“… Mi sembra impossibile che qualcuno arrivi a pensare al suicidio perché l’economia non va”:
Mara Venier a Guido Maria Brera, “Dimmi cosa vedi tu da lì. Un romanzo keynesiano” a proposito
della scomparsa di Federico Caffè
“L’origine della parola è illuminante: precariato discende dal latino prex, ovvero la preghiera. Sarebbe a dire che il precario è, ne più né meno, colui che si trova costretto a pregare, a supplicare, a chiedere in ginocchio qualcosa che gli venga concesso come una grazia. Lavorare, per esempio. Ho sempre avuto l’impressione che in questa immagine della preghiera sia concentrato il senso psicologico di chi vive appeso, fragile, del tutto esposto all’arbitrio di un’entità superiore a cui rivolgersi senza la minima garanzia di parità, ma sempre con deferenza. Appunto: pregando. E se ottieni qualcosa, ringraziando. Fine della storia, qui il cerchio si chiude, sigillandosi nel binomio supplica-gratitudine da cui è necessariamente estromesso ogni barlume di diritto, subito trasfigurato in pretesa (ricordate il famoso adagio sul cavallo donato a cui non si guarda in bocca?…)…”
Stefano Massini, “L’era del precariato. Senza tutele, per tutta la vita resta davanti il buio”
“Rischiamo il colpo di pistola di Sarajevo”
Enrico Letta
La gente sta incominciando a morire di fame. Temo che l’assassinio dell’ex primo ministro del Giappone Shinzò Abe sia grave quanto la violenta dipartita dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo nel 1914; esiste un momento nella vita in cui bisogna ammettere: ho sbagliato.
George Soros ha fatto addirittura della Fallibilità la pietra angolare della sua Weltanschauung, nella teoria della riflessività che riconosce l’esistere di due realtà: le realtà soggettive e le realtà oggettive. Orbene, il Cogito ergo sum è in quanto tale calato nelle realtà oggettive, in un costante divario tra le intenzioni e i risultati. Facciamo un esempio: sullo sfondo della Mano Invisibile che eterodirige l’autos nomos, leggo nel bellissimo articolo di Massimo Minella per Genova Cronaca “Intesa fra i ministeri per i soldi della diga. Si tratta per la scelta entro fine mese”; ripetiamolo, la realtà esiste:
“Una trattativa serrata fra ministeri, infrastrutture e Finanze, può sbloccare la partita della diga, individuando le risorse necessarie a coprire gli extracosti e aprendo così alla negoziazione per assegnare i lavori entro fine luglio. Sono giornate complesse, quelle successive al 30 giugno, giorno in cui si è scoperto che la gara per la costruzione dell’infrastruttura marittima più costosa nella storia d’Italia, oltre un miliardo di euro, è andata deserta. Alla base, anche se non è l’unico motivo, il fatto che rispetto allo scorso anno, quando venne stanziato il finanziamento necessario a costruire l’opera, i costi delle materie prime sono schizzati verso l’alto. I 930 milioni di euro assegnati dal bando, rinforzati da altri interventi per 1,2 miliardi complessivi, non sono così più stati sufficienti a coprire il costo della costruzione, stimato in circa un miliardo e mezzo. Come agire?
Vediamo nel dettaglio. GARA DESERTA, E ORA? Il nulla di fatto registrato al bando, con le due cordate che hanno deciso di ritirarsi, hanno rese palese ciò che da settimane era evidente. Una lettera dei vertici nazionali dei costruttori dell’Ance aveva già evidenziato che la cifra stanziata non poteva sostenere tutti i costi, tenuto conto che il conflitto nell’Est europeo aveva provocato un rimbalzo a catena dei prezzi delle materie prime. Da qui comunque si è ripartiti, cercando soprattutto di non buttare a mare l’enorme mole di lavoro già svolta.
Si sono valutate varie ipotesi, fra cui quella di una riduzione dell’infrastruttura, così da abbassare il costo complessivo, riportandolo all’interno di quanto già stanziato soprattutto con il Fondo complementare al Pnrr. Ma non sembrerebbe questa la soluzione ideale. Meglio cercare di recuperare il delta fra costi del 2021 ed extracosti post-conflitto, così da mantenere intatto il
progetto originario.”
