Il nostro corrispondente al Cairo da una lettura documentata e approfondita del caso Regeni
La condanna che accompagna la governance di El-Sisi è intellettualmente vergognosa. Non già perché non rileva –e rileva solo questo – evidenti responsabilità nella gestione antilibertaria degli affari interni del paese, ma perché ricade ancora una volta nel deprimente equazionismo delle ipostasi: El-Sisi golpista ergo El-Sisi dittatore ergo El-Sisi eo ipso colpevole. Di tutto, naturalmente.
Ora, la moralizzazione della Storia per come viene illustrata – naturalmente in dispregio dei suoi sviluppi secolari – da parte dei sedicenti “esperti di Medioriente” è certo utile a semplificarela vita ai fruitori di informazione. Ma molto meno a comprendere che laddove la si pretende espressione di valori e disvalori inscindibili dai contesti di riferimento, vale al più come patetica esternazione di desiderata.
Eloquente e raccapricciante il caso di Giulio Regeni, su cui nessuno– a distanza di qualche tempo dal suo assassinio – ha ancora portato una valutazione che sia, se non proprio documentale, qualcosa di più di una apodittica petizione di difesa del bene contro il male. Direi anzi che, di questa ennesima vicenda di sangue, nessuno ha fatto se non le infinite e prevedibili considerazioni di cui ci si fregia per esimersi dal problematizzare, fuori da una lettura moralistica dei fatti, il farsi della Storia. Ovverossia il suo essere irriducibile a una protocollare lettura contemporaneistica o addirittura cronachistica.
Con discutibile disinvoltura, sulla morte di Regeni si è infatti detto di tutto: non però perché è stato ammazzato. Non, fuori dalle ovvie illazioni, che cosa abbia determinato il suo assassinio e quali ne siano, o potrebbero essere, le cause reali. Indolenza intellettuale e professionale hanno anzi fin qui proposto, per l’ennesima volta, uno squadernamento di opinioni e petizioni di principio che alle indagini degli organi ispettivi non hanno aggiunto, come sempre, altro che il nulla più desolante.
Verrebbe da dire: non agli “esperti di Medioriente” né ai “giornalisti” – doverosamente tra virgolette – spetta sostituirsi o avvicendarsi agli inquirenti. E infatti: l’onere e l’onore delle indagini non sono di loro competenza. Ma certo, se è di fatti, cioè di evenemenzialità, che si nutre il loro orgoglio deontologico, resta da chiedersi se, a prescindere dagli accertamenti e ben primache si abbia anche solo la parvenza di una prova, sia lecito che giungano a determinare – sulla scorta di una coazione a ripetere che riconduce alla sua moralizzazione il dispiegarsi della Storia e di questa “storiaccia” –inequivocabili responsabilità. E nella loro ansia di banalizzazione le riconducano, sine differendi ratio, al presidente El-Sisi.
Tale è infatti il tenore, il sottotesto e il sovratesto, di quasi tuttele dichiarazioni e ricostruzioni “giornalistiche” che ho avuto modo di leggere e ascoltare fin qui. In Egitto non esiste libertà di espressione, di ricerca e nemmeno di manifestazione (il famoso qanun el-tadhahur), i precedenti di intellettuali e militanti “scomodi” imprigionati, torturati, assassinati o “desaparecidos” parla da sé, ergo il presidente El-Sisi è sicuramente responsabile o co-responsabile del barbaro assassinio di Giulio Regeni. Lo è in quanto presidente della Repubblica e lo è in quanto ex militare. Lo è come capo di Stato e lo è come “golpista”. Lo è perché il Ministero degli Interni prende ordini da lui e lo è perché il controllo delle frange deviate – se questo è il caso – delle forze dell’ordine è di sua diretta competenza. Ergo – di sillogismo in sillogismo si arriva al parossismo della Colpa maiuscola –è su di lui che deve ricadere ogni e possibile condanna del crimine commesso.
Senonché questo approccio estorto al più pertinace depensamento della complessità elude, come sempre – chiudendo in un aut aut il più variegato universo storico-politico degli et et – decine di distinguo che un’analisi seria non dovrebbe trascurare. Innanzitutto che El-Sisi non ha nessun interesse a procurarsi un discredito internazionale come quello – del tutto prevedibile – prodotto dall’assassinio dello studioso italiano. E già qui scricchiolano le fondamenta della cordata anti-generalissimo.
Ma poi, allargando il campo, che per quanto illiberale, capillarmente insidiato nei suoi strapoteri in ogni anfratto della vita pubblica e persino privata egiziana – media, parlamento e istituzioni sono saldamente nelle sue mani – egli governa un complicatissimo paese da pochi anni soltanto: e solo un preconcetto moralistico può pretendere che in simili condizioni egli possa sovrintendere a tutto. Sarebbe come affermare – e guarda caso nessuno lo fa – che se camorra, ‘ndrangheta e mafia non vengono debellate in Italia è colpa di Renzi. Per non parlare dell’affare Cucchi, su cui è meglio stendere un velo pietoso. E per non ricordare come, insabbiamento dopo insabbiamento, la “democratica” Italia non abbia ancora individuato i mandanti – e gli esecurori? – dell’omicidio Pasolini.
