Da chi è composto il nuovo fronte anti-europeo?
Alcune frasi, più di altre, mi hanno colpito tra le molte affermazioni fatte da Michel Onfray in una intervista sull’Europa e la Brexit, rilasciata recentemente al Corriere della Sera (del 26 giugno 2016):
“Quel che il capitalismo non è riuscito a fare finché il socialismo totalitario esisteva all’Est, ha potuto farlo grazie alla burocrazia e all’amministrazione di questa Europa del denaro. Il liberalismo si trova paradossalmente imposto in modo autoritario da questa macchina che ha dalla sua parte le élite politiche, mediatiche, industriali, finanziarie bancarie, mercantili, ma non il popolo che fa le spese di questa dittatura liberale”. E all’obiezione dell’intervistatore, che accostava questi sentimenti e questa fraseologia a Marine Le Pen, egli rispondeva: ”Fare riferimento a Marine Le Pen mostra che ci si rifiuta di pensare e che si vuole intimidire”. E più oltre, con riferimento sempre ai movimenti di destra radicale e populista, afferma: “Coloro che ricorrono alle parole populisti e populismo sono di solito dei populicidi, in altre parole degli assassini di popoli”.
Dunque, come altre volte il pensiero della sinistra estrema si congiunge strettamente a quello della destra radicale e intransigente e ne esce un miscuglio che porta dritti verso l’attacco frontale alle istituzioni rappresentative e ai meccanismi della democrazia delegata. Il popolo va ascoltato senza alcuna mediazione politica o istituzionale e non farlo equivale ad ucciderlo. Pensate quel che sarebbe successo se i nostri politici del Risorgimento italiano avessero seguito più che la propria coscienza e il proprio convincimento politico, quello che emergeva dalla pancia delle popolazioni dello Stato pontificio, del Regno delle due Sicilie, o del Granducato di Toscana. Il popolo fu ucciso dalle élite risorgimentali che gli regalarono l’unità nazionale e la democrazia rappresentativa fino all’avvento del fascismo quando quel popolo si riprese la sua primazia e distrusse tutto quello che era stato faticosamente costruito.
Le riunioni del dopo Brexit tra Meloni, Salvini e Brunetta ci riconducono a quegli eventi e rischiano di prefigurare una nuova sciagura nazionale che riporti in pieno vigore tutta la avversione verso i Trattati di Roma sui quali invito ad andare a rileggersi le dichiarazioni rese in parlamento dagli esponenti comunisti dell’epoca, a stento rintuzzate dalle repliche del ministro Gaetano Martino, da Ugo La Malfa, da Guido Gonella.
L’humus da cui nascono le posizioni politiche di avversione alle regole della democrazia e del liberalismo è sempre il medesimo: non bisogna contrastare la volontà popolare di lasciare che essa, ed essa sola, si attribuisca il ruolo di diretta gestione delle vicende politiche, indicando le scelte conseguenti. Per far questo si devono accantonare il ragionamento e le intuizioni delle élite, le testimonianze anche solitarie e difficili (come quella di Altiero Spinelli in esilio a Ventotene). Non bisogna mai contrastare quella volontà armandosi del coraggio di proporre soluzioni impopolari che danno torto, almeno nell’immediato, a quel popolo che si vorrebbe esaltare e portare alla ribalta.
Oggi quel ruolo spetta alla destra; i rimasugli di quella sinistra massimalista, comunista, antioccidentale ed anti- europea (e illiberale) di cui Michel Onfray è il teorico e l’epigono, sono ampiamente surclassati dai “grandi” comunicatori del pensiero lepenista, leghista e neofascista che si alleano per ridare fiato alle trombe del popolo sovrano. Prima di pronunciarsi aspettano l’ultimo, in ordine di tempo, sondaggio demoscopico sugli umori della popolazione o per proprio conto interrogano un campione di massaie che guardano e seguono i talk show televisivi o che leggono principalmente i giornali e i settimanali scandalistici. Poi si rivolgono alle partite IVA frustrate e sbandate che inseguono un reddito garantito; solleticano nella piccola borghesia isolata e spaventata, la nostalgia inguaribile dell’ ”uomo forte”; aizzano i giovani in cerca di una identità politica indicando loro le strampalate teorie economiche di Ezra Pound; arruolano i capipopolo di tutte le stagioni, maestri nell’acclamare e nell’urlare; eccitano gli uomini e le donne che aspettano solo che qualcuno gridi allo scandalo e alla vendetta sociale verso chi ha tradito il mandato popolare (quale?), evocando il pensiero massimalista del tutto e subito e la intransigenza sui “valori” (quali?). E infine invocano la crescita in luogo dell’austerità auspicando forti iniezioni di denaro pubblico che avvii un nuovo Welfare keynesiano (cioè curare la malattia con gli strumenti che l’hanno determinata).
Questa è la classe politica che sta emergendo dal fronte anti-europeo e che si accinge a guidare frotte di parlamentari e sindaci in lotta senza quartiere contro il “vecchiume”, il passato, le cancellerie europee, i burocrati di Bruxelles, i culi di piombo degli uffici lussemburghesi , le alchimie finanziarie dei tecnocrati e dei banchieri nemici del popolo. E sono pronti ad allearsi coi i nostalgici del comunismo totalitario che pensano e scrivono che – secondo il pensiero di Onfray – “l’Europa liberale è una oligarchia di burocrati al servizio del capitale, non una democrazia”. Riandiamo, per favore, a quel dibattito nel parlamento italiano all’epoca dei Trattati di Roma e scopriremo che gli argomenti messi in campo dai comunisti di allora sono gli stessi dei radicali di destra di oggi e puntano solo a coalizzare una protesta sociale che spinge verso la distruzione e il declino dei principali presìdii della libertà e della democrazia.
Maurizio Hanke