Quando Gentile fece il consigliere e l’assessore supplente nella giunta liberale del Comune di Roma
Una lettura su più livelli, quella del libro appena dato alle stampe da Vito de Luca, su Giovanni Gentile, in cui linguistica, filosofia e storia si mescolano per tracciare un profilo sul linguaggio politico del filosofo, in un arco di tempo che va dagli inizi del ‘900, fino al 1924, soffermandosi su quei quattro anni, 1920-1924, in cui Gentile compare sulla scena politica andando ad occupare, nell’ordine, il ruolo di consigliere comunale e di assessore supplente, al Municipio di Roma, prima di essere nominato ministro dell’Istruzione pubblica nel primo governo Mussolini e senatore del regno.
Quattro anni impegnativi, per Gentile, che lo vedono salire alla ribalta della scena politica della capitale e nazionale, in cui i primi due sono poco trattati dalla letteratura riguardante la biografia del filosofo. Che Gentile sia stato consigliere comunale a Roma e assessore supplente alla X Ripartizione, quella delle Antichità e delle Belle Arti, dal 1920 al 1922, prima di salire alla Minerva, è infatti notizia ai più sconosciuta, e che de Luca, in “Giovanni Gentile. Al di là di destra e sinistra. Il linguaggio politico del filosofo, dell’assessore e del ministro (1920-1924)”, 464 pagg., pubblicato dai tipi di Solfanelli (38 euro), ricostruisce nel dettaglio, proponendo, in appendice al volume, tutti i resoconti degli intereventi di Gentile nella giunta municipale. Circa sei mesi di attività, quella politico-amministrativa di Gentile, nel governo cittadino capitanato dal sindaco Giannetto Valli, in cui egli si occupa di concerti musicali, di musei e di teatri, ma anche di questioni più spicciole e quotidiane, come la gestione del personale di questi enti. Con una tesi di fondo, quella di de Luca, nella quale Gentile è presentato come un autentico liberale. Una posizione che per l’autore del volume è già in nuce sin dall’inizio nel pensiero di Gentile e che viene rimarcata ed affinata da Gentile, in ciascuna delle attività in cui sarà impegnato nel corso della sua vita, politica e no. Soprattutto da un punto di vista filosofico, de Luca – che sembra riprendere le tesi di Emanuele Severino, soprattutto per quanto riguarda la posizione di Gentile nella gerarchia del pensiero d’Occidente – mostra come alcune parole chiave della politica, quali democrazia e libertà, si risolvano nello Stato, altra parola chiave nella ricerca di de Luca. Stato che, però, come compimento di un lungo tracciato filosofico, diventa tutt’uno con la politica, come se tutto il volume non fosse altro che quell’applicazione dell’etica allo Stato, che dà appunto come risultato la politica. Il tutto visto in contrapposizione a quella applicazione dell’etica all’individuo, che dà invece come prodotto finale la pedagogia.
Ma, a ben vedere, è proprio quel dissidio individuo-Stato, che se nel liberalismo classico vede una contrapposizione (in cui lo Stato è interpretato come pedagogo) che si risolve in una dicotomia amico-nemico, nel pensiero di Gentile si fa invece fa Stato in una totalità in cui la libertà non può necessariamente essere vietata.
di Claudio Vet