È stata ed è la più romantica battaglia nella vita di chi scrive. Marcello Dell’Utri, fondatore e direttore d’impresa di genialità pratica pari a quella del “visionario lungimirante” Enrico Mattei (cito Erasmo da Rotterdam nell’apologia della follia lungimirante) è stato vittima di una persecuzione giudiziaria senza precedenti nella storia repubblicana.
Sì, senza precedenti. Non esito a dirlo. Perché Enzo Tortora, vittima come Dell’Utri della manipolazione fraudolenta dell’istituto dei collaboratori di giustizia, fu almeno assolto dalla Corte d’Appello di Napoli. Restituire alla libertà il creatore dell’impero Fininvest è una questione di civiltà giuridica e civile che va però ben oltre i suoi inalienabili diritti personali a vedergli riconosciuto il fumus persecutionis. Riguarda tutti noi, riguarda l’essenza della Repubblica Italiana, se è ancora degna di essere considerata tale: nel caso in cui la persona qui menzionata, a cui va tutta la mia solidarietà umana e processuale, non ottenesse la restituzione ai suoi cari e alla libertà, dovrà purtroppo considerarsi definitivamente realizzato il punto n.1 del cosiddetto “papello di Totò Riina”: cioè la lesione dall’interno del principio che informa il maxiprocesso a Cosa Nostra per mano dell’Autorità Giudiziaria libera di essere – cito Ferdinando Cionti – “illimitatamente irresponsabile nell’esercizio delle sue funzioni”.
È una situazione da repubblica delle banane, ormai irricevibile. Ai lettori il verdetto, come sempre.
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È uscito per Libertateslibri l’ultimo libro di Alexander Bush Ottone: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”
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