica àncora di salvezza nei marosi imperversanti.
Il caposaldo della Repubblica (come già, a tale riguardo, della monarchia) è l’armonia tra Capo dello Stato, governo e legislativo. Il perno del compasso fu e rimane il presidente del Consiglio dei ministri. Nominato dal Presidente della Repubblica (art. 92 della Carta), quello dell’esecutivo “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri” (art.. 95). È esattamente l’opposto di quanto ora accade con Giuseppe Conte, avvocato, docente di diritto, mai eletto deputato, presidente dopo la canea della minacciata incriminazione di Mattarella da parte dei Cinque Stelle e di altri esagitati di borgata
Se l’esecutivo deve esprimere e perseguire un programma organico unitario, l’attuale è un “non governo”, con un presidente palesemente sotto tutela dei suoi due “vice”, a loro volta in dissonanza su tutte le urgenze nazionali, in larga misura non contemplate affatto nel tanto logorroico quanto strabico “Contratto”. L’unico cambiamento per ora manifesto rispetto ai precedenti settant’anni di Repubblica è in quella “forma” che è anche “sostanza”: lo stucchevole battibecco quotidiano tra i titolari di ministeri chiave e le rispettive tifoserie; la continua invasione di campo da parte di ministri che si atteggiano a capi del governo e, quasi fossero sovrani di un Paese del quinto mondo, arrivano a insultare con inaudita protervia capi di Stato esteri poco inclini a dimenticare e istituzioni quali la Commissione dell’Unione Europea e le sue Autorità.
Queste possono piacere o non piacere, però l’Italia non può farne a meno, così come non può certo uscire dalla Nato, né capovolgere la propria politica estera (e conseguentemente militare) con le sue modeste forze e per dichiarazioni estemporanee di chi neppure è titolare degli Esteri.
di Aldo A. Mola