“Ciò che separa i vincitori dai perdenti è il modo in cui una persona reagisce ad ogni nuova svolta del destino”
Donald Trump
Il tramonto della nostra civiltà si tinge di nero.
E’ sotto un cielo cinereo della Liguria dell’11 giugno 2024 che riporto i rilievi de “la Repubblica”, con i colori della decadenza della civiltà occidentale diagnosticata dal nichilista organicista Oswald Spengler: “Lo stallo francese insito nella possibile vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen alle elezioni politiche che si terranno a fine mese. L’affermazione della destra reazionaria e antieuropea in Francia non potrebbe non avere conseguenze sul resto del Vecchio Continente. L’allarme a Bruxelles è già scattato.”, scrive Claudio Tito.
“Non è esagerato considerare che dall’una del pomeriggio di ieri la storia della Quinta Repubblica, fondata nel 1958 dal generale De Gaulle, è di fronte a un bivio.”, scrive Gilles Gressani. Hunter Biden giudicato colpevole, la versione degenerata del padre. Che dire? Prima di tutto, che Donald Trump e Joe Biden fanno patta, come rivaleggiavano in parità Jfk e Richard Nixon. Il dato veramente singolare è che sia The Donald che Biden – surreale, ma vero – sono afflitti dalla sindrome di hybris: identificano se stessi con gli Stati Uniti, e pagano il rovesciamento della hybris nella nemesi. L’orgoglio si tinge di frustrazione. Perché succede? Il mito dell’eziologia nel senso che Irving Stone dava alla parola è sospeso dal mistero. Eppure Joe e The Donald soffrono – ve lo posso assicurare –, con il precipizio dell’orgoglio nella frustrazione del Narcisismo e si aggrappano al godimento tossicomane della visione. Ci vorrebbe David Owen. La grandezza ha i colori della tragedia? Strani soggetti, The Donald e Joe. Funzionano nell’emergenza e nell’emergenza inciampano. Biden è stato lo straordinario esecutore del Piano Tarp all’ombra di Obama come un degno successore di Franklin Delano Roosevelt, accumulando una conoscenza straordinaria della macchina federale americana, e reinventando il velleitarismo nella grandezza dello statesman e ha vinto per modo di dire le elezioni del 2020. E’ stato “l’utilizzatore finale” di una partita truccata, per sbarrare la strada ad un uomo che è considerato dall’Establishment pericoloso quanto Bugsy Siegel. Che il figlio di Fred Trump sia l’altra faccia di Benjamin Siegel, il fondatore di Las Vegas, è acclarato al di là di ogni ragionevole dubbio, ma io domando: è lecito sospendere l’ortodossia delle procedure, violare le regole del gioco perché il capitalista senza capitali Donald è unfit lo lead United States? O è il viatico per la guerra civile? Leggi la parola viatico alla voce: “Nel gergo dei giocatori di Montecarlo, indennità di ritorno concessa dalla direzione del Casinò ai giocatori che hanno perduto ogni loro avere.” Avvolgiamo all’indietro la pellicola, perché qualcosa non torna e lasciamo la parola a Rudolph Giuliani, che nell’emergenza eccelleva e poi si rovinò (rovesciare il tavolo da pranzo addosso all’uomo d’onore irriducibile Jack Di Norscio che rifiutava di fare l’infame è un gesto trumpiano); all’Ingroia americano il compito di registrare passivamente la Fiera della Vanità. L’atto d’accusa in conferenza stampa dell’ex avvocato personale di Trump, già stretto collaboratore di Giovanni Falcone, fa tremare i polsi:
“Ho molte prove ma non posso rivelarle. Non trovo testimoni disposti a deporre in tribunale, perché ricevono intimidazioni e minacce di morte, temono che la loro carriera sarà distrutta. Ed è colpa vostra (giornalisti, ndr) che avete coperto in modo isterico e fazioso quattro anni di amministrazione Trump. Le schede potrebbero essere state compilate 30 volte dalla stessa persona. Tutte queste cose sono successe. E non volete raccontarlo”.
Giuliani sudava, poiché si rendeva conto dell’estrema gravità delle sue affermazioni che – nel “The Departed” di Martin Scorsese – sono state censurate dai mass media di tutto il mondo, che hanno abilmente spostato l’attenzione sulla tinta dei capelli che colava, piuttosto che sul contenuto della
requisitoria di Giuliani in conferenza stampa. E’ la vanità del Truman Show. Capitol Hill è il naturale prolungamento della falsificazione delle regole del gioco, la capitolazione della democrazia, il 6 gennaio 2021 avvenivano prove tecniche di fascismo. Ma Trump non era né innocente né colpevole. Un po’ innocente e un po’ colpevole, e James Ellroy lo sa. Goodbye alle categorie di Kant, che risentono dell’ideologia dell’Illuminismo. Un’epoca finita.
