Gas, il ritorno degli americani

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litta modignani
I risultati di un libero mercato: gli USA hanno sorpassato la Russia nella produzione di gas e il gas americano costa un terzo di quello che si usa in Europa

Sorpresa! Nel 2012 gli Stati Uniti hanno superato la Russia in testa alla classifica dei paesi produttori di gas, l’anno prossimo supereranno l’Arabia saudita in quella dei produttori di petrolio. Siamo in presenza di un radicale cambio di paradigma, innescato dalla scoperta, agli inizi degli anni Duemila, di nuove tecniche di estrazione di gas e petrolio dalle profondità degli scisti argillosi. Il controllo della perforazione e la flessibilità dei metalli oggi consentono di scavare fino a 7 chilometri quasi in orizzontale, a grandi profondità. Questo processo avviene con la frantumazione (fracking) delle rocce argillose, contenenti grandi bolle di “shale gas” e “shale oil”, mediante il getto ad alta pressione di acqua e additivi chimici.
Una prima conseguenza è il ritorno negli Usa di alcune produzioni manifatturiere ad alto consumo di energia, con importanti riflessi sull’occupazione. Inoltre i rigassificatori sono stati smantellati e verranno sostituiti con nuovi impianti di liquefazione, nella prospettiva di esportare il gas via nave.
La partita politica si presenta più complessa. Secondo i repubblicani, gli Usa dovrebbero indirizzare l’esportazione esclusivamente ai paesi della Nato, per fare crollare il prezzo del gas russo. Secondo altri, questa visione è illusoria. Per commercializzare il gas fra paesi lontani servono impianti costosi e quelli già operativi in Europa sono sottoutilizzati. Se il prezzo del gas dovesse scendere – ipotesi tutta da verificare – questi investimenti risulterebbero antieconomici.
In ogni caso l’America non si presenta più come un paese in declino. Gli Usa dispongono di un eccezionale mix positivo: la conformazione geologica, l’abbondanza di acqua, le tecnologie avanzate, la competitività del sistema industriale e finanziario, l’accessibilità alla rete dei metanodotti; e poi un governo favorevole al fracking e infine una tradizione giuridica che vede i proprietari del suolo titolari anche dei diritti sul sottosuolo. Negli Usa i pozzi esplorativi sono circa 200.000.
In Europa la situazione è opposta. Le resistenze allo shale gas sono innumerevoli, con la sola parziale eccezione della Gran Bretagna. La Francia ha vietato la pratica del fracking, in nome del “principio di precauzione”. L’opposizione dei piccoli agricoltori è fortissima: per un contadino americano, scoprire un giacimento sotto il proprio campo è una cuccagna, per quello europeo una calamità, poiché i diritti di sfruttamento sono di pertinenza statale.
Come ha scritto il presidente dell’Eni Giuseppe Recchi (“Nuove energie”, Marsilio) l’Europa appare “ferma al palo” a causa di una serie di occasioni mancate. Il gas costa tre volte più che negli Stati Uniti, minando la competitività del Vecchio Continente. Anche la politica dei sussidi alle rinnovabili si è rivelata sbagliata: solo nel 2012 l’Italia ha speso oltre 10 miliardi in incentivi, pari a circa il 18% delle bollette pagate dalle famiglie.

Alessandro Litta Modignani

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