Così l’inglesorum diventò la lingua ufficiale dei ciarlatani

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Anna Rita
Capita sul posto di lavoro, tra amici e conoscenti che il pavone di turno sciorini una serie di parole chiave in inglese, per impressionare i propri interlocutori. Giusto per fare un esempio, mi viene in mente il disappunto di un amico che, al termine di un colloquio di lavoro, fu liquidato con una frase del tipo:- Sei troppo skillato per ricoprire questa posizione. – Frase pietosa quanto a forma e significato. In questo caso, poi, si arriva ad un incrocio tra l’aberrazione della lingua inglese e quella della lingua italiana. Una sorta di virtuosismo dell’orrido, insomma, che nonostante tutto sembra fare tendenza. Adesso, non sono così conservatrice da oppormi alle contaminazioni che accompagnano la naturale evoluzione di una lingua. Sono semplicemente infastidita da quest’ uso sproporzionato e spropositato della lingua inglese. Trovo positivo che esista un idioma comune a livello globale e trovo coerente il fatto che la scelta sia caduta sulla brevità e concisione dell’inglese. Ma credo che questo discorso valga solo in contesti internazionali.
Quando usiamo l’inglese per riempirci la bocca o ricorriamo ad orrende ibridazioni come skillato beh, cari miei, il nostro linguaggio suona come il latinorum di manzoniana memoria. Ci riduciamo a personaggi da caricatura, a soggetti alla Don Abbondio, a specchio del declino in cui siamo calati e che chiamiamo crisi. L’inglese a tutti i costi, infatti, è il linguaggio dei venditori di fumo, di chi ostenta, per sopperire ad una desolante carenza di contenuti e competenze. Un uso appropriato della nostra lingua e delle lingue straniere in contesti internazionali, invece, dovrebbe essere un punto cardine del nuovo rinascimento a cui ogni cittadino italiano onesto aspira. Non dimentichiamo che la cifra dell’inglese e, a suo tempo, di un’altra lingua che fu internazionale come il latino è proprio il pragmatismo. Certo, l’italiano è per sua natura più “decorativo”. Si presta a giri di parole e voli pindarici che fanno del nostro Paese una terra di poeti. Ma non possiamo svilire questa qualità per consolidare la nostra fama di ciarlatani.
Vorrei invitarvi a riflettere su un aspetto: si dice che la lingua sia lo specchio di un popolo. Bene, non riconoscete nel linguaggio di molti politici ed imprenditori nostrani il riflesso del nulla in cui siamo precipitati? A farla da padrone sono la volontà di non essere chiari, magari impressionando il pubblico con l’uso di termini stranieri, in modo tale che la gente capisca il meno possibile. Il nuovo rinascimento italiano non ha bisogno di questo. Opponiamoci, perché abbiamo la forza ed il coraggio di farlo. Chiediamo (anche a noi stessi) un linguaggio concreto, a cui seguano fatti. Abbandoniamo la cultura del talk show ed abbracciamo quella dell’iniziativa , di chi ha il coraggio di rimboccarsi le maniche e cambiare pagina. Stiamo diventando un popolo di schiavi al soldo di pochi ciarlatani. Stiamo vendendo la nostra preziosa libertà ad un costo orario che non corrisponde né alle nostre capacità, né alla nostra dedizione al lavoro. Stiamo trascurando le nostre famiglie per servire dei cultori del latinorum, con meno stile di quanto fosse in grado di sfoggiarne il povero Don Abbondio. A noi spetta di raccontarli magistralmente, come fece il Manzoni, facendone delle caricature senza tempo, non di asservirci o seguirne le orme perpetuando questo nulla, fatto di truffe, furberie e vuote parole.

Anna Rita Chitera

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