COSA NASCONDE L’OSSESSIONE DI GIAN CARLO CASELLI PER ANDREOTTI

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“Sulla impossibilità di stabilire – a differenza di quanto sostiene Caselli – la veridicità di quei summit, il figlio di Andreotti ha ricordato che il racconto di Marino Mannoia “contiene affermazioni davvero infamanti anche della figura di Piersanti Mattarella” di cui Caselli ha però evitato di parlare… “Bontate instaurò intimi rapporti anche con Mattarella Piersanti.
Escludo comunque, che quest’ultimo fosse un uomo d’onore, poiché altrimenti l’avrei appreso…” “Perché Giancarlo Caselli crede alle frasi di un pentito su Andreotti ma tace quelle su Piersanti Mattarella?”, Simone Di Meo per “la Verità”

(durante questo passaggio dell’intervista della De Gregorio, Nino Di Matteo presente in studio è manifestamente imbarazzato e in seguito non commenterà nulla, ndr). Da quello che ho saputo, noi non c’eravamo più in ufficio (Ayala e Falcone, tra gli altri, ndr), pare non dico insabbiato che è una brutta parola, ma certamente un grande sviluppo quell’indagine non ha avuto”.

“Una coincidenza insomma”.

“Io ho scritto un libro, il cui titolo è “Troppe coincidenze”, per cui le coincidenze – a me piace ragionare sui fatti accertati; quando non ho a disposizione i fatti accertati, ma ho un’idea, allora mi rifugio, mi sono rifugiato nel termine coincidenze ma – voglio dire – perché non ho le prove, ma ragionando certi collegamenti non è difficile farli. Coincidenze”.

I fatti rivelati per la prima volta in televisione dall’ex collaboratore stretto di Giovanni Falcone Giuseppe Ayala sono gravissimi: chi archiviò il dossier “Mafia-Appalti” di 980 pagine neutralizzandolo nella “liaison” tra l’indagine e il rinvio a giudizio? Due magistrati: Pietro Giammanco e Roberto Scarpinato; quest’ultimo chiese l’archiviazione in contemporanea con la strage di via D’Amelio (sic!).
E il processo per la “trattativa Stato/Mafia” approdato in Corte d’Assise d’Appello che vede alla sbarra, tra gli altri imputati con contrapposte interpretazioni, Mario Mori sarebbe stato fatto per trasformare lo stesso Mori da campione legalitario dell’indagine modello Dalla Chiesa “Mafia-Appalti” e della trattativa con Ciancimino per l’arresto di Totò Riina, in un mascalzone venduto a Cosa Nostra.
Curioso è il fatto che quando l’avvenente Concita De Gregorio ha chiesto a Di Matteo di commentare le considerazioni del dott. Ayala, costui non ha risposto (sic!): il silenzio è la miglior difesa!

Tuttavia, a onor del vero, va detto che lo stesso Ayala ha qualcosa da nascondere: fisicamente presente in via Mariano D’Amelio il 19 luglio 1992, consegnò la borsa di Paolo Borsellino contenente “l’agenda rossa” a un certo Arcangioli dei carabinieri, che – attraverso le “porte girevoli” – probabilmente l’ha fatta avere a Matteo Messina Denaro, cioè il mandante dell’uccisione di Borsellino e dei suoi agenti di scorta. Ci sono gli interrogatori di Ayala da parte dell’Autorità Giudiziaria, e le accuse – ancorchè da verificare – di Salvatore Borsellino: “Ayala mente”.

