Dal crollo della seconda banca svizzera sembra proprio che non si sia avuto alcun insegnamento dalla storia.
Dopo la grande crisi del 1928, quando il crollo del mercato azionario americano trascinò alla rovina molte delle grandi banche americane, Roosevelt corse ai ripari varando una normativa che, in massima sintesi, divideva le banche in due grandi categorie: quelle d’affari che potevano investire nelle aziende e quelle di risparmio che gestivano i rapporti con i clienti.
Questo sistema fu poi abolito da Clinton, permettendo alle banche di ingrandirsi a dismisura in ogni campo: e venne la crisi dei subprime.
In seguito a questa crisi Obama varò la legge Frank-Dodd che sottoponeva le banche più grandi (quelle “di sistema” o “troppo grandi per fallire”) a tutta una serie di controlli.
Questa normativa fu allentata da Trump: ed ecco una nuova crisi di una grande banca, il Credit Suisse, che ha rischiato troppo sui mercati.
Insegnamento che si dovrebbe trarre: porre paletti e controlli all’attività delle banche non è una manifestazione di dirigismo, o peggio di statalismo, ma una necessità per garantire il buon funzionamento del mercato.
Essere liberali non significa auspicare la mancanza di ogni regola, la legge della giungla in cui spesso non vince il migliore, ma il più furbo (o disonesto) bensì porre degli argini, ovviamente uguali per tutti, che permettano al mercato (e quindi alla concorrenza) di funzionare meglio.
di Angelo Gazzaniga