La realtà è semplice, e la diga del porto di Genova vulnera l’impalcatura complessiva del Pnrr. Vediamo come, con il riassunto ineccepibile di Massimo Minella – anche perché da soggetto disgrafico con un tratto Asperger sotto soglia+disturbo bipolare mi mancano le parole tra il caldo sudamericano tropicalmente insopportabile; non resta che citare Minella che ha reso un lavoro di cronaca ineccepibile: “IL PRESSING SUL GOVERNO.
Fondamentale, in questa vicenda, è il ruolo che giocherà il governo Draghi. Il premier, in visita a Genova, aveva potuto verificare direttamente salendo a bordo di un mezzo della Capitaneria di Porto il valore della partita. Costruire una nuova diga a 500 metri da quella attuale significa garantire l’entrata e l’uscita delle grandi navi (portacontainer e crociere) in sicurezza. Non ci sono contrarietà alla costruzione di questa infrastruttura ma è appunto necessario che i costi siano coperti. Il titolare delle infrastrutture, Enrico Giovannini, si sta confrontando con il collega Daniele Franco proprio per trovare una soluzione al problema. Ma quale?
IL FINANZIAMENTO E I TEMPI.
Intanto bisogna ricordare che la diga è finanziata con il Fondo Complementare al Pnrr, quindi con fondi statali, per cui non è vincolante finirlo entro il 2025, come imposto per le opere sostenute dal Pnrr. Il limite temporale fissato nel bando era una sorta di auto-imposizione quindi si può modificare. Questo alleggerirebbe anche pressione sulle penali, fissate in un milione al giorno. Resta da capire quale strada intraprendere, quella di un nuovo bando, con costi, tempi e penali ridefiniti, o quella di una negoziazione privata, che pare essere la rotta seguita dal presidente dell’autorità di sistema portuale e commissario straordinario per la diga Paolo Signorini. L’aumento massimo dei costi consentito è del 20%, ma ad autorizzarlo deve essere la Regione, ai sensi del decreto 50.
Sarebbero comunque poco meno di 200 milioni, insufficienti a coprire tutti gli extracosti. Serve quindi un’azione governativa”.
Azione governativa vuol dire in quanto tale deficit spending 1.0.
Ma Draghi era ed è contrario poiché ritiene che la spesa pubblica è superiormente indirizzata dal Mercato. E’ un errore, come i lettori possono agevolmente comprendere: il deficit spending non è un’astrazione teoretica figlia del Cogito ergo sum, ma è nella realtà.
E pertanto non può essere reinventato, come Draghi in piena “follie de grandeur” narcisistica ha falsamente ritenuto di poter fare nel discorso al Gruppo dei Trenta il 14 dicembre 2020 suscitando le reazioni polemiche di Paul Krugman; fu anche l’errore capitale commesso dal “one track mind” con il fiato corto John Maynard Keynes, che collegava il deficit spending all’ideale della Great Society.
Attenzione, si può morire facendo filosofia come è successo allo stesso Keynes che teneva pensiero e realtà come categorie “astrattisticamente” separate – ma il pensiero non è indipendente dalla realtà –, è successo a Federico Caffè che venne smascherato da Beniamino Andreatta, e ora succede a Mario Draghi, che tra l’altro (nel momento peggiore della sua vita, ormai prossimo ad un esaurimento nervoso) ha commesso un altro errore se possibile più grave di questo: ha posto il diniego con la rabbia di un infante che non accetta critiche al cosiddetto “salario minimo legale” come gli ha espressamente chiesto di fare Emmanuel Macron prima (nessuno nella stampa del “fan draghismo” ne parla), e l’ineditamente lucido Giuseppe Conte poi.
Vediamo di chiarire una questione molto ambigua, cedendo a mia volta al mito dell’etiologia che però non può essere portato all’estremo.
Perché Draghi non ha accettato le richieste del Gruppo 5 Stelle sulla concessione del salario minimo nel Ddl Aiuti?
Perché – se lo facesse – perderebbe la sua scommessa da Narcisista “borderline”: io non ho attuato la spesa in disavanzo, ma l’ho reinventata perché è il Mercato che redistribuisce il Lavoro,
non lo Stato; se la mia interpretazione è corretta – e io ho ragione perché sono Mr Wolf! – supero in qualità accademica John Maynard Keynes che faceva debito pubblico “cattivo”!
