Un ricordo di David Bowie
Potrebbe sorprendere l’inserimento nel percorso sul “senso del celeste” dell’artista britannico David Bowie, deceduto sessantanovenne nel gennaio 2016. Il poeta latino Terenzio insegna: “Homo sum; nihil humanum a me alienum puto”. La menzione valga a parziale giustificazione della nostra lettura. In effetti, come tremendamente tragico è, nell’ultimo intenso video musicale Lazarus, l’autore di “Starman” e, poi, di “BlackStar” !
Al principio, Bowie esce da un armadio – sarcofago, nelle cui ante rientrerà all’ultima sequenza. Poi, lo si vede bendato e steso su di un lettino, gravemente infermo, che canta, o – meglio – implora: “ Look up here / I am in heaven “. – “Guarda quassù, io sono in cielo. / E ho cicatrici che non si vedono; / ho un dramma che non può essermi sottratto. / Tu solo adesso mi conosci”. Quindi. la scena s’interrompe per esibirci l’autore dal volto pulito e in posizione eretta, posizione che si alterna con una veste a fasce di luce, quando il cantante inneggia a New York, nel disperato tentativo di registrare gli ultimi improbabili appunti, vergati sul diario con nevrotici scatti del capo e delle mani. Mentre la musica struggente ricava effetti lancinanti e testamentali, l’autore ritorna sulla branda da malato, nello sforzo di sollevarsi anche fisicamente verso il cielo, le mani protese e tremanti in alto: “Alla fine, in qualunque modo, io sarò libero !”.
Lo direi, esteticamente e non senza audacia, – questo inserto venerando e terribile – un canone “caravaggesco”, come nella Resurrezione di Lazzaro a Messina che impressionò Bassani per il gioco della mano tra luce e ombra, a voler significare, da parte di Lazzaro: “Io vengo ! Sì, vengo verso la luce e la vita” – Ma anche: “No, non vengo ! Lasciatemi stare ancora nel buio” ( v. il mio Il caro, il dolce, il ‘pio’ passato. Bassani e la memoria, Bari 2010 ). Dove il contrasto dialettico è, naturalmente, diversamente modulato; dal momento che Bowie è più disperato e straziante nell’assolo ritmico e teatrale ( Per la verità, in una delle due versioni che conosciamo, del Lazarus, di sotto alla branda capovolta, si affaccia per due attimi l’ alter ego di Bowie, vicino a tesi buddistiche di reincarnazione ). Mentre Michelangelo Merisi, peraltro anch’egli disperato o per altri motivi perseguitato, si mantiene più “classico” e “corale”, nella larga tessitura prospettica della scena. Ma il senso profondo delle due rappresentazioni ci vuol sembrare affine: l’alternativa tra morte e vita, morte e sopravvivenza, o nella “santità”, o nel “firmamento”, cui l’ auctor, il personaggio – autore, vuole aderire o approdare. Dentro il travestitismo, c’è la tragedia della libertà. Sotto la “facile” ambiguità ( v. il dialogo tra Bowie e Dario Argento, i prestiti da Orwell e Lewis Carroll, Poe o Burroughs ), parla l’autentica “dialettica delle passioni”: quella che rapportavo negli stessi anni alla “fucina del mondo”, concentrazione delle energie spirituali e fervore proiettato nell’opera, in quanto sintesi degli opposti timore-speranza e cautela-ardimento. Laddove l’ambiguità mi appariva sintomo di dispersione e incoerenza affettiva, priva di creatività, specie nelle declinazioni nostrane di “animali di palcoscenico” e “pappagalli ammaestrati”.
L’autore di “Space Oddity” (1969) e “Ziggy Stardust” (1972) cerca l’autentico sotto l’inautentico e il valore, dentro la esibizione, della “Libertà”: si rivedano gli “Heroes” del 1977, completamento della trilogia berlinese di “Low” e “Lodger”, grande contributo alla vicenda dell’abbattimento del Muro, sul piano ideale e artistico prima ancora che etico-politico.
“Eroe”, o “Eroi di un giorno”, fanno sì che Bowie si possa definire – in fondo – uno dei ‘caduti’ della terza guerra mondiale a pezzi, non sul campo della battaglia militare diretta o indiretta ( in Oriente o in Afganistan, a New York o Madrid, Parigi o Londra ); ma su quello delle creature che hanno introiettato profondamente, “nelle pieghe dell’anima”, le tappe della crisi, come tanti interpreti e attori della vita teatrale, cinematografica e civile, da Robin Williams, genio e sregolatezza, malato nascosto morto suicida, il generoso d’altrui terapeuta, cronista di Good Morning, Vietnam!, di cui figlia Zelda evocò la personificazione in una stella del firmamento, sulla traccia del Piccolo Principe del Saint-Exupery; sino allo stesso Philip Seymour Hoffmann, l’interprete di A sangue freddo di Truman Capote e The Master, altrettanto combattuto e interiormente tormentato per le ferite della esistenza, fino al limite dell’autodistruzione.
Del resto, se la terza guerra mondiale è “a pezzi”
( come ama dire uno dei nostri Pontefici ), ciò vuol significare che essa non è iniziata “qui ed ora”, ma “prima d’ora”, e prius rispetto ad un altro prius e ancora, così, retrocedendo verso la verosimile data ideal-storica del “1994”, emblematicamente assunta a origine della incubazione più recente del male.
Dio non voglia che, alla prossima data di rimbalzo della virtuale esplosione del “male”, alla cadenza del “2034”, e per tutti questi trascorrenti anni angosciosi e drammatici, chiamati ad essere tutti noi “Eroi per un giorno”, “almeno un giorno”, non finiremo per combattere la battaglia ( quasi ) finale tra figli della luce e figli delle tenebre, umile gente buona intesa a veder la luce delle stelle polari, che son poi i valori permanenti e assoluti dello spirito umano, ed i predicatori lugubri della umanità nuova da ergersi sulle macerie della “distruzione” gaudente di sé, “de-creazione” o “dis-creazione”, che si dica o si voglia.
Da un remoto angolo dell’universo, David, look down here, guarda pur qui in basso, verso la nostra terra. .
La religione della Libertà è fatta non solo per politici e filosofi, ma anche per musicisti o cantanti come Lauzi, storici, economisti, letterati e scrittori, circolante come il volgare illustre, aulico, cardinale e curiale del De vulgari eloquentia di Dante, avvertito e presente in ogni luogo anche non si arresta da nessuna parte.
Giuseppe Brescia