Osservo soltanto che durante l’interrogatorio al lucidissimo Giorgio Napolitano al Quirinale a “porte chiuse” nel 2014 come persona informata sui fatti, che secondo Giuliano Ferrara su Il Foglio violava l’ex art. 289 del codice penale, l’avvocato di Totò Riina Luca Cianferoni fu interrotto da Vittorio Teresi quando tentò di chiedere al Capo dello Stato la sua versione sulla questione “Mafia Appalti”, ma Teresi come “dominus” dell’interrogatorio non gli consentì di formulare la domanda: ironizzando, si potrebbe dire è l’unicità delle carriere, bellezza! Il controllore è amico dei controllati.
Vedete che sulla Giustizia c’è un problema grande quanto una casa?
Viene in aiuto la magistrale pellicola – nella sua intrinseca razionalità ebraica – di Martin Scorsese “The Departed” – Il bene e il male”: solo un geniaccio come il re del thriller Scorsese poteva ricostruire questa realtà difficile da accettare, anzi, impossibile da accettare soprattutto se si comprende che l’autos nomos non può essere portato al “punto di equilibrio”: la ragione non è la realtà.

Veniamo infine a Giancarlo Caselli, che nella riflessione “I Don Ferrante della mafia” scrive una grave inesattezza sul processo Andreotti, probabilmente per un problema di “rimozione nevrotica” di una verità a lui sgradita: “… A pagina 249, il Barbano parla del processo Andreotti dimenticando ciò che mi ostino da sempre a ricordare e che tutti possono verificare: nel dispositivo della sentenza d’appello, confermata in Cassazione, sta scritto ben chiaro che il reato addebitato all’allora senatore a vita ed ex (sette volte) presidente del Consiglio risulta “commesso (sic!) fino al 1980, ma prescritto…”.

Orbene, l’ostinazione dell’“eternamente uguale” Caselli nel riferire un fatto falso è preoccupante; infatti, Francesco Damato in un bellissimo articolo titolato “Caro Caselli, su Andreotti sbaglia…” per Il Dubbio del 15 gennaio 2019, l’analista osservava: “Per quanto messa ampiamente nel conto, si è rivelata superiore al previsto l’insofferenza di Gian Carlo Caselli per le celebrazioni mediatiche ed anche istituzionali – com’è avvenuto ieri alla Biblioteca Giovanni Spadolini al Senato – del centenario della nascita del suo ex ed ormai defunto imputato eccellente di mafia Giulio Andreotti… Gli avvocati Giulia Bongiorno e Franco Coppi… contestarono a Caselli di fermarsi sempre, nei suoi interventi critici sul loro assistito, alla sentenza d’appello. E di limitarsi ad accennare al terzo e definitivo verdetto, quello della Cassazione emesso alla fine dell’anno successivo, come ad una pura e semplice ratifica dell’altro.
Invece nella sentenza della Cassazione si trova ciò che Caselli, secondo Stefano Andreotti, cerca sempre di tenere per sé, sapendo forse che chi lo legge sui giornali, o lo sente alla radio o in televisione, difficilmente ha poi la voglia e il tempo di controllare scrupolosamente gli atti (purtroppo è successo anche a chi scrive!, ndr). Si legge, in particolare, nelle carte della suprema Corte che da parte dei giudici di appello in ordine ai fatti prescritti “la ricostruzione e la valutazione dei singoli episodi è stata effettuata in base ad apprezzamenti e interpretazioni che possono anche non essere condivise”. Ancora più in particolare, nella sentenza davvero definitiva di un processo – non dimentichiamolo alla cui “autorizzazione” lo stesso imputato contribuì votando palesemente a favore nell’aula del Senato, e quindi rinunciando per la parte che lo interessava all’immunità parlamentare spettantegli in quel momento come parlamentare, è scritto che agli apprezzamenti e alle interpretazioni dei giudici d’appello, sempre in ordine ai fatti coperti dalla prescrizione, “sono contrapponibili altre dotate di uguale forza logica”. Non mi sembrano, francamente, parole e concetti di poco conto, ignorabili o sorvolabili in una polemica così aspra come quella che l’ex capo della Procura della Repubblica di Palermo…” ha con i difensori di Andreotti.
Ps – La realtà è che Andreotti è stato assolto con formula dubitativa ai sensi del 530 comma, dunque non è stato prescritto. Auguro a Caselli maggiore serenità, ma i fanatici non possono accettare la realtà.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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