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Filorussi e filoislamici, gemelli allo specchio

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Nel grande villaggio dell’informazione, fatto di social network, spazi per i commenti dei quotidiani online, forum e mailing list, si sta creando una nuova contrapposizione fra partigianerie. Succede soprattutto da quando la Russia è intervenuta in Siria e ancor di più dopo lo scoppio della crisi russo-turca del novembre scorso: ogni volta che si parla di politica estera ci si divide in filo-islamici e filo-russi. Il fenomeno è strano per varie ragioni. Perché è sparita completamente una posizione filo-europea, o almeno filo-occidentale. Ci si identifica in blocchi che, non solo sono estranei, ma presentano vari gradi di ostilità più o meno manifesta nei confronti del nostro modello di vita.
Ma tant’è: non fai a tempo a solidarizzare con l’opinionista che esprime pareri fuori dai denti contro l’autocrazia di Vladimir Putin, che subito scopri in lui un multiculturalista con la testa sotto la sabbia. Chi contesta Putin è spesso lo stesso che nega l’esistenza ogni legame fra la violenza e l’Islam. E’ colui che, in genere, nega che l’integrazione, perseguita con metodi ideologici, è palesemente fallita (come le violenze di Capodanno a Colonia e Amburgo dimostrano). E’ colui che nega che l’Isis sia un pericolo reale per la sicurezza degli italiani, ignorando le ripetute minacce contro Roma e la “terra dei crociati”. Chi si allarma per la Russia di oggi è spesso e volentieri lo stesso che, fino a pochi anni fa, vedeva in Bush (e anche nel Benedetto XVI della lezione di Ratisbona) il peggiore nemico dell’umanità. E’ lo stesso tipo di osservatore impegnato che denuncia la Fallaci di “La Rabbia e l’Orgoglio” e Huntington de “Lo scontro di civiltà”come se fossero loro le cause del terrorismo, e non chi ha commesso gli attentati dell’11 settembre, di Madrid, di Londra e di Parigi, gli omicidi di intellettuali e vignettisti “blasfemi” egli eccidi di cristiani mediorientali. Chi si sgola per denunciare i crimini e le minacce che provengono dal Cremlino, è spesso e volentieri lo stesso che si sgola contro Israele e condanna la sua legittima difesa da aggressori totalitari islamici.
Al tempo stesso non fai a tempo a solidarizzare con chi è ben consapevole del pericolo islamista, perché subito trovi in lui il partigiano pro-Putin. Ci trovi quello che non vuole assolutamente vedere il pericolo della nuova Russia imperiale e, quando proprio gli sbatti in faccia la realtà dell’annessione della Crimea e dell’aggressione all’Ucraina, ti dice che “i russi hanno fatto bene” perché “la Crimea è sempre stata russa” e l’Ucraina “se lo merita”. Quello che, quando gli fai leggere le minacce esplicite di Putin alla Nato (cioè a noi) ti dice pure che ce lo meritiamo, perché “è colpa dell’espansione della Nato a Est”. Chi teme l’Islam radicale, spesso e volentieri si aggrappa a Putin “difensore della civiltà”, se la prende con gli Usa che “destabilizzano il Medio Oriente” e “ci inondano di profughi musulmani”, pensa che tutte le colpe delle guerre attuali, dall’Ucraina alla Siria passando per la Libia, siano solo di Obama. E finisce per parteggiare per dittatori sanguinari come Assad, o a rimpiangere altri dittatori sanguinari come Saddam e Gheddafi. E ora chiude anche gli occhi di fronte al pericolo dell’Iran e dei terroristi sciiti, forse perché, per il solo fatto di essere appoggiati da Putin, sono “dei nostri”.
Queste nuove partigianerie, sempre più diffuse in Italia, denotano l’assenza di una politica occidentale. Se ci si deve aggrappare a un nemico pensando di combatterne un altro, vuol dire che gli amici sono assenti, non pervenuti. Manca, in Occidente, un punto di riferimento forte. Fino a pochi anni fa era l’America, in tono minore anche la Gran Bretagna. Oggi le nazioni-guida del mondo libero paiono quantomeno sbiadite e nessuno è subentrato in questo ruolo, nemmeno la Germania della Merkel. E quindi ci si “converte” a cause forti altrui, fuori dal mondo occidentale democratico e liberale.
Ma è anche inutile dar la colpa ad altri. Il problema è soprattutto dentro di noi. Queste nuove partigianerie, fra loro speculari e opposte, sono la dimostrazione più lampante della scomparsa del liberalismo in Italia. Evidentemente, chi vuole contrastare il totalitarismo islamico, nella maggior parte dei casi, non intende farlo per difendere la società aperta, ma semmai per proteggere ordine e tradizioni. Al tempo stesso, chi si oppone al nuovo imperialismo russo, non lo fa nel nome della nostra libertà, ma dell’ideale di uguaglianza. Per i primi, Putin è un modello perché è un autocrate che si ispira pensatori conservatori quali Constantin Leontiev, Ivan Ilin e Lev Gumilev, Carl Schmidt ed Ernst Jünger, tanto difensori della tradizione e dell’identità nazionale, quanto nemici dichiarati della società aperta. Non è un caso che fra questi nemici conservatori dell’Islamismo radicale si trovi anche una malcelata ammirazione, per non dire invidia, per questi jihadisti pronti a morire “perché credono nei valori”, mentre all’individuo libero della società aperta è riservato solo disprezzo.
Dall’altra parte, chi denuncia Putin è quasi sempre un ex sessantottino o figlio di sessantottini, un orfano di Karl Marx e di Antonio Gramsci, di Herbert Marcuse o al massimo di Jurgen Habermas, disprezza il nuovo autocrate perché gli appare come uno Zar razzista e nazionalista, ma fino all’altro ieri sperava in Gorbachev, nell’ultimo dittatore sovietico. Non ha mai apprezzato la società aperta, capitalista e competitiva, perché ha sempre voluto un impero universale socialista. E oggi sogna l’integrazione su base egualitaria di tutti i popoli della terra, a partire dagli islamici che bussano alle porte, sognando per l’Ue un destino comune a quello della vecchia Urss. Ma non è un caso, neppure qui, che fra questi nostalgici di sinistra vi sia una malcelata ammirazione per Putin, l’unico uomo che può concretamente riportare in vita l’Urss.
In questa battaglia i liberali, i pochi difensori della società aperta, sono presi fra due fuochi. E devono solo sperare che i loro nemici, di destra e di sinistra, continuino a darsele fra loro. Ritardando il più possibile il momento in cui scopriranno di essere fatti della stessa pasta totalitaria.

Stefano Magni