Se – come io propendo a credere – l’assassinio di Regeni è stata opera di un gruppo di agenti “deviati”, probabilmente collusi con politici di primo o secondo rango, vi è poi da chiedersi per quale astratta ragione, non solo El-Sisi, ma lo stesso Ministero degli Interni, dovrebbe essere stato nelle condizionidi impedirlo. Non mi risulta, dalla fondazione della Repubblica Italiana a oggi, che la più straordinaria “deviazione” di Stato che le logge massoniche hanno rappresentato e rappresentano si sia vista debellare dai governi in carica per effetto di magici poteri.
Ma questi che sono rilievi del tutto ovvi sono ancora solo parte irrilevante dell’intera questione. La domanda più cogente è: per quale ragione indulgere a quella “logica del calderone” – tipica di “giornalisti” ed “esperti di Medioriente” – per cui, se un cittadino italiano viene assassinato in terra d’Egitto, questo implicherebbeche l’Egitto non ha più titolo per combattere, come fa, il terrorismo interno ed esterno (Fratellanza “deviata” da una parte e Daesh dall’altra), non è legittimato a sostenere Haftar in Libia, non ha diritto a venire riconosciuto come interlocutore commerciale e via elencando? Purtroppo, come sempre, anche Rai News 24 ha dato voce a questi sproloqui, che come sappiamo lasciano il segno…
Di tali automatismi è però affollato il dibattito in corso. E last but not least del singolare automatismo che vorrebbe questo tragico episodio l’ennesimo colpo portato dalla dittatura ai rivoluzionari egiziani e a chi li sostiene. Ora, nessun dubbio che la rivoluzione del 2011 avanzò rivendicazioni democratiche che lo stesso Regeni, verosimilmente – soprattutto in attinenza ai diritti sindacali e del lavoro – difendeva. E non dimentichiamo che lui stesso scriveva, pur criticando El-Sisi, di riunioni sindacali “affollatissime”, dunque permesse. Ma la domanda è: per quale ragione si è innestata questa retorica rivoluzionariasolo a seguito del barbaro assassinio di Regeni? Dov’erano i democratici che oggi inneggiano ai giovani di Tahrir – e, i meno consapevoli e informati, persino alle “libere elezioni” che portarono Mohammad Morsi al potere – quando l’Egitto sprofondava nell’indifferenza del mondo? Dov’erano?
Io, per fare solo un nome, ero a piazza Tahrir a schivare i proiettili. E dopo ero (e sono) schierato con mia moglie a contestare, sul campo, le politiche repressive e dittatoriali di Morsi e quelle repressive e dittatoriali di El-Sisi. Ma costoro? Gli stessi che oggi gridano alla battaglia coraggiosa e doverosa di Regeni, dov’erano? Dov’erano quando Regeni era al Cairo a intervistare i sindacalisti? Dov’erano?
C’è chi, fra gli “esperti di Medioriente” – termine che ovviamente non significa nulla – ha scritto un libro sulla rivoluzione egiziana dopo aver disertato la battaglia sul campo. O chi – tra i “giornalisti” – ha scritto un saggio sulla stessa rivoluzione praticamente a cose fatte, quando era già sostanzialmente finita. Ecco, io mi domando: se dobbiamo moralizzare la Storia, perché non cominciamo partendo da noi stessi?
Forse, compiendo questo piccolo sforzo, si capirà anche che l’aut aut – o Morsi o El-Sisi, o la democrazia o la dittatura, “o con noi o con il terrorismo” – non funziona quasi mai. Che la Storia è più controversa e riottosa alle semplificazioni. E che un buon approccio alla realtà potrebbe essere il vituperato et et: El-Sisi certamente, e certamente non Mohammed Morsi e le sue elezioni-farsa, ma con tutti i distinguo. Et et. L’illiberalità e la repressione egiziana certamente no, ma con tutti i distinguo: non El-Sisi capro espiatorio di ogni nefandezza consumata sul suolo egiziano, ma come amministratore di un paese complesso e irriducibile alle logiche e alla Storia “eurocentrica”. Et et. La vicenda di Giulio Regeni come esempio di un crimine commesso nelle forme più brutali e intollerabili, certamente: ma con tutti i distinguo. Poteva essere semplicemente espulso dal paese, se davvero tanto pericoloso. Forse qualcuno aveva interessi personali per eliminarlo diversi dagli interessi di Stato. Et et…
E via elencando, perché all’et et andrebbe sempre fatto seguire l’et al, ovvero la complessità, ovvero le infinite implicazioni presenti e pregresse di quanto accade.
E d’altra parte – e chiudo – chi conosce il mio lavoro sa che non ho mai fatto sconti né agli islamisti né ai terroristi né ai militari. E che se ho rammentato il destino della Libia, della Siria e dell’Iraq come infinitamente meno rassicurante di quello a cui l’Egitto è andato incontro con la presa del potere di El-Sisi, non ho mai parlato per questo di una conquista di democrazia. Al contrario, sostengo che dopo la secolare occupazione ottomana, la decennale occupazione britannica collusa con la monarchia, e sessant’anni di regimi militari, gridare allo scandalo perché l’Egitto non è ancora come la Svezia mi sembra a dir poco comico: tanto più dal pulpito di chi di Franco, Salazar, Hitler, Mussolini, Stalin e Tito si è sbarazzato l’altroieri. Ma se questo non equivale – né mai equivarrà – ad essere assimilabile a un “giornalista” o a un “esperto di Medioriente”, vale almeno una supplica: se un giorno saltassi per aria, dite che io c’ero. Voi?
Marco Alloni