Io faccio debito pubblico “buono”!
Attenzione ai paralogismi che sono dietro l’angolo per tendere un agguato, anche a chi scrive da cronista consumato e scrittore mediocre: siamo nella quasi malattia clinica della “sindrome di hybris” che non è di per sé il disturbo narcisistico di personalità, ma è uno stato limite al narcisismo patologico; il soggetto che ne soffre si sente destinato a una missione speciale e identifica se stesso con lo Stato; stiamo comunque parlando di un’entità sub-clinica a sé stante totalmente indipendente dai disturbi di personalità, che può necessitare di cure.
Occhio alle date: il 13 luglio 2022 esce su Il Fatto Quotidiano il dossier di Rob. Rot. “La proposta di Orlando non è il salario minimo”: non è stato Giuseppe Conte a provocare la crisi di governo sulla base di un malumore populista; Draghi prima ha finto di accettare di venire incontro alle richieste dei sindacati, poi ha fatto chiaramente capire che non era disposto a cambiare di una virgola e infine il Movimento Cinque Stelle ha negato l’assenso al Ddl aiuti; è l’esercizio della logica all’interno della cronaca. A questo punto, l’inflessibile “Migliore” – smascherato nel suo gattopardistico doppiogiochismo – dopo l’Aventino dei 5 Stelle: “Solo cambiali in bianco, in cambio non votiamo la fiducia” –, ha annunciato bambinescamente le dimissioni nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella.
Nessuno ne parla, ma l’atteggiamento plasticamente irresponsabile di Draghi è stato censurato sia da Enrico Letta che da Matteo Renzi, due politici a dir poco navigati e che hanno oltretutto competenze storiche; vediamo con attenzione i passaggi di questa crisi.
Punto primo: ecco un riassunto del citato articolo sul Fq “Niente soglia CCNL estesi, ma diversi hanno paghe da fame”: “La prima certezza è che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, non proporrà di introdurre un salario minimo legale. L’Italia resterà uno dei sei Stati europei a non averlo. L’idea suggerita è solo estendere a tutti i lavoratori i trattamenti previsti dai contratti collettivi più diffusi o firmati da sindacati e associazioni di imprese con più iscritti. Ancora non esiste un testo scritto, ma l’impostazione è stata presentata ai sindacati. Il parametro di riferimento, secondo Orlando, sarà il cosiddetto “trattamento economico complessivo” (Tec). E’ il salario previsto dai contratti nazionali e comprende il minimo tabellare più le altre voci, anche il welfare.
A inventarlo è stato il patto per la rappresentatività firmata nel 2018 da Cgil, Cisl e Uil con la Confindustria. Ecco perché ai sindacati la proposta Orlando – per quanto ancora approssimativa – non dispiace.
E’ intuitivo il difetto principe di questa proposta, ammesso dallo stesso Orlando: “Questo – ha detto il ministro – naturalmente non escluderebbe la possibilità che ci siano contratti anche con salari ancora bassi, ma aiuterebbe tutti coloro che addirittura si trovano ad avere un rafforzamento di posizione e innescherebbe un meccanismo che potrebbe aumentare la media dei salari”.
Oggi specialmente nei settori più deboli esistono contratti firmati dai sindacati più rappresentativi, e molto utilizzati, che hanno minimi salariali clamorosamente bassi. Il controllo della vigilanza e dei servizi fiduciari, tra l’altro non rinnovato da sette anni, stabilisce – per i vigilanti non armati – 4,60 euro. Non è un accordo “pirata” ma “corsaro” e, se dovesse passare la legge suggerita da Orlando, continuerebbe a essere applicato e non solo: diventerebbe pure un riferimento per tutti i lavoratori del settore…”.
Il cosiddetto “trattamento economico complessivo”, per citare il raffinato Alberto Bisin su “Affari e Finanza” del 16 dicembre 2020 – “senza cedere alla trappola sofista di anteporre la forma alla sostanza” – ignora il particolare: una nazione sull’orlo del baratro.
