Ma valgono ancora gli indirizzi dati da Nobel per l’assegnazione del premio?
Tre anni fa, nell’autunno del non lontano 2013, si scatenò un uragano di proteste in Italia quando chi scrive pubblicò un articolo sul “Corriere della Sera”, in cui si nominava Roberto Vecchioni come uno dei candidati al Nobel per la letteratura. Non servì a niente replicare, a chi tuonava rabbiosamente che era “una bufala”, che l’Accademia, per bocca di uno dei piú autorevoli componenti della commissione Nobel, Kjell Espmark, aveva dichiarato di guardare da tempo con interesse ai poeti che si esprimono in musica, nominando espressamente Bob Dylan e Leonard Cohen. Vecchioni inoltre aveva dalla sua anche una notevole produzione letteraria, ma venne coperto di insulti gratuiti dai soliti invidiosi.
Sgombrato il campo quindi dal fattore sbalordimento, valido solo per chi ancora non sa e non capisce niente dei criteri con cui lavora l’Accademia di Svezia, rimane da spiegare su quali basi si siano mossi gli “Immortali” nello scegliere il vincitore del “premio più importante del mondo”, come scriveva Moravia in una lettera di congratulazioni a Pirandello. Il criterio è quello del continuo allargamento del campo del premiabile (oltre che del poetabile) che in realtà è da una quarantina d’anni una delle linee guida dell’Accademia di Svezia, timorosa di non essere al passo con i tempi. Trovare nuovi settori, finora tagliati fuori dal premio, viene considerato quindi un atteggiamento innovativo e coraggioso. Era il senso del premio a Fo e sarà quello di possibili premi futuri.
Se un’obiezione può essere quindi mossa all’Accademia per il premio a Dylan è semmai quella di avere ormai abbandonato completamente gli ordini impartiti da Alfred Nobel nel suo testamento, secondo i quali va premiato chi, “durante l’anno appena trascorso”, abbia prodotto la cosa più eccellente “in direzione di un ideale”. Entrambi i criteri, anche se interpretati con una certa elasticità, non si adattano a Bob Dylan. Molto discutibile appare anche il contesto letterario in cui Dylan è stato situato dalla Segretaria Permanente dell’Accademia, Sara Danius, vale a dire “nel solco della grande tradizione letteraria di lingua inglese, da Milton e Blake”, con l’aggiunta – per non farsi mancare niente – di richiami anche a Saffo, Omero e Rimbaud.
Fattore non ultimo della scelta è stato anche quello di “rilanciare” astutamente il premio a livello mediatico grazie alle polemiche che l’Accademia non poteva non avere previsto, con l’aggiunta di un piccolo tocco di perfidia nel concedere l’ambitissimo riconoscimento agli Usa, che da tempo lo reclamavano, ma dribblando tutti gli autori “legittimati”che venivano dati per favoriti, da Roth a De Lillo. È un po’ quanto avvenne con il Nobel a Fo, in un momento in cui in Italia si era scatenata una campagna di protesta perché ancora non era stato premiato Luzi.
Enrico Tiozzo