E, adesso, arriviamo al nucleo della questione senza girarci troppo attorno: ma chi è Donald Trump, l’uomo dalle mille facce? Rispondere a questa domanda, onestamente è presuntuoso e avventuroso. Occorre ragionare in termini “post-kantiani”, francamente. Questa è la conditio sine qua non dell’esplorazione di un enigma. Egli è straordinario in senso negativo e positivo: Angelo Pini dixit. E’ privo di un inside razionale, com’è vero dei giocatori. The man of destiny. Come scrisse Piero Ottone, “Il vero giocatore non gioca per vincere, ma per perdere: non ha pace fino a quando non ha perso tutto”. C’è un passaggio importante nell’articolo del corrispondente Paolo Mastrolilli: “Se mi mandano in prigione, l’America rischia una sommossa. Non ha usato esattamente queste parole, ma l’avvertimento lanciato ieri (2 giugno 2024, ndr) attraverso l’intervista con la tv amica Fox è chiaro. La sua vendetta poi sarà “il successo”, o essere rieletto presidente, perché così potrà cambiare il sistema giudiziario a piacimento. La prima a rompere il silenzio ieri era stata Stormy Daniels, che parlando col tabloid britannico Mirror ha detto che il suo ex amante “dovrebbe essere condannato al carcere, e a qualche tipo di servizio per la comunità, lavorando a favore dei meno fortunati. Oppure fare il punching bag volontario in un ricovero per le donne”. Quindi la pornostar all’origine del processo di Manhattan ha lanciato questo avvertimento: “Lui è completamente e assolutamente fuori contatto con la realtà”. Auguri quindi agli americani, se il 5 novembre decideranno di rimandarlo alla Casa Bianca. Lei suggerisce di valutare bene la punizione, perché Donald è come un bambino “e non so quale sentenza comprenderebbe. Con certi figli funziona se togli loro gli apparecchi elettronici, con altri se neghi il dolce a cena. Non so cosa andrebbe bene con lui.” Stormy invece dà per scontato che lei dovrà fare i conti con quanto è successo “per il resto della mia vita”, perché la sua incolumità personale sarà sempre a rischio…”
Ecco il punto centrale, il cuore pulsante dell’enigma. La sua vendetta poi sarà “il successo”: è il senso di tutta la sua vita. Messo in un angolo, vincerà. Prendere o lasciare. Lascia o raddoppia. E non solo. Funziona come Orson Welles, che adora. Egli è il consigliere di se stesso, ed è un mèlange tra Orson Welles e Oscar Wilde. Ma – fortunatamente per lui – non lo sa, perché il diniego nel senso anti-sociale che è all’opera in Donaldo non è stato frustrato. Tra la frustrazione e la follia, ha scelto la frustrazione della follia. Il disturbo antisociale non è ego-sintonico. Ho appreso da “Ultima ora. Trump nel colloquio pre-sentenza”: “Ho una pistola in Florida”: “Durante il colloquio per la libertà vigilata di lunedì (3 giugno 2024, ndr) Donald Trump ha ammesso di avere una pistola in Florida, il che essendo stato condannato costituisce un reato. Lo riferiscono fonti informate alla Cnn. L’arma in questione è una di quelle elencate nella sua licenza emessa a New York e sospesa dopo la sua incriminazione a Manhattan l’anno scorso. Due delle pistole sono state consegnate alla polizia della metropoli il 31 marzo e una terza, secondo gli avvocati del tycoon, “era stata legalmente trasferita in Florida”. Il punto è che la licenza dell’ex presidente Usa si appresta ad essere revocata dopo la condanna e quindi il possesso di una pistola anche nello Stato della sua residenza di Mar-a-Lago è illegale.”
C’è il rischio che possa togliersi la vita? Liliana Dell’Osso e Riccardo Dalle Luche a proposito de “Il ritratto di Dorian Gray” ne “Essere un altro: la maschera, il doppio, l’attore” processano il diniego che è all’opera nell’inconscio: “… Un altro testo importante sul tema del “doppio”, anche per quanto riguarda la psicopatologia di Marilyn, è Il Ritratto di Dorian Gray, emblema novecentesco del narcisismo patologico, con molti aspetti profetici relativamente all’attuale mondo dell’immagine e dell’apparire, in cui l’icon-show ha sostituito l’inconscio. Si tratta, com’è noto, dell’unico romanzo di Oscar Wilde che, al di là delle celebri battute e paradossi, nasconde una tematica tragica, con la quale Wilde farà i conti nelle opere scritte in carcere, come il poema La ballata nel carcere di
Reading o il De Profundis… Nella Londra aristocratica vittoriana, è un ritratto nascosto in soffitta ad accumulare i segni del tempo e delle malefatte di Dorian, un bellissimo giovane gaudente, narcisista e amorale, che riesce così, per un tempo innaturalmente lungo, a mantenere intatta la splendente bellezza, la giovinezza e un’immagine sociale irreprensibile…”. Ma se Oscar Wilde lo avesse saputo, non avrebbe realizzato uno dei capolavori della letteratura.