Ed è su questo sfondo, ignorato dagli ordoliberali che negano pregiudizialmente la “liaison” tra idee e interessi, dagli opinionisti e dalla pubblica opinione – “le idee hanno conseguenze”, diceva Friedrich Hayek – che Conte ha imposto ai suoi il diktat: niente fiducia; c’è poi l’elemento patetico sullo sfondo del tratto piccoloborghese dell’“aurea mediocritas” Orlando, che non è un Mitterrand:
terrorizzato – come la maggioranza dei liguri – da quello che la legge pensa di lui; “pluc cas change, pluc c’est la meme chose”: Luigi XVI.
Per reazione, l’autocratico premier ha annunciato le dimissioni, con una reazione di censura da parte del “fan draghista” Renzi il quale si è prodotto in uno dei migliori discorsi della sua carriera (più da uomo pratico e creativo, che da persona razionale):
“La situazione pone l’esigenza di lanciare da questa Aula un appello alla responsabilità il cui destinatario è il presidente del Consiglio, Mario Draghi. E’ il momento della responsabilità, è vero e questo vale per ciascuno di noi. C’è la guerra in Ucraina, i problemi energetici, l’inflazione alta, poi problemi globali come la siccità, la carestia e le conseguenti migrazioni. L’ansia di responsabilità deve valere per il governo e per il presidente del Consiglio.
Nulla giustifica la fermata del governo. Chiudere il Pnrr, fare la legge di Bilancio e poi la campagna elettorale il prossimo anno. Pensare di utilizzare schiamazzi per bloccare un percorso fondamentale per l’Italia è sbagliato. Draghi deve continuare perché serve all’Italia, altrimenti in altre capitali non proprio democratiche qualcuno festeggerebbe”.
Renzi è uomo di passione più che di ragione, ma il suo senso di responsabilità è un monito pedagogico per tutti; gli fa Enrico Letta, professore alla Luiss a Parigi oltre che segretario del Pd:
“… Anche noi abbiamo dei punti che non trovano consenso in questa maggioranza. E’ naturale che questi distinguo si esplicitino, lo ritengo legittimo. Ma dico: attenzione, perché non vorrei che con i distinguo si finisse come con il colpo di pistola di Sarajevo, che diede il via alla Prima Guerra mondiale. Nessuno vuole che che i distinguo divengano il colpo di pistola di Sarajevo, che diede il via alla Prima Guerra mondiale. Non si pensava che aprisse il più sanguinoso conflitto della storia, ma è andata così. Ci sono dei fatti che hanno conseguenze. La giornata di ieri (12 luglio 2022, ndr) è stata una giornata importante, perché si è verificata una possibilità sull’agenda sociale. La direttiva europea consente un’applicazione differenziata e il nostro paese può applicare quello che c’è sul salario minimo. 4 milioni di lavoratori lavorano con salari inferiori ai nove euro l’ora. Questa è una grande opportunità per fare dell’agenda sociale dei prossimi mesi qualcosa di molto importante soprattutto per i giovani. Se il governo cadrà non saremo in grado di dare risposte a milioni di lavoratori e di giovani che aspettano risposte. Mi sento di dirlo con grande forza a chi chiede una svolta: noi questa svolta l’abbiamo vista nella giornata di ieri, una svolta sociale per fare sì che gli ultimi mesi del governo siano quelli in cui si risponde alla crisi che stiamo vivendo. E’ il momento non di accelerare, non di parcheggiare, ma di essere in grado di finire la legislatura”.
Il Migliore non l’ha ascoltato. “Per me, questa esperienza è esaurita. Non ci sono le condizioni per andare avanti”; Mattarella respinge le dimissioni. Bisogna sperare che non ci sarà lo “stress test” dello spread, ma i mercati sono influenzati dalle emozioni come diceva l’ipomaniacale George Soros e le emozioni portano a prendere decisioni azzardate.
Ma quando c’è il narcisismo, non si accetta la frustrazione della realtà al sogno.
