Chi è stato il vero fondatore di Tangentopoli?
No, nessuna dietrologia. Così come Karl Marx ha aperto la strada alla plutocrazia mafiosa di Boris Eltsin e Boris Berezovskij, Enrico Mattei ha contribuito a fondare Forza Italia molto più degli “stallieri senza cavalli” come Vittorio Mangano.
Personalmente preferisco, e anche per ragioni familiari, l’equilibrio anglosassone di Piero Ottone e la lucidità a intermittenza del “Picconatore” ciclotimico Francesco Cossiga al costruttivismo complottista un po’schizoide della “giustizia creativa” che fa capo al filone del dietrologo di professione Giuliano Turone, che come il fantasioso Eugenio Cefis aveva e ha la passione dei complotti. Contrapponiamo dunque la Weltanschauung di Ottone e Cossiga (oltretutto in ottimi rapporti) alla ditta Turone – Sandra Bonsanti– Ingroia, e avremo una lectio magistralis di Realpolitik scevra da effetti speciali sulla genesi del sudamericano fenomeno Berlusconi.
In un libro edito da Garzanti nel 1979 “Come finirà? Riflessioni sulla Prima Repubblica” Ottone – con preveggenza da Nostradamus – realizza una diagnosi precisa e chirurgica sui mali della società italiana prodromici al default di Mani Pulite: Enrico Mattei è stato un pazzo sognatore che ha fondato “napoleonicamente” Tangentopoli distruggendo la libera concorrenza e aprendo la strada allo scandalo Italcasse-Caltagirone e ha distrutto financo la stessa vocazione imprenditoriale della Prima Repubblica pur di combattere la demoplutocrazia: “…Fra Mattei e Fanfani si formò un’alleanza. E gli enti di stato, a cominciare appunto dall’ENI, diventarono la nuova fonte di finanziamento del partito di maggioranza. L’operazione si allargò poi agli altri partiti. Tutto questo è noto. Mi sembra però che la gravità della svolta sia stata in genere sottovalutata. A partire da quegli anni, infatti, la struttura della Prima Repubblica è sconvolta in modo irrimediabile, e il paese comincia a scivolare su un piano inclinato”.
Con l’intenzione aggravata dal fumus persecutionis (cioè cospirazione “piduista” contro lo Stato) di sbarazzarsi dei concorrenti privati, Mattei creò l’istituzione fuori legge dei fondi neri per liberare l’Italia dal “vincolo esterno” delle Sette Sorelle nel quadro dell’Alleanza Atlantica. Ottone docet: “Mattei, uomo fuori del comune, credeva in quello che faceva: animato da accesi sentimenti nazionalistici, perseguiva, buoni o cattivi che fossero, fini ideali. Egli finanziò dunque i partiti, e determinati gruppi all’interno dei partiti, per ottenere un appoggio che riteneva indispensabile per il raggiungimento di quei fini. Il suo grande alleato sul fronte politico, Amintore Fanfani, accettò il finanziamento, a sua volta, perché riteneva necessario sottrarre la Democrazia cristiana al patrocinio dell’iniziativa privata che era, in quegli anni, in lotta con Mattei. Qui non si giudicano, ora, i moventi dei due uomini, né le loro finalità, sulle quali si può pensare quel che si vuole. Qui importa solo sottolineare che, per raggiungerle, essi ricorrevano a metodi giuridicamente illeciti, e moralmente perversi”.
Peculato, finanziamento illecito ai partiti e lottizzazione criminogena: si tratta proprio della cosiddetta “corruzione ambientale” teorizzata in seguito dall’aristocrazia dell’inchiesta di Mani Pulite. Piero Ottone già nel 1979 si chiedeva in “Come finirà?”: “Come è stato possibile tutto ciò? La tesi centrale di questo libro è che è stato possibile perché i responsabili (Mattei e Fanfani, ndr) non ne hanno compreso l’enormità”. L’idealismo rivoluzionario contro le Sette Sorelle giustificava la soppressione stessa del capitalismo (sic!) o quantomeno la sua drastica attenuazione in nome della fanatica “Purezza della Causa” e/o intransigenza etica del desiderio (vedi J. Lacan). E infatti:“Da lì nascono molti degli odierni sconquassi. La nostra classe politica dirigente, che non dà importanza ai bilanci, che non crede nella moralità dell’impresa, che non conosce o non rispetta i princìpi essenziali di un sistema economico liberistico, o capitalistico che dir si voglia, ha dimenticato assai presto di chiedere all’industria di Stato, affidata alla sua gestione, il rispetto delle leggi economiche. Al contrario: con Mattei, si è resa conto di avere a disposizione strumenti di grande potenza finanziaria, fonte quasi inesauribile di denaro. Bastava pescare. Che importa se i bilanci delle società a partecipazione statale vanno verso il disastro?”. L’importante è vincere la guerra social-mussoliniana alle Sette Sorelle, al netto di 1.000 miliardi di debiti di lire. Ma Ottone non perdona: “Ai fini del nostro ragionamento ciò non cambia nulla. Il male prodotto dall’operazione rimane lo stesso. Da esso si arriva, inesorabilmente, alla lottizzazione… i manager di provenienza tecnica, non politica, sono spinti ai margini. Vi è stato un decennio, fra il 1965 e il 1975, in cui la corruzione ha raggiunto il culmine. I capi dei partiti di maggioranza e quelli dell’industria di stato vivevano la loro stagione felice, ritrovandosi nelle ville sontuose e di cattivo gusto, fra un affare e l’altro, per festeggiare le loro vittorie. Veniva denaro dalle industrie di stato; ne veniva dall’industria privata, alla quale si continuava a chiedere contributi in cambio di concessioni o agevolazioni”. Una situazione di satrapismo faraonico degno, appunto, degli apparati megacorruttivi dell’Urss di Breznev e della Cina di Mao Tse Dong nelle cui ville piccolo-borghesi si atteggiavano da imprenditori rampanti palazzinari con la parlantina brillante e versati nel birignao delle pubbliche relazioni.
Alexander Bush