Due parole su Maurizio Belpietro

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L’articolo di Belpietro sui fatti di Parigi commentato da un liberale

“E noi che eravamo abituati a Cristo che insegnava a porgere l’altra guancia. E noi che siamo cresciuti nel rispetto della tolleranza delle altre idee a patto che che le altre idee abbiano rispetto delle nostre. La verità è che dopo Charlie Hebdo gli unici a finire davvero sul banco degli imputati non sono stati gli islamici, i fondamentalisti e i terroristi. Le sole a dover subire un processo sono state le vittime, le quali post mortem sono state condannate per eccesso di satira”. Maurizio Belpietro mi è sempre stato simpatico ma certe sue intemperanze verbali sanno di stampa populistica e demagogica intesa ad attivare bassi risentimenti e a consentire alla plebaglia (che si ritrova in tutte le classi sociali, comprese quelle colte) di trovare facili capri espiatori alla sua rabbia impotente. Il suo editoriale del 14 novembre, già discutibilissimo nel titolo, Bastardi islamici, a mio avviso, è tra quelli che il direttore di ‘Libero’ dovrebbe far dimenticare. A inesattezze storiche (chiamiamole così) unisce, infatti, anatemi che, nel fuoco delle passioni, bruciano tutte quelle distinzioni di piani e di valori che erano il punto d’orgoglio della civiltà occidentale che Belpietro giustamente vorrebbe preservare dagli attacchi interni ed esterni dei suoi feroci detrattori.
Chi mi legge sa che non spasimo per l’illuminismo francese— nutrito, come, sono di empirismo scettico anglo-scozzese— ma come si fa a dimenticare che la tolleranza si afferma con Voltaire, nell’età dei Lumi, contro la Chiesa cattolica e, in genere, contro tutte le chiese e le sette use al rogo per gli eretici? Mi si può ribattere, a ragione, che senza il razionalismo cristiano — da Cartesio a Malebranche, passando per Port-Royal —sarebbe mancato il terreno di aratura all’autore del Trattato sulla tolleranza, e che a fare la grandezza dell’Occidente è la dialettica all’interno delle grandi scuole della cristianità tra francescani e domenicani, tra realisti e nominalisti, tra aristotelici e agostiniani, tra ortodossi ed eterodossi e, in politica, tra guelfi e ghibellini. Ciò non toglie, tuttavia, che fino alla seconda metà del Novecento cattolici curialisti (chiamiamoli così) e cattolici cristiani (una razza alla quale appartenevano Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi) hanno sempre avuto idee diverse e comportamenti diversi sul “rispetto della tolleranza delle altre idee a patto che che le altre idee abbiano rispetto delle nostre”. Ancora negli anni sessanta, nella nordica Genova, una ragazza di religione evangelista valdese veniva guardata in classe dalle compagne (e dagli stessi professori) come una ‘diversa’ da tenere a distanza. Non voglio enfatizzare questo mio ricordo di gioventù, anche perché la diffidenza nei confronti della valdese riguardava i costumi ma non il diritto, che era quello dello Stato liberale costruito dai nostri padri risorgimentali. La ragazza eretica poteva non essere invitata alle feste del sabato pomeriggio organizzate dalle sue coetanee, ma ciò non aveva la benché minima incidenza nei suoi rapporti con gli enti pubblici, nessun riflesso sulla garanzia dei suoi spazi di libertà, sul riconoscimento dei suoi diritti civili e politici. Forse Belpietro, molto più giovane di me, ha conosciuto ed è stato educato in un’Italia diversa, già segnata dal Concilio Vaticano II e dalla grande figura di Giovanni XXIII ma non idealizzi un paese che non è (sempre) esistito. E veniamo alla frase: “Le sole a dover subire un processo sono state le vittime, le quali post mortem sono state condannate per eccesso di satira”. Ma di cosa parla Belpietro: della dimensione giuridica, di quella politica, di quella etica, di quella religiosa? Per noi liberali, non sono distinzioni scolastiche giacché di esse si nutre quella che Bertrand Russell chiamava la saggezza dell’Occidente e che, per Benedetto Croce, era il segno distintivo della civiltà liberale dalle altre. I vignettisti di Charlie Hebdo furono condannati ‘per eccesso di satira’ non in un tribunale, in virtù di reati contemplati dal codice penale, ma sul piano etico del galateo sociale e, se si vuole, anche su quello estetico riguardante il ‘buon gusto’. Si disse — e lo ribadì Marcello Veneziani in un magistrale articolo sul ‘Giornale’— che alla libertà degli uni di dileggiare le grandi religioni monoteistiche, senza per questo doverne rispondere davanti all’autorità giudiziaria, corrispondeva la libertà degli altri di far valere il rispetto delle credenze altrui (anche se ritenute residuati di superstizioni antiche). Personalmente feci rilevare che uno stato con sei milioni di islamici, come la Francia, non può sottrarsi a considerazioni relative all’ordine pubblico e che se certe ‘libertà di linguaggio’ nei confronti delle religioni rilevate potevano formentare disordini con barricate, morti, assalti a edifici pubblici, poteva intervenire per sospendere momentaneamente diritti che restavano inviolabili. Aggiungo che la retorica multiculturalista, con la sua enfasi dell’accoglienza del diverso, non ha mai riflettuto seriamente sul nesso tra identità nazionale’ (nazione, in senso, culturale) e ‘diritti’ e sull’impossibilità di rispettare questi ultimi quando non ci siano forti valori comunitari condivisi. Non si può volere la botte piena e la moglie ubbriaca: se per un’etnia minoritaria certi versi di Dante sono gravemente offensivi e irrispettosi delle loro