C’era una volta la rivoluzione arancione in Ucraina, la speranza di una seconda ondata di liberazione dell’ex Urss a un quindicennio di distanza dall’89. Oggi l’Ucraina, reduce dal voto, è tornata ad essere una provincia dell’impero sovietico… che non c’è più.
Nelle elezioni ha vinto il Partito delle Regioni, fedele al presidente Yanukovych. Originario del Donbass, la terra di Stakanov e dell’industria mineraria di Stalin, Yanukovych è un leader post-sovietico. Sulla carta, il suo programma è assolutamente liberale: riduzione delle tasse, sviluppo dell’industria energetica ed estrattiva locale (per esser meno dipendenti dalla Russia), protezione dei diritti civili, integrazione graduale nell’Unione Europea e neutralità militare. In pratica, però, il suo passato non fa ben sperare. Secondo Freedom House l’Ucraina ha perso libertà politica, passando da uno status di “Paese libero” nel 2010 (con un voto di 2,5 dove 1 è il massimo di libertà) a “Parzialmente libero” nei due anni successivi, con un voto di 3,5. I motivi principali di questo declassamento, secondo l’Ong statunitense sono: “Consolidamento del potere esecutivo a scapito di quello legislativo, maggiori restrizioni alla libertà di stampa, persecuzione selettiva di elementi dell’opposizione, maggiore intrusività del Servizio di Sicurezza Ucraino (Sbu), elezioni locali fortemente contestate, una Rada (il parlamento ucraino) dipendente dall’esecutivo, erosione dei principali diritti di libertà di parola e assemblea e una corruzione endemica”. Secondo l’Index of Economic Freedom (redatto da Heritage Foundation e Wall Street Journal), che valuta la libertà economica dei Paesi in tutto il mondo, l’Ucraina è passata dal 152° posto all’inizio del 2010 al 163° attuale. Non bene, considerando che i Paesi scrutinati sono 179. E che l’ultimo è la Corea del Nord. Il motivo del declino della libertà economica? Secondo l’Index: «Una scarsa protezione dei diritti di proprietà privata e una corruzione dilagante scoraggiano l’attività imprenditoriale, danneggiando gravemente le prospettive per una crescita economica di lungo termine. Il governo della legge è fragile e il sistema giudiziario è suscettibile di interferenze politiche».
Peggio ancora: il Partito delle Regioni formerà una maggioranza assieme al Partito Comunista, esplicitamente nostalgico dell’Unione Sovietica.
Ma le brutte notizie non arrivano mai sole. Anche nell’opposizione si stanno distinguendo forze tutt’altro che promettenti. Si sta infatti affermando (come terzo partito) l’Udar, letteralmente “pugno”, guidato dal campione di pugilato Vitali Klitchko. Pugno di nome e di fatto: non accetta alleati, non accetta il dialogo con il partito di potere, vuole spazzar via la corruzione del sistema post-sovietico ucraino. Gli osservatori credevano fosse solo una pedina comoda nelle mani di Yanukovych, folcloristico quanto basta per attrarre consensi, ma pronto a tornare al sole del governo al primo fischio di richiamo. Le prime dichiarazioni del pugile suggeriscono proprio il contrario: è un lottatore sincero, vuole che l’opposizione si unisca contro Yanukovych. Ma c’è anche un altro volto, molto più inquietante, del nuovo populismo di destra: è Svoboda, “libertà”, un partito il cui leader, Oleh Tyahnybok, è convinto che il Paese debba liberarsi “dai russi e dagli ebrei”. Lo ha dichiarato apertamente, anche se oggi nega di essere antisemita. Per l’Ucraina sarebbe un triste ritorno al passato dei grandi pogrom del 1919 e del vasto collaborazionismo con gli occupanti nazisti.
I democratici dell’Opposizione Unita per la Madrepatria, discendenti diretti della rivoluzione arancione, rischiano di trovarsi fra l’incudine dei post-sovietici e il martello del crescente populismo di destra. Ma reggono. Nonostante tutto reggono. La loro leader, Yulia Tymoshenko è in carcere, più per motivi politici che non per reati economici difficilmente dimostrabili. Eppure l’Opposizione Unita è tornata a vincere in tutte le regioni occidentali, più europee, memori della tradizione asburgica (erano sotto l’Impero di Vienna fino al 1918) e ben lontane dalle nostalgie sovietiche. Finita la dominazione di Mosca, vogliono dare un taglio al passato recente, prendere esempio dalla Polonia di Solidarnosc, dalla Repubblica Ceca guidata dall’ex dissidente Klaus, dalla Slovacchia liberale, da un’Ungheria cattolica e anti-comunista. Possiamo ignorarli? Lasciarli soli, restandocene con le mani in mano?
Stefano Magni