E si persevera nell’errore sognando, per avere ragione: da esperto unilaterale di finanza Draghi non ha modificato registro fino all’ultimo, e ha chiesto a Beppe Grillo di rimuovere Giuseppe Conte: l’omicidio è l’altra faccia del suicidio; ma – incredibilmente – dopo aver letto Francesco Bei su “la Repubblica” – ho capito che l’avvocato del popolo ha istituzionalizzato la sua anomalia biografica, da “quasi avvocato, quasi professore, quasi politico” per citare la brillantissima sintesi di Francesco Merlo. E infine quasi keynesiano; sotto la benigna influenza intellettuale – a dispetto della sua ignoranza dell’abc della Teoria Generale dell’Occupazione – del professor Domenico De Masi, che ha parlato di Keynes a Conte.
Per dirla con John Maynard Keynes, “Le idee degli economisti e dei filosofi, sia quando sono nel giusto, sia quando sbagliano, sono più forti della conoscenza della gente comune. Invece il mondo non è governato dalle loro idee, ma da qualcosa di diverso. Gli uomini politici, infatti, credono erroneamente di essere esenti da influenze intellettuali, e sono di solito schiavi di qualche economista defunto”; è bene precisare che Keynes, da filosofo, detestava i politici.
Anche Draghi è quasi politico, quasi professore, quasi vincitore della partita a scacchi con Keynes: sia l’avvocato del popolo che “Whatever it mojito” (vedi Travaglio) sono uomini d’azione che appartengono alla categoria dell’action man nell’insufficienza del rigore accademico oscurato dall’azione e nella esuberanza dell’èlan vital con il giano bifronte della “sindrome di hybris”.
Dal crollo del Ponte Morandi nell’agosto del 2018 al “naufragio” della diga foranea di Genova nel luglio 2022 si compie lo Spirito dei Tempi: Zeitgeist; apprendo da Il Fatto Quotidiano in uno dei migliori reportage degli ultimi anni con largo anticipo rispetto a “la Repubblica”: “… Ora l’amministrazione (Bucci, ndr) lavora per salvare la situazione con un’integrazione economica al bando… “Noi andremo avanti in ogni caso e sarà l’autorità portuale a definire come proseguire”, dice il sindaco di Genova Marco Bucci: “Capisco le difficoltà di chi deve affrontare una gara dove si sa in partenza che la cifra non è sufficiente con l’incremento dei prezzi delle materie prime che abbiamo avuto, la situazione è difficile a causa delle dinamiche internazionali ma d’altra parte il governo ha detto che troverà soluzioni e, alla fine si andrà avanti”, rassicura. I costruttori però non sembrano altrettanto fiduciosi: “La rinuncia delle due cordate di imprese che avrebbero dovuto partecipare alla gara per realizzare la più grande opera pubblica degli ultimi trent’anni, per un valore di oltre un miliardo, al di là dell’effetto devastante sulla credibilità anche internazionale di Genova e del suo porto, allunga ombre sulla fattibilità di gran parte delle opere inserite nel Pnrr e sulla capacità dei soggetti pubblici di mettere a punto progetti tecnici credibili e affidabili. Il caso diga rischia di provocare un’onda d’urto devastante, con effetti drammatici sulla credibilità del sistema Italia”, dice il presidente di Ance Liguria Emanuele Ferraloro.”
Personalmente ho ben presente Marco Bucci, che ha un tratto piccolo-borghese ed è il classico sgobbone “self made a man” che non ha il senso dell’Establishment: “Il governo ha detto che troverà soluzioni”; il problema è che Draghi vuole reinventare la realtà “whatever it takes”: qualunque cosa accada.
“Il guaio è quando si è prigionieri del sogno di un altro”: diceva Piero Ostellino.
Federico Caffè scomparve dopo aver subìto un’intollerabile ferita al narcisismo, e come ben scritto su Wikipedia alla voce La scomparsa: “… Caffè era apparso a molti conoscenti depresso per vari motivi, a parte il pensionamento e la situazione finanziaria: in particolare lo scarso seguito, nell’economia neoliberista, delle sue teorie…”; oggi Draghi, che era un suo allievo, rischia di rovinare l’Italia per vincere la sua scommessa narcisisticamente irrinunciabile, proprio quando la realtà gli si ribella e comincia a frustrare la sua Weltanschauung.
Entrambi uniti nella loro presunzione fatale dal mito del “punto di equilibrio”, che è la verità ultima.
Ma la verità assoluta non esiste.
di Alexander Bush