credenze, imporne la censura è intollerabile (e umiliante) per un italiano, far leggere che Maometto è sporofondato nell’Inferno è intollerabile per i nostri ‘fratelli islamici’. Il problema fu avvertito drmmaticamente dallo storico filokennedyano Arthur M. Schlesinger jr –vincitore di due Premi Pulitzer–nella Disunione dell’America. Riflessioni su una società multiculturale , un saggio che feci tradurre nel 1991, nella collana Strumenti di analisi da me condiretta, dall’Editore Diabasis di Reggio Emilia. Il libro non suscitò alcuna eco—ove si prescinda da quello studioso geniale che fu Giuseppe Are che ne parlò in un lungo articolo su ‘Affari Esteri’ del 1992, Lo Stato-nazione e le nazionalità. “Da ogni parte, oggi — scriveva Schlesinger — l’etnicità sta spezzando le nazioni…il conflitto etnico e razziale, assai più di quello ideologico, è il problema esplosivo deli nostri tempi”.
Nel fondamentalismo islamico, però, si ha un terribile salto di qualità: si fanno esplodere le nazioni ma al conflitto etnico e razziale si sostituisce una ideologia religiosa universalistica — abile tuttavia nel servirsi di quel conflitto – col risultato di una unificazione del mondo ben diversa da quella vagheggiata da Kant giacché fondata sulla divisione tra i ‘fedeli’ e gli infedeli in qualunque parte del pianeta si trovino gli uni e gli altri — di un universalismo, quindi, di tipo nazista.
Chi ha voluto e anzi auspicato la società multiculturale (non Belpietro, sicuramente) si rassegni a dover fare i conti con le trasformazioni che essa comporta sul piano dei rapporti sociali e di quelli giuridici. Se si condanna l’imperialismo dell’assimilazione culturale (v. Jacques Derrida e altri nichilisti etico-politici) si sia pronti a una lotta quotidiana per la sicurezza che finirà per mettere a repentaglio le nostre libertà. All’indomani del 13 novembre, imponenti misure di ordine pubblico sono state prese da Hollande: i francesi saranno oggetto di controlli che, per essere (relativamente) efficaci, limiteranno i loro movimenti, li sottoporranno a controlli numerosi, assedieranno la loro privacy. E la politica verrà sempre più a conflitto col diritto. Se in una nave è stato segnalato un terrorista, un capitano coscienzioso e responsabile non dovrà sottoporre, con mezzi leciti e illeciti, tutti i passeggeri a una strettissima sorveglianza? E se i sospetti dovessero cadere su uno di essi — perché intercettato nei suoi discorsi antioccidentali o scoperto in possesso di opuscoli inneggianti alla Jihad islamica — non avrebbe la licenza non di ucciderlo ma di metterlo agli arresti per poi consegnarlo alla polizia a fine viaggio? Sennonché il suo comportamento non sarebbe, oggettivamente, contrario al diritto delle genti e alle ‘garanzie della libertà’, dal momento che ha agito solo sulla base di indizi e di sospetti contro una persona che non ha commesso alcun crimine e che è impossibile — in mancanza di prove inconfutabili —accusare di starne preparando uno?
Nella supergarantista America — parlo degli Stati Uniti ovviamente — c’era la figura della ‘persona indesiderabile’, ovvero della persona “specialmente di nazionalità straniera, non gradita per motivi politici, penali e simili al governo dello stato che la ospita”. Se l’Italia, se la Germania, se l’Inghilterra, se la Francia della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino facessero uso di questa prerogativa sovrana, espellendo imam, frequentatori di moschee e di scuole islamiche sospette, dovrebbero, per avere un minimo di successo, avere la mano pesante, colpire nel mucchio e in profondità — semmai con l’atteggiamento del legato pontificio Arnaud Amaury abate di Citeaux che, nella crociata contro gli Albigesi del 1209, consigliò di eliminare tutti i prigionieri pronunciando le parole famose “Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi!” – ma, in tal caso,non potrebbero sottrarsi alla riprovazione dei giudici ‘garantisti’ e all’accusa di propter vitam vivendi perdere causas, ovvero di privare i cittadini (non pochi fondamentalisti islamici sono cittadini pleno jure) delle libertà più elementari per difendere …le libertà conquistate dai nostri padri.
Per citare la ‘Cenerentola’ di Rossini, “questo è un nodo avviluppato, questo è un gruppo rintrecciato”: purtroppo l’Europa è messa assai male. ma non saranno i furori contro i “bastardi islamici” a preparare azioni risolutive contro i fondamentalismi che la minacciano. Nei momenti tragici è consigliabile mantenere la calma, una virtù che a noi Italiani ha sempre fatto difetto.

Dino Cofrancesco

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Dino Cofrencesco
Dino Cofrancesco è uno dei più importanti intellettuali italiani nel campo della storia delle dottrine politiche e della filosofia. E' autore di innumerevoli saggi e tra i fondatori dei Comitati per le Libertà. Allergico all'ideologia dell'impegno, agli "intellettuali militanti", ai profeti e ai salvatori del mondo, ai mistici dell'antifascismo e dell'anticomunismo, ha sempre visto nel "lavoro intellettuale" una professione come un'altra, da esercitarsi con umiltà e, nella misura del possibile, "senza prendere partito". Per questo continua, oggi più che mai, a ritenere Raymond Aron, Isaiah Berlin e Max Weber gli autori più formativi del '900; per questo, al tempo dell'Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, si schierò, senza esitazione, dalla parte della storiografia revisionista, senza timore di venir accusato di filofascismo.

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