CRITICA A NADIA URBINATI: IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA. GIORGIA MELONI, FRAGILE E FORTE NON CONOSCE KEYNES

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“Quando cerchiamo i giovani per dargli lavoro abbiamo un grande
competitor che è il Reddito di cittadinanza”
Carlo Bonomi, presidente Confindustria

“I giovani è meglio che se lo inventino il lavoro anziché trovarlo”
Paolo Crepet

L’ideologia fa rima con patologia.

Chi scrive ha letto con attenzione e scetticismo le riflessioni schematicamente ideologiche della professoressa Nadia Urbinati, pubblicate sul quotidiano “Domani” del 6 gennaio 2023: Giorgia Meloni sarebbe la Thatcher italiana.
E questo fatto, a giudizio della politologa, sarebbe un disastro: “… Se non altro, grazie a questo governo ci chiariamo le idee sulle due tradizioni interne alla famiglia liberale: una centrata sul “lasciar fare, lascia passare” come si diceva un tempo della scuola liberista in economia; e una centrata sul valore eguale delle singole persone…”. Leggo testualmente: “Nella conferenza stampa di fine anno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato di escludere misure anti Covid. Ha auspicato che l’Unione europea, di fronte a una nuova ondata dei contagi, usi “responsabilità e non coercizione”. Ci sono nella coalizione di governo partiti che nella fase tremenda del contagio hanno celebrato la libertà come non interferenza da parte dello stato nelle scelte individuali di movimento.
Hanno sostenuto manifestazioni contro l’obbligo della mascherina, del vaccino e del green pass. Giorgia Meloni dichiarò, dall’opposizione, di non vaccinare la figlia…”.
L’ultimo fatto è sintomatico della grave irrazionalità di Giorgia Meloni, che in gioventù ha sofferto di bulimia: l’altra faccia dell’anoressia.

La ristrutturazione del reddito di cittadinanza sarebbe il neo thatcherismo in Italia con gli eredi di Giorgio Almirante. E’ tranchant la conclusione della professoressa che insegna alla Columbia University, che divide il mondo in bianco e nero: “… Anche oggi, come in passato, il liberalismo si biforca: da un lato, un individualismo antisociale che può ben adeguarsi all’orbace “me ne frego” salvo essere autoritario con le minoranze; dall’altro, un’individualità che per svilupparsi ha bisogno di una libertà che riconosce i propri limiti in quella degli altri.”

Orbene, chi scrive detesta questo argomentare “faziosamente enunciatario” che non contiene le necessarie dimostrazioni a corredo delle affermazioni tranchant fatte, in ciò influenzato dallo “scetticismo freudiano” del professor Bruno Orsini.
La Meloni, che ha i difetti delle sue stesse qualità, 1) non ha abolito il reddito di cittadinanza come chi scrive cercherà di dimostrare in seguito – anche se l’unica occupazione del qui presente articolista sono immagini violente sui piedi della Cristina Parodi, 2) la Meloni non è affatto liberista, ma al contrario statalista poiché è contraria al DEFICIT SPENDING che è un provvedimento liberistico di per sé; curiosamente né John Maynard Keynes né Federico Caffè lo capirono, e fecero una brutta fine, 3) Qualche punto in comune tra la Iron Lady e Giorgia c’è, ma è un elemento positivo: entrambe le due leader di provato talento politico sono “one track mind”, e non portate al ragionamento (sic!).
Per esempio, nel retrocopertina del libro “I miei anni a Downing Street” di Margaret Thatcher, leggo queste considerazioni dell’editore: “… Nessun primo ministro dell’epoca moderna ha cercato di trasformare in modo tanto radicale il proprio paese e la sua collocazione nello scenario internazionale. Come lei stessa afferma, il suo governo si è proposto di applicare una filosofia, non di attuare un programma amministrativo: e la signora elenca le motivazioni della propria politica.
Non meno coinvolgenti risultano i passi in cui rievoca l’addio al n.10 di Downing Street o dove interviene sulla diplomazia (“le opposte tentazioni di chi governa sono l’arroganza e la timidezza”) e sull’etica (“ciò che è moralmente giusto si traduce spesso in qualcosa di politicamente opportuno”), sul suo stile di condotta personale (“una volta che abbraccio una data linea di pensiero, non mi si ferma facilmente”).
Una lettura intensamente, talvolta inconsciamente, rivelatrice della personalità dell’autrice, da cui emerge – come un commentatore ha recentemente sostenuto – l’impressione di una corazzata che avanza a tutta velocità…”.

