Cosa c’è di “buono” nel fascismo economico?

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Berlusconi rivaluta con una battuta, al momento sbagliato (proprio durante la Giornata della Memoria) l’operato di Mussolini. Al di là della rettifica di rito e delle condanne, sempre di rito, di tutti i suoi avversari politici, proviamo a parlarne seriamente e da liberali.
La dittatura fascista e la sua violazione dei diritti umani sono argomenti già affrontati, discussi e digeriti in migliaia di dibattiti storici, da almeno quattro decenni a questa parte. Ormai sono quasi dei luoghi comuni. C’è però un tema che non viene mai toccato. Ed è quello che riguarda i presunti “meriti” di Mussolini in campo economico. A parte l’autarchia (che non fu mai realmente applicata) e la realizzazione delle grandi opere, i fiori all’occhiello del regime furono l’Iri, lo stato sociale e il corporativismo. Ebbene: l’Italia non se ne è mai liberata. Prima di tutto, perché i partiti di governo che si sono alternati negli ultimi 66 anni di Repubblica, hanno sempre approvato quelle misure. Il fascismo non si riduce alla sola dittatura, né alla sola persecuzione razziale: è prima di tutto una visione dell’economia che dura tuttora e non accenna a morire. Il Duce, prima di divenire tale, era un socialista e aveva attinto le sue idee dal sindacalismo rivoluzionario dei primi del ‘900. Quando arrivò al governo non poté attuare interamente il suo programma economico, perché dovette scendere a compromessi con l’establishment monarchico, nel nome del quale (almeno sulla carta) governava. Quel che attuò fu un socialismo annacquato. Sciolse e perseguitò i sindacati tradizionali, per motivi politici. Ma li sostituì con le corporazioni. Che, alla fine, sono sindacati al servizio dello Stato. Dopo l’invasione tedesca e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini andò oltre e procedette con la “socializzazione” delle imprese. Teoricamente i lavoratori erano divenuti proprietari delle aziende in cui lavoravano, estromettendo i proprietari capitalisti. La socializzazione è solo un passo prima della collettivizzazione voluta da Lenin e Stalin. Ed è un’idea dura a morire. Solo una settimana fa è stata invocata a gran voce da Beppe Grillo.
L’Iri fu introdotta come misura temporanea per “salvare” le industrie in crisi, ma si trasformò ben presto in una nazionalizzazione permanente. E’ stata trasformata in società per azioni solo nel 1992 ed è durata fino al 2000. E tuttora la sua liquidazione è oggetto di dibattiti e nostalgie politiche.
La politica sociale del fascismo non è mai finita. Nel 1923 vennero create le basi del nostro welfare state: leggi per la tutela del lavoro di donne e bambini, assistenza ospedaliera per i poveri, assicurazione contro la disoccupazione, assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia, assistenza alla maternità e all’infanzia. La Riforma Gentile dell’istruzione pubblica, tuttora, con qualche piccola variazione, è la legge che governa le nostre scuole. L’esenzione tributaria per le famiglie numerose viene invocata, oggi, dai politici conservatori di area democristiana. L’Inail e l’Inps sono stati istituiti durante il fascismo. E sono tuttora funzionanti.
Tutti questi che abbiamo elencato sono “meriti” del fascismo? Di solito la gente tende a considerare “buono” tutto ciò che è duraturo, senza entrare nel merito. Con lo stato sociale creato dal fascismo e conservato da tutti i successivi governi repubblicani (Monti incluso) l’Italia è oggi uno dei fanalini di coda dell’Europa, assieme alla Spagna, al Portogallo e alla Grecia. Si rimpiange ancora l’Iri, ma non ci si chiede quante opportunità di sviluppo siano state perse dalle nostre industrie nazionalizzate o foraggiate dallo Stato. Si vanta il sistema pensionistico, ma non ci si rende conto del profondo rosso (nei conti pubblici) creato dall’Inps nel corso dei decenni. Si vuole ancora conservare la riforma Gentile, ma non ci rendiamo conto di quanto poco competitive siano le nostre scuole, in Europa e nel resto del mondo industrializzato. Ci stracciamo le vesti ogni volta che si parla di tagli alla spesa sociale, ma poi finiamo strangolati dalle tasse che servono a finanziarla.
Da un punto di vista economico, l’Italia è ancora fascista. E non usciremo mai dal Ventennio finché non smetteremo di considerare “cose buone” quelle che sono le più durature colpe del vecchio regime.

Stefano Magni

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1 commento

  1. Condivido pienamente. Il vero dramma è che l’operato del regime fascista si attuò con alcune MIGLIAIA di leggi, regi decreti (che il Re semplicemente firmava ed emanava, come gli attuali D.P.R.) e regolamenti vari, la stragrande maggioranza dei quali sono tuttora in vigore, xkè in 60 e passa anni di Repubblica nessuno si è mai preoccupato di andare ad abrogare.

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