Scrive il critico cinematografico Paolo Mereghetti nel suo ritratto sul bambinesco Orson Welles “E’ tutto vero?”, ma il falso e l’autentico fanno patta. “F for Fake”:
“Ha ancora senso chiedersi se Quarto Potere sia il film più bello del mondo? Se Orson Welles sia il regista che ha favorito più vocazioni cinematografiche? Certamente no, anche perché a quasi 39 anni dalla sua morte, il 10 ottobre 1985 a Los Angeles, il suo nome è tra quelli che sono finiti nel tritacarne del dimenticatoio mediatico, specie per una generazione che fatica a ricordare film di 30 anni fa… Eppure l’eredità che ci ha lasciato, con i suoi film e con le sceneggiature e i progetti non realizzati, è ancora incomparabilmente più ricca di quanto in moltissimi avessero mai sospettato: è quella di un autore che, al di là degli schematismi di chi ha voluto incasellarlo dentro griglie troppo rigide e strette, ha saputo misurarsi con l’universo dei mass media, che è riuscito a lottare (anche se non necessariamente a vincere) contro le tentazioni del successo e della ricchezza, che ha riflettuto con lucidità sul ruolo dell’intellettuale. Anche se, poi, questa grandezza ha spesso rischiato di trasformarsi nel primo degli ostacoli al suo apprezzamento.
Come si può parlare di un regista così ingombrante come Welles, che una lettura tanto accreditata quanto fuorviante ha spesso descritto come “autodistruttivo” e “predestinato alla sconfitta”?…”.
Ancora, sempre da Mereghetti: “Come si può affrontare un’opera che conta solo 14 lungometraggi portati a termine in più di 30 anni di carriera, di cui almeno due “ufficialmente” massacrati dalla produzione (L’orgoglio degli Ambersen e L’infernale Quinlan) e uno senza nemmeno il nome nei titoli (Terrore sul Mar Nero)? Cosa si può dire di un’opera che vanta altri quattro film incompiuti, It’s All True (arrivato sugli schermi mutilato e dieci anni dopo la morte di Welles, per l’ostinazione di un gruppo di cinefili franco-statunitensi), Don Quixote (cui la sua ultima compagna, Oja Kodar, ha cercato di ridare vita non senza difficoltà e polemiche), The Deep (che un complicato sistema di co-produzione sembra condannare in eterno a restare in qualche cellario frigorifero) e The Other Side of the Vind (che è tornato in vita a maggior gloria di Netflix, ma in una forma che ha sollevato più di una perplessità)? Come è possibile non restare schiacciati da tutto quello che è stato detto su Welles ed evitare di utilizzarlo come paravento o ariete per le proprie idee?…”.
O come è possibile non restare schiacciati da Welles?
Orbene, una parola è chiave: autodistruttività, all’interno di una Weltanschauung puerile.
Charles Foster Kane era Orson Welles, con la magia della “proiezione”.
Non smascherare la proiezione quando sta facendo del suo meglio!
Nel documentario in visione su Netflix “Trump. Un sogno americano”, si legge: “Donald Trump was asked to talk about his favourite film. He chose the Orson Welles masterpiece”:
Citizen Kane, “Quarto Potere parlava di accumulazione. E alla fine dell’accumulazione, si vede cosa accade: e non è necessariamente tutto positivo (mentre Donald parla, sullo schermo compare Orson Welles che all’epoca aveva 27 anni, ndr). Forse, in quel film ha imparato che la ricchezza non è tutto, perché aveva la ricchezza ma non la felicità. Il tavolo diventa sempre più grande, mentre lui e la moglie si allontanano; man mano che la sua ricchezza aumenta; forse lo posso capire”. L’intervistatore domanda a Trump: “Se lei potesse dare un consiglio a Charles Foster Kane, cosa gli direbbe?”. “Prenditi un’altra donna”. Citizen Trump.
“Privare la magia del suo mistero sarebbe assurdo come togliere il suono alla musica” è il miglior aforisma di Orson Welles.
A costo di portare il mondo intero alla rovina?
di Alexander Bush