Ecco, queste parole dell’editore dell’autobiografia della Iron Lady si allacciano alla perfezione alla “forma mentis” della irrazionale di successo Giorgia che indossa una maschera, un curioso mélange tra Greta Thunberg e Margaret Thatcher: la brillantezza del “pensiero bugiardo”, il decisionismo politico e il fanatismo su cui poggiano le proprie convinzioni politiche messianiche; il tutto coronato dalla cosiddetta “sindrome di hybris”, che è un vero giano bifronte nella sua inaccessibile dimensione misterica.

Vengo al secondo punto di questa analisi, che mi sta particolarmente a cuore: la questione del reddito di cittadinanza, affrontata con indubbia moralità dalla nostra Lady di ferro.
Il titolo del Fatto Quotidiano “Non hanno lavoro? Mangino brioches”, nella brillantezza mistificatoria alla Indro Montanelli di Marco Travaglio, è in contrasto con la stessa analisi di Carlo Di Foggia (all’interno del Fq): “Da quando il Reddito di cittadinanza è stato approvato, tre anni orsono, un sussidio in media di 550 euro al mese a “nucleo percettore” è diventato il nemico numero uno di una grossa fetta di imprenditoria italiana – e dei suoi addentellati politici – abituata a scaricare sul costo del lavoro la sua crisi ultradecennale. E’ il famoso “modello Bangladesh” che ha portato i salari reali italiani a essere gli unici a calare in 30 anni tra i Paesi avanzati e il leader della Confindustria, Carlo Bonomi, a dire che “quando cerchiamo i giovani per dargli lavoro abbiamo un grande competitor che è il Reddito di cittadinanza”.
E’ forse in ossequio a questa idea di sviluppo che ieri (21 dicembre 2022, ndr) la maggioranza di centrodestra, dopo la prima stretta, ha provato a dare l’ultima picconata al sussidio con una norma pasticciata: è il tassello finale di una serie di scelte con cui la prima legge di Bilancio del governo Meloni incentiva il lavoro povero.
La manovra”, continua il fine analista Di Foggia, “aveva già ridotto da 12 a 8 mesi la durata del sussidio a partire dal 2023 per i percettori “occupabili”, cioè gli 860 mila beneficiari, purchè senza minori o anziani a carico, in grado di lavorare e firmare il “patto per il Lavoro”.
Poco importa che 176mila di loro un lavoro ce l’abbiano già, ma integrano col Reddito un salario da fame: lo perderanno come gli altri, dopo essere stati obbligati a seguire un corso di formazione (non è detto, caro Di Foggia, nda). Ieri notte (21 dicembre 2022, ndr) gli emendamenti della maggioranza in commissione Bilancio hanno fatto il resto. Le mensilità sono state ridotte a 7, ma non solo. Viene cancellata la cosiddetta “offerta congrua”, costringendo di fatto i beneficiari ad accettare qualunque lavoro e su tutto il territorio nazionale, pena la perdita del sussidio.
Oggi la norma considera “congrua” l’offerta coerente con le esperienze e competenze maturate, la distanza dal domicilio e i tempi di trasferimento (entro 80 chilometri e raggiungibile in 100 minuti col trasporto pubblico): domani un percettore di Reggio Calabria sarà costretto ad accettare un lavoro qualsiasi a Treviso o a perdere l’assegno.
L’offerta congrua”, concludeva il lucidissimo Di Foggia ancorchè non interamente condivisibile, “peraltro, è un concetto difficile e complesso, di fatto quasi mai applicato, perché i Centri per l’impiego (di fatto una corporazione statal-mafiosa, nda) vengono snobbati dalle aziende…”.

Dunque, caro Di Foggia: l’antidemocraticità del governo Meloni poco incline al buonismo – “La possibilità di lavorare in Italia esiste, la congruità è un fattore naturale” ha dichiarato Francesco Lollobrigida il 21 dicembre 2022 sulla falsa riga di Milton Friedman –, può stimolare “aggressivamente” una forte ripresa dell’occupazione, riaccendendo tanto l’offerta quanto la domanda.
Quindi, brava Meloni coerentemente con la frase manifesto della Iron Lady “Non è la società a fare gli individui, ma sono gli individui a fare la società”, e il reddito di cittadinanza non deve essere una misura criminogena ma socialmente utile.
Quindi, l’Italia si avvicina ineditamente all’Inghilterra con la seguente modulazione del RDC: voi lo percepite se siete senza soldi, ma a “conditio sine qua non” che accettiate il lavoro che vi viene offerto.
Sennò, la festa è finita. E non state seduti sul divano con 700 euro al mese.

