Erdogan colpisce ancora, Turchia dice addio all’Occidente

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Vittoria del partito del “law and order” solo in apparenza, hanno contato di più l’incertezza economica e la divisione degli oppositori?

Erdogan risorge dalle ceneri dei sanguinosi attentati di Ankara vincendo a sorpresa le elezioni in Turchia. Non essendo fan del presidente turco avevamo scritto che questo round elettorale poteva essere il canto del cigno, l’inizio della fine, il tramonto del “sultano”. Invece le cose sono andate diversamente.

L’Akp, il partito del presidente, incassa la maggioranza dei voti (uno spoglio in tempi record), ha i numeri per governare da solo e può realizzare quella riforma in chiave presidenziale dello Stato da tempo accarezzata da Erdogan. Akp vince drenando voti dalla destra nazionalista, sotto di cinque punti, ma pure dal frammentato fronte curdo, che cede tre punti pur restando in parlamento.

E’ ancora una volta il successo, apparente, della formula “Law & Order” di Erdogan, in un mercato politico, quello turco, incapace di costruire vere alternative, con i partiti tradizionali di centro, il fronte socialista e di sinistra, fermo al palo, mentre l’opposizione curda si divide tra rivalità interne e visioni contrapposte su come opporsi all’avversario storico.

Da una parte i curdi che hanno sfidato Erdogan in patria, superando un’alta soglia di sbarramento e  negando ogni compromesso parlamentare. Dall’altro il partito ribelle del prigioniero Ocalan, il Pkk, che una mediazione, dicono, l’avrebbe gradita, mentre adesso torneranno a parlare le armi. Sullo sfondo l’idea di uno Stato curdo indipendente, vagheggiata dalla diaspora tra Usa, Francia e Germania, che stando così le cose sembra davvero un sogno chiuso nel cassetto.

Ma perché quella parola d’ordine di Erdogan, sicurezza, è apparente? Come mai l’Akp che si presenta come il tutore dell’ordine nazionale non ha saputo prevenire il disordine? Come mai il bombarolo della strage di Ankara era il fratello di un altro terrorista noto ai servizi turchi e che si era già macchiato le mani di sangue? Come mai la eversione islamista è cresciuta nelle regioni di confine con la Siria, tra campi di addestramento dell’Isis che non è chiaro su quale frontiera poggino?

Delle indagini sull’attentato alla stazione di Ankara non si è saputo più nulla dopo il 15 ottobre. I media hanno fatto da megafono al partito del presidente mentre l’opposizione era troppo impaurita dallo scendere di nuovo in piazza, con la paura di altre bombe, morti e sangue. Il voto nelle aree più “sensibili” del Paese è stato militarizzato e questo spiega perché pezzi dell’elettorato, non solo tra la destra nazionalista ma anche tra chi aveva sostenuto il partito curdo, siano tornati tra le braccia dell’Akp. Non piace a nessuno vivere sotto il coprifuoco.

Non solo. Da decenni l’elettorato turco premia le forze conservatrici, solo che il vecchio fronte laico e nazionalista si è progressivamente “convertito” alla ricetta modernizzatrice in economia e restauratrice nella società di Erdogan, restaurazione in senso islamico naturalmente. Molti dei liberali e laici turchi che videro nell’attuale presidente un’alternativa moderata allo strapotere dei militari, dello “Stato profondo”, dei giudici e dei servizi, ora si staranno rodendo il fegato. L’Akp doveva essere il partito dello Stato, si è preso lo Stato.

Infine la moneta turca che si apprezza sul dollaro alla notizia della vittoria dell’Akp, il segnale che una parte dell’elettorato ha votato pensando alle tasche più che al Corano, all’Isis o ai ribelli curdi. La preoccupazione che il protrarsi del limbo in cui era precipitato il Paese dopo il voto di giugno aggravasse la stagnazione economica può essere considerata un’altra ragione del successo di Erdogan, che adesso potrà anche chiudere anche i lucrosi accordi su gas e gasdotti con la Russia di Putin.

In politica estera non cambia granché, Erdogan continuerà a dare un colpo al cerchio, i ribelli curdi, e uno alla botte, il Daesh, ma non aspettiamoci che l’impegno tra Siria e Iraq della Turchia – Paese Nato – divenga di colpo chiaro e manifesto. Ankara può proporsi come lo Stato guida della galassia sunnita ma persegue una propria politica estera originale e solitaria, il “neo-ottomanesimo”.

Una cosa è certa. Con la vittoria di Erdogan finisce nel peggiore dei modi l’illusione di un avvicinamento, qualcuno parlava addirittura di una entrata della Turchia nell’Unione Europea. Ankara se ne va per la sua strada, che non è detto sia per forza una cattiva notizia per chi ritiene la “democrazia islamica” turca incompatibile con quella europea.

Ma anche in questo caso non è una buona notizia. Ora Erdogan potrà rialzare il prezzo della trattativa con Bruxelles, ricordiamo l’ultimo incontro con la Merkel, per arginare la marea umana di profughi e disperati proveniente dai vari conflitti in Medio Oriente. La rotta balcanica dei migranti, si dice, non riguarda l’Italia. Ma l’instabilità politica generata nei Balcani da flussi impazziti di persone che si spostano tra uno Stato e l’altro, senza controllo ed esasperando vecchi conflittualità, questo sì che riguarda anche difesa del nostro Stato e della sicurezza nazionale.

Roberto Santoro
Da “l’Occidentale” del 2/11/2015

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