Contro lo scontro di inciviltà

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Quando si parla di “scontro di civiltà” sarebbe meglio invece parlare di “scontro di inciviltà”: vedi il Canton Ticino

Come sta diventando bello il Ticino. E come sta diventando bella l’Italia. E l’Europa nel suo insieme, immagino. Vivo da vent’anni in Egitto e per la prima volta da molto tempo, al mio rientro in Svizzera, frastornato dal gelo settembrino, assaporo le fragranze del futuro che si annuncia, un futuro già ampiamente presente. Al ristorante “Addis” di Lugano, per esempio, gustando un narghilé alla mela, osservo al tavolo accanto una coppia di etiopi, lei velata, che conversano con una coppia di eritrei in arabo. Intanto il cameriere, etiope di confessione evangelica, intrattiene me e il mio amico Giorgio sull’ascesa dell’etnia Tigrè in Etiopia, sui processi separatisti che funestano il paese. Ci racconta della sua fuga via Sudan, della prossima fine di una nazione unitaria, dell’emigrazione come solo orizzonte praticabile. Giorgio, musicista ticinese, è da poco diventato nonno di un un bambino keniota dal volto d’ebano, delizioso come la madre. Non nasconde la felicità di poterselo figurare con un tamburo in mano, lungo la spiaggia di farina della costa africana, a ritmare qualche rumba sudamericana insegnatagli dal nonno. Due tavoli più in là uno slavo, un napoletano e un ticinese parlano in italiano dei precari di fabbrica. Vado alla stazione accompagnato da un russo che pernottava con me in albergo, tra tanti altri assonnati migranti della sopravvivenza. Scendo a Milano con la sensazione di appartenere all’Occidente, di sentirlo anche mio come non avveniva da anni. Porta Venezia, caffé maghrebino dal magniloquente nome di “Pasha Palace”:cameriere del Delta egiziano, shisha al limone, due ragazze berbere del Marocco a cui tutto manca tranne la sensualità di cui vagheggiava Flaubert. Conversazione in arabo e italiano. Il mio amico poeta, pugliese, di stanza a Urbino, racconta del suo viaggio in Messico sulle tracce dell’Artaud dei Tarahumara, del terremoto a cui è scampato per un soffio. Poi ristorante cinese, scambio di battute con Caroline, sudcoreana di Los Angeles, un prototipo di geisha dalle dita lunghe e smaltate, una silhouette quasi in trasparenza, un crocchio di capelli alla madame Butterfly. Discute con noi in un forbito italiano scolastico e con quattro cinesi del tavolo prospiciente in un cinese arrangiaticcio (così dice). Un’anziana coppia di Brighton, le cue mani cinte sul ripiano del tavolo fanno tenerezza, assiste divertita chiedendo se la ragazza abbia qualche sentore delle manovre di Kim Jong Un. Poi puntata al mercatino dell’artigianato, prodotti made in Italy, meraviglie peruviane, giocattoli messicani, stoffe sudanesi, un affollato universo che esorta al buon gusto, all’ascolto, all’esotismo. Chiedo a una ragazza degli States di indossare una collana di resina, regalo per mia moglie Halima, egiziana. Conosciamo il suo fidanzato turco che vive a Looren, vicino al confine tedesco. Ci dice che lì, al “Multi Culti”, si fuma la migliore shisha del mondo. Accanto a lui, sul divanetto del bar, il pilota saudita Khaled, l’assicuratrice tunisina in minigonna Amira, musulmana non velata, che ci parla della nuova legge varata in Tunisia sui matrimoni misti. Due tavoli più in là una donna eritrea col velo bacia sulla bocca il fidanzato. Sorrido, li benedico, distolgo lo sguardo. Il venditore pakistano di rose prova intanto a vendere loro un bouquet. Torno al “Pasha Palace”, Chivas Reagal e shisha, un connubio al Cairo improponibile. Benedico di nuovo il confondersi dei mondi, ritrovo un senso nella parola “multiculturalismo”e persino in quella “globalizzazione”. Non voglio pensare a nient’altro: sono passabilmente ebbro di ciò che suscita generalmente paura, sgomento, rigetto, disgusto, distacco, sospetto, ansia. Scherzando propongo per Salvini sei mesi di confino a Kabul perché si rammenti che la Storia non si argina: lui, figlio dei “barbari” longobardi, che avrà presto pronipoti meticci, eredi che chinano il capo verso la Mecca, elettori innamorati di longilinee somale dalle labbra perfette. E non volendo pensare se non al bello della contaminazione dei mondi, mi dico:ecco l’unico clash da scongiurare, quello fra inciviltà.

di Marco Alloni

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