Infine, in polemica con Nadia Urbinati, osservo che la Thatcher rafforzò le istituzioni “post-keynesiane” create dal New Deal del laburista Clement Attlee, quindi non credo che se ne fregasse dei poveri – se pur correggendo gli eccessi dello statalismo.
Veniamo però alle critiche negative nei confronti della “Melonomics” con la maggiore aderenza possibile alla realtà dei fatti.
In una bella intervista della partenopea Myrta Merlino, Andrea Purgatori osservava ineccepibilmente che sia l’ideologo dei Fratelli d’Italia Guido Crosetto che il Primo Ministro si sono dichiarati irresponsabilmente contrari ad accettare i soldi a prestito della Christine Lagarde, proprio come a suo tempo fece l’“avvocato del popolo” Giuseppe Conte: è l’ideologia che prevale nell’uno e nell’altro caso.
Orbene, questo comportamento del Governo pregiudizialmente “anti-keynesiano” a causa del provincialismo insuperato dell’onorevole Meloni – mentre la Christine Lagarde è stata generosa e realista insieme – rischia di produrre gravi conseguenze politiche distruggendo il Pnrr che sta morendo per consunzione, e consegnando l’Italia a Matteo Salvini mentre si allungano le ombre dell’Hotel Metropol sul nostro Paese un secolo dopo la marcia su Roma.
I diktat dell’ideologia versus il pragmatismo condizionano tanto i Cinque Stelle quanto i Fratelli d’Italia, ieri come oggi; ieri un irresponsabile Conte poi migliorato da Domenico De Masi, oggi gli “eredi di Almirante” rifiutano il Mes all’interno della “felice autarchia”, ed è stato nel febbraio-marzo 2020 un grave errore politico del Movimento Cinque Stelle che portò all’ingerenza tecnocratica a Palazzo Chigi di Super Mario, anche se l’intellettuale Massimo Fini non ha capito l’11 gennaio del 2022 sul Fq perché il “gambler” Renzi tolse la spina al governo Conte: rifiutando il MES, il quasi professore, quasi politico, quasi avvocato – chiedo il copyright a Francesco Merlo – espose l’Italia al rischio del baratro in piena pandemia e le èlite europee auspicarono la rimozione.
Ecco i passaggi essenziali dell’intervista della Merlino a Purgatori, che per me rimane un documento storico:

“… Volevo dire una cosa banale (Andrea Purgatori, nda). E cioè che la questione del reddito di cittadinanza era un tema da campagna elettorale prima ma è ancora adesso un tema rispetto al quale poi non si riesce a ragionare sul fatto che tu lo puoi togliere anche domani mattina, ma devi avere una struttura dietro che consenta alle persone di trovare un lavoro; lo togli, lo metti ma tutto quello che viene prima non c’è.
Allora diventa semplicemente: io lo tolgo, perché adesso sono al governo, prima…”
“Soluzioni semplicistiche” (Myrta Merlino, nda).
“Secondo me non ha alcun senso, tenendo conto che poi siamo in una situazione di crisi pericolosissima perché la questione del Mes che è stata posta in maniera molto seria dalla Lagarde deve adesso presupporre una scelta da parte del governo.
E’ vero che se tu accedi al Mes, in qualche modo ti metti in casa un controllo.”
“Non lo vogliono usare”: risponde prontamente la Merlino, con la consueta lucidità.

Purgatori: “Ma è anche vero che se tu non lo utilizzi, rimani a piedi perché tutti gli altri paesi lo hanno sottoscritto.”

Myrta Merlino: “La verità è che loro (Fratelli d’Italia, nda) dicono di non volerlo usare, dopodichè io ho fatto collegamenti con medici italiani che non fanno politica e hanno detto: “Prendetelo, ne abbiamo un bisogno disperato del Mes. Quindi, anche là bisognerà fare i conti con la realtà.”

Andrea Purgatori: “Poi, scusami, tutti questi discorsi che stiamo facendo non tengono conto del fatto che abbiamo un debito mostruoso. Cioè noi siamo in qualche modo non liberi di fare delle scelte fino in fondo perché ci portiamo dietro un fardello pazzesco.
Io sono arrivato a pensare che forse le persone che hanno più disponibilità potrebbero “pro quota” versare la loro parte di debito allo Stato in modo di alleggerire…
Bisogna trovare una soluzione, sennò le manovre saranno sempre più povere e quindi di conseguenza noi quel fardello ce lo continuiamo a portare dietro.”
“Le riforme strutturali. Sempre una serie di problemi arcaici…”.

Insomma, la Meloni ha i difetti delle sue stesse qualità.
E’ una fase storica molto interessante.
The show must go on.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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