In questi giorni vengono a compimento le vicende di due grandi imprese italiane tanto diverse ma con destini tanto simili: Alitalia e Montepaschi.
- l’Alitalia dopo essere costata al contribuente italiano una decina di miliardi diventa una “bad company” (di “bad company” Alitalia ne esistono altre due, figlie dei due precedenti salvataggi e ancora vive e vegete con il loro codazzo di liquidatori, consulenti ecc.) e nasce Ita, una piccola compagnia con una cinquantina di aerei e cinquemila dipendenti. Una compagnia che si vorrebbe fare concorrenza ai giganti dei voli low cost con volano con costi di gestione inferiori e far utili nei viaggi intercontinentali con 7 (7!) aerei in tutto. Una pia illusione che finirà prima o poi con la fusione (o meglio l’assorbimento) da parte di una compagnia estera interessata all’unico atout di Ita: gli slot di Linate e Fiumicino.
- Il Montepaschi ci è costato sinora circa 5 miliardi e deve essere venduto entro marzo 2022 perché la UE ce lo ha imposto per non considerare l’aiuto ottenuto come aiuto di Stato (e conseguente obbligo di restituzione e inevitabile fallimento). A questo punto si è fatta avanti Unicredit che, dato che non si è fatto avanti nessun acquirente, ha posto le sue condizioni: acquistare la banca lasciando a carico dello Stato i crediti inesigibili, le cause pendenti, la sede di Siena e 5000 esuberi. Un giochino che costerà a noi contribuenti tra 6 e 8 miliardi. Anche perché la soluzione “stand alone” (espressione molto di moda per non dire “da sola”) porterebbe a un progressivo decadimento della banca (con relativi continui sussidi da parte dello Stato) fino al fallimento.
Quanto sarebbe stato meglio per tutti se queste imprese avessero fatto la fine di tutte le ditte giunte per vari motivi alla fine della loro vita: fallire!
Ne abbiamo del resto esempi proprio per imprese dello stesso ramo: La Swissair (si, proprio la compagnia di bandiera svizzera) che, fallita per errori di gestione, fu sostituita da una compagnia più piccola e affiliata alla Lufthansa (la Swiss) che ora ha 9000 dipendenti e che è in utile, senza essere di peso allo Stato.
Stessa trafila fu seguita per il Banco Ambrosiano che, fallito per le operazioni sconsiderate di Calvi, fu sostituito nel giro di un week end da una nuova ditta (il Nuovo Banco Ambrosiano) senza nessuna perdita per dipendenti e depositanti.
Il lasciar fallire un’impresa decotta non è un atto d’imperio, ma un prendere atto di una situazione irreversibile e normale in un’economia efficiente e liberale.
Se si preferisce invece tenere in vita dei “cadaveri ambulanti” per mere ragioni di prestigio politico, per non perdere bacini elettorali o favoritismi vari si fanno scelte disastrose dal punto di vista economico e industriale; quanti investimenti si sarebbero potuti fare oppure quante industrie si sarebbero potute finanziare con i 20 e più miliardi gettati invano nell’Alitalia e nel Montepaschi?
È necessario avere una classe politica che sappia fare scelte economicamente valide e utili a tutta la collettività e non solo scelte dettate da meri interessi elettorali o di parte: ma questa è una responsabilità anche degli elettori che li eleggono
di Angelo Gazzaniga