Un saggio su Benedetto Croce e gli anni della sua formazione
Anche Croce prima di essere grande era piccolo, prima di essere assertivo era incerto, navigava nei dubbi e nell’inscienza di sé e del suo destino. Duramente provato, fino alla tentazione del suicidio, dalla perdita dei genitori e della sorella nel terremoto di Casamicciola del 1883, fu affidato col fratello alla tutela di Silvio Spaventa, a Roma. Qui si commentavano la sera gli argomenti trattati durante il giorno all’università da Antonio Labriola, che lo istradò nel mondo della lingua e dell’estetica tedesca. Questa, secondo Labriola, era propedeutica agli studi di filosofia e al marxismo. Dal 1886 al 1892 Croce “si perse” in studi di “erudito, aneddotista, letterato ed involontario filosofante”, in cui, dice, “non solo non acquistai coscienza della mia vocazione filosofica, ma quasi si offuscò il barlume che pur talvolta me ne traluceva”. Ma sotto questa attività di storico erudito “tutto versato nell’esterno”, si costruiva lo zoccolo duro della sua umanità e cultura, su cui avrebbero in seguito poggiato la sua vita e la sua opera. Essi lo portarono in particolare a interrogarsi sulla storia e alla fine (1893) a scrivere la famosa memoria La storia ridotta sotto il concetto generale di arte. L’arte in essa era l’unico punto fermo della riflessione e questo spostò dunque la sua attenzione verso di essa. “Ma quando mi accinsi all’opera e cominciai a raccogliere i miei sparsi concetti, mi ritrovai ignorantissimo: le lacune si moltiplicarono al mio sguardo; quelle stesse cose, che credevo tener ben ferme, ondeggiarono e si confusero; problemi non sospettati si fecero innanzi chiedendo risposta; e per cinque mesi quasi non lessi nulla, passeggiai per lunghe ore, passai mezze giornate e giornate intere sdraiato sul sofà, frugando assiduamente in me stesso, e segnando sulla carta appunti e pensieri dei quali l’uno criticava l’altro”.
Così Croce continua la descrizione dei suoi tormenti e dei suoi errori e ricominciamenti, facendo capire quantae molis erat costruire una compiuta coscienza filosofica. Ma poi, una volta trovato il bandolo della matassa, tutto procede con velocità prodigiosa. Dopo sette mesi scrive le Tesi fondamentali di un’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. È il nucleo su cui sorgerà l’estetica, consacrata nella sua forma definitiva, dopo lunghe e ripetute rielaborazioni, nell’edizione Laterza del 1950. Da essa Croce uscì, come dice, “non solo affatto orientato sui problemi dello spirito, ma di più con l’intelligenza sveglia e sicura di quasi tutti i principali problemi sui quali si sono travagliati i classici filosofi: intelligenza che non si acquista con la semplice lettura dei loro libri, ma col ripetere in se medesimi, sotto lo stimolo della vita, il loro dramma mentale”.
Ora finalmente, con l’edizione in tre volumi di Bibliopolis (pagine 1746, euro 90), abbiamo quest’opera capitale di Croce in forma filologicamente perfetta, con una puntuale analisi critica e storica, grazie alla cura di Felicita Audisio, di cui è particolarmente apprezzabile la Genesi e storia del testo.
Si sa che le idee estetiche di Croce sono la sistemazione filosofica di quelle di De Sanctis. Non si sa che ciò vale anche per il resto della filosofia crociana. Tutti conoscono De Sanctis come grande critico e storico della letteratura, e così lo qualifica lo stesso Croce; nessuno lo conosce come ingegno filosofico di prim’ordine, che per primo in Europa scoprì quello che è vivo e quello che è morto in Hegel (letto prima in italiano e poi in carcere in tedesco) e in Schopenhauer (da lui lodato nonostante i dardi scoccatigli contro). Fu il mentore De Sanctis a passare a Croce gli altri due suoi vantati “maestri”, Hegel e Vico, oltre all’odio per Schopenhauer, sicché dei tre resta, come suo anticipatore e ispiratore, solo De Sanctis. È l’influsso di De Sanctis che induce Croce, grande erede, per non dire curatore fallimentare, della grande filosofia idealistica tedesca, a imprimere a questa una svolta nel senso dell’estetica, il campo in cui una freschezza era ancora possibile, in mezzo alla grandiosa ma astrusa e ormai pericolante astrattezza del suo edificio, intaccato dalle critiche provenienti da tutte le parti. Sulla scia di De Sanctis, dunque, Croce fa valere in arte l’intuizione-espressione, allontanandosi da ogni psicologismo e fisiologismo positivistico. Non i sentimenti fanno l’arte, come molti credono – egli significa – ma la loro trasfigurazione, la fantasia creatrice, che li brucia e li trasforma. Tessera importante del mosaico, l’arte è linguaggio e il linguaggio è arte. Qui Croce tocca l’elementare. Intuire è porre nello spazio e nel tempo, è immaginare, ed è un fatto basico universale (ogni uomo è poeta), rispetto al quale gli artisti sono solo degli “specialisti”. Secondo l’inizio dell’estetica, si danno due forme di conoscenza, quella intuitiva, per la fantasia, e quella logica, per l’intelletto. Alcuni, tuttavia, ritengono essenziale solo quella intuitiva, e da essa derivano tutto il resto. Ma le difficoltà principali che l’estetica di Croce incontra (Ezra Pound ci pensò su e disse: “Bella, ma non functiona”), in particolare nel campo dell’arte moderna, deriva dalla sua estraneità, sua e di Gentile, il cui neoidealismo era il coronamento costruttivo del Risorgimento e del nuovo Regno d’Italia, all’intorbidarsi tutto intorno della cultura europea, fiume lutulento che correva ormai irresistibilmente alla crisi e alla catastrofe e catarsi finale. Ma l’estetica (e tutta la filosofia di Croce) è stata contestata anche in molti altri modi, per la sua radicalità e il suo purismo, per la distinzione di poesia e letteratura, per la negazione dei generi e della distinzione tra critica e filosofia (secondo Goethe e Schiller necessaria e netta), per la negazione della natura stessa, ridotta, sulla scia di Hegel, a pseudoconcetto, della scienza come fonte di conoscenza e, per non dire troppo altro, per i suoi famosi distinti, stigmatizzati come “la filosofia delle quattro parole”. I distinti in realtà funzionano perfettamente nella filosofia dello spirito, cioè dell’attività, dell’uomo, anche se l’uomo è d’altra parte considerato solo un’istituzione dello spirito e, dantescamente, “ombra che par persona”; ma non funzionano nella filosofia della natura, della passività, in cui lo spirito è, come dice Nietzsche-Zarathustra, araldo e giocattolo del corpo. Ma la ricerca estetica di Croce non si fermò all’Estetica. Continuò in particolare con il Breviario di estetica e con i Nuovi saggi di estetica, che Croce raccomanda addirittura di preferire all’Estetica, “per la più piena determinazione dei concetti dell’arte e della storia dell’arte, dell’intuizione lirica e della creazione artistica”.
Sossio Giametta