Lucio Colletti, chi era costui?
Se avete meno di trent’anni, per il momento siete perdonati. Se ne avete di più, e non sapete chi sia stato il filosofo Lucio Colletti, non ditelo a nessuno e precipitatevi subito a leggere qualcosa su di lui: prima su internet, poi in biblioteca e infine in libreria, comprando “L’intervista politico-filosofica” pubblicata nel 1974 da Laterza. In quel libro, lasciando allibiti i suoi compagni di fede marxista, Lucio Colletti annunciò con una specie di fermezza luterana la sconfitta irreparabile dell’ideologia comunista, e la necessità di impegnarsi in favore di una visione liberale.
Con questo non dovete credere affatto che Lucio Colletti possa rientrare in quella tipologia di intellettuali di sinistra folgorati per qualche ragione sulla via del mercato capitalista, e da quel momento implacabili e pregiudiziali detrattori delle loro precedenti prese di posizione.
Colletti, tanto per chiarire, non è stato “un” filosofo ma probabilmente, insieme ad Emanuele Severino, il più importante pensatore italiano della seconda metà del Novecento. Tanto più importante, insieme alla simpatia tagliente del suo carattere, e al suo disprezzo aristocratico per i conformismi, la forza con cui in quell’anno ebbe il coraggio di fare una pubblica autocritica. Lui, che ancora nel 1967, quando dirigeva la rivista “La Sinistra”, accarezzava l’idea di contribuire a coagulare, alla sinistra del Pci, un nucleo di forze vicine ad Ingrao e provenienti dalla sinistra socialista. Sempre lui che trent’anni più tardi, nella prefazione a una edizione del “Manifesto” di Marx, ne avrebbe esaltato la capacità di prevedere l’età della globalizzazione ma stroncato senza appello il profetismo e l’aspirazione a un paradiso comunista in terra. E ancora lui, duro critico del pensiero di Nietzsche in quanto predecessore del nazionalsocialismo, ma simpatizzante della sua critica radicale alla concezione religiosa greco-romana del mondo come creato dal nulla.
Quanto altri Colletti, mamma mia, forse vi sarà concesso scoprire! Quello che nel 1956, ancora comunista, avrebbe firmato con altri 100 intellettuali un celebre appello in difesa della rivoluzione ungherese. E soprattutto quello che, con intuizione geniale, avrebbe colto la falla nella costruzione di Marx: la teoria del valore-lavoro, quella su cui si sarebbe dovuta sostenere quella del surplus, dell’alienazione e della centralità della classe operaia, si basava su un errore. Infatti i prezzi di produzione capitalistici, come si sarebbe visto in seguito, sono determinati anche da fattori molto più complessi come il rischio, l’ammortamento, la rendita eccetera. Errore fatale, quello di Marx, dal quale si poteva desumere il fallimento filosofico di tutta la teoria.
Nel giorno in cui ricevo dalle mani della vedova Fauzia il premio intitolato a Lucio Colletti, credo di essere autorizzato, da suo amico ed allievo, a proporvi la lettura del maestro.
Dario Fertilio