Anche per un convinto assertore della moneta unica esistono dei problemi: alcuni dovuti a mancanze al momento dell’intruduzione dell’euro, altri a problemi specifici dell’Italia
Premetto alle riflessioni che seguono di non essere per nulla un euroscettico, al contrario sono convinto che l’adozione della moneta unica sia stato un passo necessario, benefico, da cui non si può tornare indietro. Un simile giudizio, tuttavia, non impedisce di sollevare critiche su alcune delle modalità con cui quell’evento cruciale si è compiuto. Uno di questi difetti è di portata generale, un altro invece solo da imputarsi al nostro Paese. Secondo una prospettiva da eurozona, bisogna pur dire che si è cominciato dalla fine. L’adozione della moneta unica avrebbe dovuto essere preceduta da altre unificazioni, anche se indubbiamente più faticose e contrastate. Come era possibile procedere a un unico passo nel regime monetario se si mantenevano sistemi del tutto discrepanti attorno ad alcuni nodi quali i sistemi sanitario, pensionistico, scolastico? E’ lecito nutrire il sospetto che a premiare l’unificazione partendo dalla coda, dall’adozione dell’euro, abbiano contribuito i cosiddetti poteri forti di ordine economico-finanziario, indotti perfino a chiudere un occhio e ad ammettere al più presto Paesi magari non del tutto in regola con lo stato di salute generale, quali proprio i Paesi della fascia mediterranea, Grecia, Spagna, Portogallo, e beninteso Italia, proprio per ingabbiarli, per impedire loro di ricorrere all’arma sleale della svalutazione, assai rischiosa per l’export dei Paesi forti come la Germania. Certamente il ricorso a reiterate svalutazioni sarebbe stata soluzione di corto respiro, quindi è da considerarsi benvenuta la regola ferrea di metterci tutti al passo, Ma d’altra parte ne sono scaturiti squilibri strutturali, cui senza dubbio il provvisorio governo Monti ha cercato di ovviare con la riforma Fornero applicata alle pensioni. Ora non resta che avvicinarci a questa necessaria omologazione delle strutture portanti nella vita delle nazioni procedendo faticosamente a posteriori.
A questo difetto di portata internazionale, di cui tutti i membri dell’Eurozona si sono resi colpevoli, se ne è aggiunto uno ben più clamoroso, questa volta di nascita interna, tutto nostro. Infatti si è applicato un criterio di cambio tra la vecchia lira e il nuovo euro a dir poco addirittura truffaldino, un reato di cui si sono macchiati bar, ristoranti, alberghi, i quali si sono affrettati ad applicare un cambio dimezzato, considerando un euro equivalente non già a 2000 lire circa, bensì alla sua esatta metà, a mille lire. Non si accusi di questa iniquità la solita Germania, dato che là il cambio è stato condotto in modo più esatto, cosicché alberghi, ristoranti, taxi, da quelle parti, costano in media assai meno che da noi. Lo dimostra il fatto che una categoria di squattrinati in permanenza quali sono i giovani artisti preferiscono andare a vivere a Berlino abbandonando le nostre troppo costose metropoli. Oltretutto proprio quelle aziende pronte a imporre un cambio così onerose per il cliente e invece a loro vantaggio aggiungono l’altro crimine di essere in genere evasori fiscali. A parare un colpo del genere avrebbero dovuto pensarci il governo, le prefetture, magari i comitati di garanti dei consumatori, ma invece la grave infrazione si è consumata nel silenzio e nell’impunità più totali. Con effetti perversi, di cui ovviamente le prime vittime siamo stati noi consumatori, ma in definitiva anche gli stessi fornitori, che provocando questo impoverimento di massa hanno visto un inevitabile crollo dei consumi.
Renato Barilli